I venti di guerra allontanano il Toro, ma non travolgono le Borse europee. I listini migliorano nel pomeriggio, dopo l’apertura di Wall Street e limitano i danni a cali frazionali. Le tensioni geopolitiche determinano infatti incertezza da un lato, ma creano opportunità dall’altro.
Piazza Affari cede lo 0,51%, fermandosi a 23.581 punti, con Leonardo regina del listino +2,79%. Il titolo del gruppo aerospaziale beneficia del potenziale incremento dei budget della Difesa da parte degli Stati Uniti anche a seguito dell’escalation di tensione tra Washington e Teheran. In rialzo Eni, +1,49%, grazie all’impennata del greggio e al miglioramento del prezzo obiettivo (da 19 a 20 euro) da parte di Goldman Sachs. Gli analisti della banca americana mantengono inoltre il loro rating “buy” (acquistare) sul titolo. In pole position Tenaris +0,59% e Saipem, +0,23%, benché le tensioni geopolitiche nell’area mediorientale penalizzino gli oil servicer. Bene Enel +0,21%. A pagare lo scotto più alto sono le banche e titoli come Nexi -3,93% ed Stm -2,28%, che sono cresciuti molto negli ultimi mesi. Fra i bancari Unicredit cede l‘1,85%, Banco Bpm -2,35%; Bper -2,05%.
Nel resto d’Europa: Francoforte -0,68%; Parigi -0,51%; Madrid -0,47%; Londra -0,62%.
Wall Street, dopo un’apertura stonata, prosegue in ordine sparso, con il settore energetico in rialzo: il Dow Jones cede lo 0,2%, mentre il Nasdaq è sopra la parità (+0,17%). Sul fronte macro è positivo, oltre le attese, il Pmi servizi di dicembre, a conferma di una fase ancora espansiva: 52,8 da 51,6 di novembre.
In attesa dell’accordo commerciale Usa-Cina, l’attenzione dei mercati è catalizzata dalle relazioni fra Washington e Teheran, dopo il blitz degli americani e l’uccisione e del generale iraniano Qasem Soleimani a Baghdad. La tensione è alta, con il Parlamento iracheno che chiede al governo di cacciare la coalizione internazionale anti-Isis, a guida statunitense e l’Iran che si ritira dagli accordi del 2015 sul nucleare. Un quadro critico, che si aggiunge a quello libico ben poco rassicurante.
In questo contesto in mattinata hanno preso il volo i beni rifugio e il petrolio, ma in queste ore i guadagni sembrano ridimensionarsi. L’oro attualmente progredisce dello 0,74%, muovendosi a 1563,95 dollari l’oncia, dopo essersi spinto oltre i 1588 dollari (ai massimi da sette anni). Il petrolio, tipo Brent sale dello 0,58% a 69 dollari al barile, dopo aver superato nelle ore precedenti persino i 70 dollari.
Anche il mercato valutario si assesta e monete rifugio come yen e franco svizzero perdono leggermente quota. L’euro dollaro è moderatamente favorevole alla moneta unica, il cambio si muove intorno a 1,1187.
Fra i titoli di stato, in un mercato ancora sottile, lo spread fra decennale italiano e tedesco sale dello 0,97% a 164 punti base, con il rendimento del Btp a 1,34%.
Tornando in Piazza Affari le vendite colpiscono Pirelli -1,23% e Fca -1,36%. A proposito del Lingotto, il Sole 24 ore, sabato, ha scritto che gli azionisti di riferimento della società italoamericana e della francese Psa, vale a dire Exor (-1,05%) e famiglia Peugeot, starebbero lavorando a un accordo parasociale per blindare il controllo del nuovo gruppo, in vista della fusione. L’intesa vincolerebbe il 22,5% di FCA-Psa.
Giù Atlantia, -0,74%, dopo la revisione a ribasso del rating della capogruppo (da Ba1 a Ba2) e delle controllate Aeroporti di Roma (da Baa2 a baa3) e Autostrade per l’Italia (da Baa3 a Ba1) da parte di Moody’s. Tutti i rating, inoltre, sono sotto osservazione per ulteriori downgrade. La decisione – spiega Moody’s – “riflette l’aumento della pressione politica sul gruppo Atlantia e i crescenti rischi al ribasso” legati al Milleproroghe “in cui il governo italiano ha modificato retroattivamente e unilateralmente i termini e le condizioni delle concessioni autostradali, inclusa quella di Aspi”.