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L’elettricità e l’incredibile paradosso del caro-bolletta

Tre i trend macroscopici distintivi emersi dall’elaborazione dei dati congiunturali del settore elettrico relativi al 2013 e proposti nella nuova newsletter di Assoelettrica. Lo sforzo per superare la frammentazione informativa ha impegnato l’ufficio studi dell’associazione nel ricomporre in un’analisi unitaria, cifre e andamenti tratti dalle elaborazioni di Terna, Eurostat, GME, Snam Rete Gas e MiSE. Che ci consente di capire dove stanno i punti di svolta, i problemi e gli elementi di crisi. Vediamo in dettaglio. 

1) Per carità non chiamateli Negawatt. Prosegue per il terzo anno consecutivo, il calo dei consumi elettrici che appaiono decisamente correlati alla crisi economica più che a incrementi di efficienza negli usi finali. Sul fronte consumi 10,367 GWh mancano all’appello mentre la produzione è calata di circa altrettanto (-10.426GWh). La recessione economica colpisce tutti i paesi ma in Italia la contrazione della produzione elettrica risulta più accentuata rispetto al resto d’Europa. Il calo dei consumi elettrici assume un’ulteriore valenza se analizzata alla luce della diminuzione del tasso di penetrazione elettrica (22% rispetto al 22,1% del 2012).

Questo parametro che testimonia sia il grado di sviluppo economico che il benessere dei cittadini, sta ad indicare un minore impiego dell’elettrica nei consumi finale di energia. Ora, questa diminuzione, seppur lieve, accentua il divario tra l’Italia e il resto dei paesi industrializzati dove la penetrazione del vettore elettrico è mediamente più alta. Oltre al maggior costo dell’energia elettrica, questo differenziale è da imputarsi anche alla struttura tariffaria la quale, per alcune classi di utenti, disincentiva i consumi ed erige barriere artificiali alla diffusione di elettrotecnologie efficienti, anche nel residenziale.

2) Le rinnovabili continuano a crescere. Sì, ma quali? La ripartizione della produzione tra le diverse fonti mostra che laddove le fonti termiche sono calate (il gas rappresenta 65% del decremento complessivo dei combustibili fossili), la produzione da fonti rinnovabili è cresciuta. Questo per effetto di una doppia pioggia: di H2O e di denaro. Le abbondanti precipitazioni nel 2013 hanno permesso all’ idroelettrico di coprire oltre la metà dell’incremento complessivo di produzione da FER (+18,6TWh). Nel mentre continuano a gonfiarsi gli oneri derivanti dalle politiche d’incentivazione delle rinnovabili cresciuti di 1,6miliardi di euro rispetto al 2012.

3) Paradosso caro bolletta. I prezzi finali non hanno cessato di crescere nonostante il Pun sulla borsa elettrica si sia ridotto. Nonostante le aziende elettriche siano sempre più efficienti e nonostante la diminuzione del prezzo del gas all’ingrosso che portano quindi ad un minore prezzo dell’elettricità sempre all’ingrosso, il consumatore non ne ottiene alcun beneficio a causa dell’aumento degli incentivi pagati alle fonti rinnovabili. Si accentua il distacco con il resto dell’Europa a causa dell’eccessivo peso degli oneri di sistema, a loro volta gravati dal fisco.

E già l’Europa non sta messa bene nel confronto con la competizione mondiale. Il prezzo del gas in Europa è mediamente tre volte le quotazioni negli Stati Uniti e il kilowattora costa 2 volte tanto e 20% in più rispetto a quello cinese. Il caro energia non è più un dato congiunturale ma affliggerà il Vecchio Continente per i prossimi 20 anni azzoppando la competitività delle sue imprese. Secondo il verdetto dall’IEA, l’Europa sta per perdere un terzo della sua quota mondiale di mercato nelle esportazioni che richiedono molta energia a vantaggio degli Stati Uniti. E così diamo un ulteriore mazzata al già indebolito apparato manifatturiero nazionale che dal 2008 ha distrutto 15% della sua capacità produttiva.

Senza demonizzare le politiche climatiche, che senso ha intestardirsi in completo isolamento dal resto del pianeta, con obiettivi troppo ambiziosi. L’ha capito anche Günther Oettinger, commissario all’Energia che una settimana dopo aver sottoscritto l’irrealistico obiettivo che impegna la sola Europa a ridurre del 40% di emissioni di CO2 al 2030, ritratta e senza mezzi termini, afferma “Pensare che con questo 4,5 % (quota delle emissioni globali per cui è responsabile l’Europa nel 2030) si possa salvare il mondo è arrogante e stupido. Abbiamo bisogno di un impegno globale”. La bacchettata di Oettinger ci deve ricordare che è il momento di superare le distorsioni percettive e riconoscere che ambiente, energia e stabilità economica sono indissolubilmente intrecciati in un delicato ma necessario equilibrio. I diktat ambientali non possono condizionare una politica energetica tale da favorire la strada alla deindustrializzazione.

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