La richiesta di un milione e duecentomila elettori di votare per abolire l’attuale legge elettorale non avrà seguito. La Corte costituzionale, dopo una lunga riunione in camera di consiglio, ha infatti dichiarato “inammissibili” entrambi i quesiti presentati. Nelle valutazioni della Consulta è prevalso quel consolidato orientamento per il quale non si può dare seguito a referendum se si rischia di aprire un vuoto legislativo. In pratica, i giudici hanno ritenuto che, in caso di successo dei quesiti, il Paese sarebbe rimasto senza una legge elettorale e che non era possibile quindi far rivivere la precedente normativa del Mattarellum, come nelle intenzioni dei referendari.
Fin qui, i fatti. E’ opinione diffusa, confermata pure in ambienti della Corte, che con la pubblicazione della sentenza (entro 20 giorni) sarà reso noto anche un pressante invito al Parlamento, affinché cambi l’attuale normativa ritenuta inadeguata e con dubbi di costituzionalità. Invito che fu rivolto anche nel 2008 e al quale il Parlamento si è però sinora ben guardato dal dar seguito.
Durissima la reazione alla decisione della Consulta di Antonio Di Pietro, che non ha esitato a parlare di “regime”, accusando i giudici di aver voluto fare un piacere al capo dello Stato. Altrettanto indignata e senza mezzi termini la reazione del Quirinale, che ha definito quelle del leader dell’Italia dei valori “volgari insinuazioni”.
La parola ora dovrebbe tornare al Parlamento che, se raccoglierà il probabile invito della Consulta, dovrebbe varare in tempi brevi una nuova legge. Cosa che avrebbe potuto fare anche in pendenza di una consultazione referendaria. La quale, una volta fissata, avrebbe potuto fare da “vincolo esterno” per accelerare il lavoro delle Camere. Insomma, se si voleva evitare di tornare alla precedente normativa (Mattarellum), si poteva più facilmente trovare un’intesa tra i partiti per approvare la riforma.
Non a caso il segretario del Pd Bersani ha detto, commentando la decisione dei giudici costituzionali: “Ora tocca al Parlamento”. Sarà davvero così? C’è da auspicarlo, ma le indicazioni in opposta direzione non mancano. E’ vero che anche nel Pdl si è aperto qualche spiraglio per poter mettere mano alla nuova legge elettorale, ma il tutto viene subordinato, ad una più lunga e complessa revisione dell’assetto istituzionale. E’ poi noto che Berlusconi non ha mai taciuto il suo favore per l’attuale normativa, che la si chiami o meno “Porcellum”.
Né si può non notare che proprio oggi, con la votazione che ha detto no all’arresto del deputato del Pdl Cosentino, si è riproposta la convergenza tra il Pdl e la Lega, o almeno una parte di essa. Fatto che lascia intendere che tanto Berlusconi che Bossi siano tentati da riproporre, quando si andrà a votare, la vecchia alleanza. La quale come è noto è di molto avvantaggiata dal sistema elettorale in vigore. Certo sono tutte ipotesi, per ora soltanto di scuola, attese ad una verifica dall’evolversi del dibattito tra i partiti. Eppure è legittima l’impressione per la quale, in mancanza di un vincolo esterno e in presenza di una ritrovata sintonia tra Berlusconi e Bossi, cambiare la legge elettorale sia tutt’altro che agevole.