Nel 2024 vendite ed export del settore legno-arredo italiano in discesa: -7,5% le prime e -4,1% il secondo. Percentuali in netto calo rispetto al 2023. Va detto che si tratta di due dati non ancora ufficiali ma filtrati da Federlegno-Arredo che, meglio di qualsiasi nota stampa, descrivono la crisi dei consumi, quelli che mai erano diminuiti in tal modo in Italia, e cioè le spese delle famiglie per la casa.
Ecco allora cosa significa questa pesante battuta d’arresto per le migliaia di Pmi che producono il made in Italy del legno e del design. Battuta d’arresto che, a leggerla insieme a Edi Snaidero, presidente della Confederazione europea dell’industria del mobile-Efic, in Europa appare ancor più grave che in Italia. “È un trend preoccupante – sottolinea infatti Snaidero – poiché coinvolge oltre 20 mila Pmi, la grande maggioranza dei produttori europei, con un milione di addetti diretti e altrettanti indiretti. Un settore vitale che fattura 112 miliardi di euro”. Sembra che proprio l’andamento europeo sia il più pesante.
Meglio il Sud Europa di Germania e Francia?
“Non abbiamo ancora cifre ufficiali ma ad andare peggio sono stati i mercati del Centro Europa, Francia e Germania in particolare, mentre quelli del Nord e del Sud Europa hanno sofferto di meno”.
Però non è un buon segno per una manifattura come quella italiana che vende i suoi arredi soprattutto in Europa.
“La Francia è da anni il nostro primo mercato ma per fortuna le nostre esportazioni stanno andando bene negli Stati Uniti”.
Che cosa può contribuire a ridare slancio alla voglia e al piacere di acquistare mobili e oggetti per la casa?
“Il calo dei tassi di interesse che ridanno fiducia alle famiglie e aumentano la domanda di abitazioni. Il Pil di un Paese cresce infatti quando aumentano le compravendite immobiliari, le ristrutturazioni che per anni hanno alimentato. Per esempio, la forte crescita dell’economia cinese e indiana. Trovo comunque intelligente e utile anche il recente provvedimento sugli incentivi fiscali per la sostituzione dei vecchi elettrodomestici”.
Chiuso il 2024 in negativo, qual è il sentiment delle aziende per il nuovo anno?
“Nel 2023 si sperava nella ripresa per la seconda parte del 2024 che non è arrivata ma comunque siamo appena sotto il livello del 2019. Sarà impossibile ripetere le vendite del dopo Covid. Per l’anno in corso i Paesi del Sud Europa come l’Italia sembrano essere più flessibili, più resilienti di fronte a una situazione come questa”.
I dazi Usa e i mobili italiani. Argomento molto attuale, dopo la sfida lanciata da Trump all’Europa. Che conseguenze avranno?
“Si può dire che siamo nel pieno di una guerriglia commerciale tra la Cina, gli Usa, il costo dell’energia e i cinque anni di politica verde europea. Tutto ciò ha fatto perdere competitività alle industrie europee. Per quanto riguarda i dazi, ancora non se ne sa niente ma i nostri mobili appartengono alla gamma alta e medio alta che potrebbe risentirne meno rispetto agli altri”.
Cinque anni di politica green europea stanno causando grandi problemi alle manifatture europee che subiscono la competizione di paesi che non hanno questi vincoli…
“Si tratta soprattutto di scelte focalizzate, come abbiamo, visto, sull’energia elettrica, molto costosa, trascurando di sperimentare le alternative disponibili come il nucleare pulito per esempio. E ora magari potrebbe essere troppo tardi per tornare indietro… L’ecosostenibilità, gli obiettivi dei piano europeo Green Deal per noi sono fuori discussione, la nostra industria del legno e del mobile in particolare è molto avanti né intende tornare indietro. Ma qualcosa deve cambiare e già cambia nella politica economica europea. Tutto ciò che sta accadendo, ciò che occorre fare e decidere, i finanziamenti per ridare all’Europa la necessaria competitività, è scritto nel rapporto Draghi. Ma occorre finanziare i nuovi interventi con tante risorse, come è stato fatto con ottimi risultati con il Pnrr in occasione del Covid”.
Perché non è stato ancora deciso?
“Purtroppo la Germania e i paesi del nord Europa sono contrari”.
Non vogliono – detta banalmente – tirar fuori soldi per finanziare anche la competitività dei paesi del Sud Europa?
“Sì. Ma le risorse finanziarie non mancano, sono tante e custodite nelle banche europee. E poi occorre semplificare urgentemente l’apparato legislativo europeo, predisposto in questi anni dalle burocrazie di Bruxelles, che ha messo in ginocchio l’industria europea. E la settimana scorsa le nostre associazioni, 400 persone dall’Italia, erano a Bruxelles per chiedere a Ursula von der Leyen un cambiamento a partire dalla semplificazione del contesto giuridico, e più pragmatismo. La maggioranza variabile di cui dispone ora la Von der leyen consentirà di volta in volta di fare scelte flessibili”.
Perché quello che ormai è pensiero comune tra i rappresentanti dei paesi della Ue è che le modalità decisionali e legislative negli ultimi anni sarebbero state imposte dalle lobbies dei verdi, sostenute dalla Germania e dai paesi del nord Europa, a loro volta sostenute dalle multinazionali che non hanno presìdi né hub manifatturieri in Europa. A rivelarlo, il quotidiano olandese De Telegraaf che cita contratti riservati: “L’Ue avrebbe “pagato segretamente gruppi ambientalisti per promuovere i piani verdi dell’ex commissario Frans Timmermans”. L’inchiesta del De Telegraaf ne cita anche uno da 700 mila euro per orientare il dibattito sull’agricoltura”. Per anni, secondo il quotidiano, la Commissione Ue avrebbe sovvenzionato lobby ecologiste per “fare pressioni a favore” del Green Deal.