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Legge Concorrenza: la vera lacuna non è su spiagge o taxi, ma sui servizi pubblici locali

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La legge sulla concorrenza 2021 è ferma in Commissione Industria al Senato dal dicembre scorso e ormai il tempo per il via libera scarseggia. In base agli impegni con l’Europa previsti dal Pnrr, entro quest’anno devono esse approvati sia la legge delega (l’obiettivo è l’ok entro maggio a Palazzo Madama ed entro la pausa estiva a Montecitorio) sia i decreti delegati, a cui peraltro viene demandata la soluzione di molti dei punti più controversi, concessioni balneari in primis.

Concessioni balneari e taxi: due questioni minori

Nel dibattito pubblico si parla in primo luogo proprio delle spiagge e della liberalizzazione dei taxi, che però – come fa notare in un recente articolo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani – sono “chiaramente minori in termini di effetti sul Pil e sulla competitività delle imprese”. Piuttosto, “l’area da cui è lecito aspettarsi i miglioramenti più rilevanti in termini di efficienza è probabilmente quella dei servizi pubblici locali”, ma anche in questo settore i passi avanti latitano.

Il problema dei servizi pubblici locali

A questo proposito, lo scorso marzo l’Antitrust aveva inviato al governo una serie di segnalazioni in merito alla legge sulla concorrenza e il testo conteneva il seguente passaggio:

Uno snodo cruciale per il rilancio dell’economia è dato dalla revisione del settore dei servizi pubblici locali e, più in generale, delle società pubbliche. Mercati efficienti dei servizi pubblici locali non solo possono migliorare la qualità dei servizi erogati, ma possono anche avere ricadute positive sulla competitività e lo sviluppo dei sistemi economici locali ed incidere sul livello di produttività aggregata e sulla crescita del prodotto pro capite. Eppure, i servizi pubblici locali sono tuttora erogati sulla base di un “capitalismo pubblico” che non appare generalmente idoneo ad assicurare adeguati livelli di efficienza e di qualità dei servizi.

Le notazioni dell’Antitrust sugli affidamenti in-house

Non solo. Lo scorso 24 febbraio, nel corso di un’audizione davanti alla commissione Industria del Senato, il capo di gabinetto dell’Antitrust, Maria Tuccillo, aveva usato parole ancora più esplicite:

Il ricorso allo strumento dell’in-house[dovrebbe essere consentito] soltanto in presenza di effettive ragioni di convenienza economica e di qualità del servizio, evitando l’affidamento a società prive dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa o che siano in forti difficoltà finanziarie, svolgendo di fatto, e come spesso accade, la funzione di ammortizzatori sociali impropri. In tal senso, la motivazione dovrebbe essere illustrata già nel momento in cui l’amministrazione decida di optare per il regime di autoproduzione rispetto a quello di esternalizzazione. [Pena il rischio che] le valutazioni rimesse alla stazione appaltante si riducano a un mero adempimento formale ex post.

Questa raccomandazione, sottolinea ancora l’Osservatorio Cpi, non è stata accolta nella legge sulla concorrenza 2021.

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Categories: Economia e Imprese