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L’Eni in Myanmar, la terra degli elefanti bianchi

Se incontri qualcuno senza un sorriso regalagli uno dei tuoi. Nessun proverbio è più rappresentativo delle persone che si incontrano in Myanmar. Te ne accorgi già all’aeroporto di Yangon, quando carico di bagagli ti cedono il posto a sedere nell’area visti. Ed ancora di più in mezzo a loro, dalle strade delle città ai villaggi sperduti dell’entroterra. E’ proprio da questi villaggi che inizia la missione esplorativa di Eni Foundation, nel paese degli elefanti bianchi, delle pietre preziose, del riso, ma soprattutto del sesamo e delle noccioline, le arachidi, da cui la popolazione delle sperdute aree rurali, trae sostentamento, fa commercio, fa studiare i figli, quando riesce, fino alla laurea di cui espone le foto in divisa accademica nelle capanne buie, senza la luce elettrica, o per qualcuno, con quella poca prodotta dal pannello solare.

Arrivati al primo villaggio ci accolgono come ospiti d’onore, mettendoci a disposizione quel poco che hanno: the, sesamo e arachidi. Ci accolgono con grande curiosità dopo anni di isolamento e ad un sorriso rispondono sempre con un sorriso ancora più grande. Ci riceve nella sua casa di legno e paglia il capo villaggio, una sorta di sindaco, autorità di uomini, donne e bambini che con grande dignità si recano nei campi, riparano le strade da frane e fango, portano al pascolo gli animali in cerca di acqua e fanno la spola da sorgenti e pozzi superficiali dove si raccoglie l’acqua della stagione piovana appena terminata.

Già, è questo il problema più grande, anche se evitano di dargli peso: l’acqua scarseggia oppure è sporca. La stagione dei monsoni, non ha solo irrigato i campi e riempito i serbatoi, ma può distruggere quello che gli uomini a fatica costruiscono e si alterna senza gradualità alla stagione arida. Terminato l’ultimo raccolto si fanno le provviste per i 4 mesi in cui tutto si ferma e bisogna vivere di quello che si ha: compresa l’acqua che si riesce a trovare e a distribuire.

Intanto i bambini crescono e vanno a scuola. Il villaggio fornisce istruzione fino ai 10 anni, poi si deve andare in città: ci si va con quello che si ha a disposizione: il carretto trainato dai buoi, l’unico a parte i nostri fuoristrada in grado di avventurarsi per i sentieri fangosi ed impervi; oppure i vecchi ciclomotori che portano anche tre passeggeri e fanno la spola con la fermata dei bus nella distante strada per andare a vendere i prodotti della terra, comprare qualche bene di necessità, andare in ospedale a partorire, quando la situazione precipita e non basta rimanere nel villaggio.

Anche questo è un problema per la gente: i villaggi sono così isolati, difficili da raggiungere, a chilometri e chilometri dalla prima città, unica ad avere l’ospedale. Siamo nel Magway, una regione del Myanmar centrale, la seconda più grande delle sette in cui il Paese è suddiviso, con un’area di quasi 45 mila kmq. La capitale è Magwe, sulle rive del fiume Irrawaddy: proprio intorno alla città si è sviluppato l’interesse di Eni Foundation per le popolazioni che vivono dei prodotti della terra, lontano dalla civiltà come noi la intendiamo ma dove, sporadicamente, vicino al monastero buddhista, al tempio, trovi internet, uno smartphone, un  tablet, per essere in contatto con il mondo. Qui senza dubbio il web ha scavalcato la tv, l’ha sostituita direttamente: la rete richiede meno energia elettrica, che qui non c’è e la fornisce solo il sole.

Nei villaggi visitati le impressioni iniziali si confermano: l’ospitalità, la gentilezza, la disponibilità, la pace e soprattutto il sorriso, sgorgano quasi al posto dell’acqua, che per tutti resta l’elemento di vita che manca, è troppo poco, svanisce con la stagione che cambia e un ricordo che resta fino alle prossime grandi piogge. Dall’acqua dipende tutto, le coltivazioni, la sopravvivenza del bestiame che deve produrre il latte per mamme e bambini, i buoi che devono tirare i carretti, superare le strade di fango per portare i beni necessari  alla famiglia, da scambiare  con arachidi e sesamo.

E’ proprio sull’acqua che Eni Foundation punterà l’attenzione, realizzerà un progetto che coinvolgerà il governo, le comunità locali, l’università, con un obiettivo: acqua sicura. Ma anche disponibilità di questo prezioso bene per le colture, con il miglioramento delle tecniche in modo da aumentare i prodotti e variare così l’alimentazione, rendendola più completa. Tutto questo per migliorare la salute, soprattutto di donne e bambini. Così com’è nello spirito di Eni Foundation e dei progetti che da dieci anni realizza nel mondo. In tutti i luoghi dove siamo arrivati, per tutta la gente che abbiamo conosciuto, che abbiamo aiutato. Così sarà anche in Myanmar, la meravigliosa terra del sorriso e degli elefanti bianchi. Salutiamoci come i suoi abitanti… Mingalarbar.

Articolo estratto dal sito di Eniday.

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