Il primo segnale s’era visto sul maldestro decreto Dignità firmato Di Maio, altrimenti ribattezzato decreto disoccupazione, con la stretta anti-imprese sui contratti di lavoro che, anziché combattere realmente il precariato, rischia di provocare 80 mila disoccupati in più e che ha già scatenato la rivolta delle aziende soprattutto nel Nord-Est. Ma poi è arrivata la conferma sull’Ilva, sulla Tav, sull’Alitalia, sulla Cassa depositi e prestiti (Cdp) e, da ultimo, sul taglio delle pensioni da 4 mila euro in su di dirigenti pubblici e professionisti.
Più passano i giorni è più è chiaro dove porta la perversa divisione del lavoro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle in quello strano rapporto di governo che non è mai stato e mai diventerà un matrimonio d’amore ma una relazione di convenienza, o se preferite di potere, certamente sì.
DECRETO DIGNITÀ
Salvini, che ha più personalità e più esperienza politica di Di Maio, fa il bello e il cattivo tempo sui temi caldi dell’immigrazione e della sicurezza ma sull’economia e sulla politica sociale la Lega è palesemente a rimorchio del populismo alle vongole dei Cinque Stelle. Di Maio ha imposto la sua linea anti-industriale nel decreto sul lavoro anche a costo di deludere gli imprenditori del Nord-Est che prima o poi, vivendo di export, dovranno chiedersi quanto sia conveniente investire su un Governo che non riesce mai a cancellare la sua endemica idiosincrasia per l’euro e per l’Europa.
TAV E TAP
C’è da immaginarsi con quanta gioia i piccoli imprenditori lombardi o veneti che hanno scommesso su Salvini abbiamo assistito alle picconate congiunte al Jobs Act sferrate da Di Maio e dalla Cgil di Susanna Camusso. Ma poi s’è aperto il dossier delle infrastrutture. E’ vero che di fronte ai pregiudizi ideologici e ai tentennamenti dei Cinque Stelle di fronte alle grandi opere, Salvini ha alzato la voce ricordando agli alleati che Tav e Tap si devono fare, ma chi giurerebbe sul reale completamento dell’Alta Velocità tra Torino e Lione?
ILVA
In terzo luogo s’è aperto il capitolo Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa che tra occupati e indotto dà lavoro a 20 mila addetti e per il cui rilancio il precedente Governo aveva trovato, non come sostiene sprezzantemente Di Maio, “il primo che passa per strada” ma il più grande gruppo mondiale dell’acciaio, quale è Arcelor-Mittal che s’è impegnato a bonificare l’area e a fare fior dì investimenti per rilanciare lo stabilimento di Taranto.
Il vicepremier grillino sta facendo di tutto per far saltare questo accordo, che ha il torto di essere stato siglato da un governo a guida Pd, anche a costo di penali salatissime che lo Stato si troverebbe a pagare agli indiani, che non aspettano altro. Ma finora la voce della Lega in difesa di un impianto siderurgico che è cruciale per le forniture d’acciaio a tutta l’industria italiana non s’è sentita . Eppure siamo sull’orlo della più grande Caporetto industriale che un governo rischia ingloriosamente di intestarsi.
ALITALIA
Ma che dire dell’Alitalia e della Cassa depositi e prestiti? Qui la Lega non appare succube ma complice degli avventurosi piani grillini. I contribuenti italiani sanno a loro spese quanto sono costati i ripetuti salvataggi pubblici o fintamente privati dell’Alitalia ma l’ineffabile ministro grillino dei Trasporti, Danilo Toninelli, è stato chiarissimo nel caldeggiare il ritorno in mani pubbliche della compagnia aerea che, per i suoi alti costi fissi e il per il suo raggio d’azione sempre più ridotto, non riuscirebbe a raggiungere il pareggio di bilancio nemmeno riempiendo del tutto i suoi aerei, come dimostrò, numeri alla mano, un esperto del calibro dei professor Riccardo Gallo proprio su FIRSTonline.
CASSA DEPOSITI E PRESTITI
I piani di Toninelli, a cui la Lega mostra di tener bordone, non sono chiarissimi ma c’è più di un indizio che, per salvare Alitalia, il ministro grillino abbia intenzione di chiamare in soccorso e perciò di inguaiare le Ferrovie dello Stato o la Cassa depositi e prestiti. Che capolavoro di insipienza! Ma la Lega che fa? Acconsente e si illude che la Cdp, quel tesoretto dovuto alla creatività di Giulio Tremonti e all’opera sagace di presidenti come Franco Bassanini prima e Claudio Costamagna dopo, sia un pozzo senza fondo con il rischio di farla deragliare verso lidi impropri come la trasformazione in banca (sottoposta all’occhiuta vigilanza della Bce) o, peggio, di farla rientrare nel perimetro della Pa con effetti letali per il debito pubblico?
IL TAGLIO DELLE PENSIONI D’ORO
L’ultimo caso che rivela la sorprendente egemonia dei Cinque Stelle sulle politiche sociali a dispetto della Lega è quello dell’avventuroso progetto di tagliare le pensioni superiori ai 4mila euro mensili per finanziare le pensioni minime e quelle sociali. Un altro caso di populismo alle vongole che, per dilettantismo e rancoroso giustizialismo, rischia provocare danni enormi non solo ai pensionati finiti nel mirino ma alla coesione sociale e alle credibilità dello Stato.
Il discusso progetto di legge presentato alla Camera da Lega e Cinque Stelle ha buonissime probabilità di produrre risultati opposti a quelli immaginati: non solo perché le risorse che si raccoglierebbero non basterebbero a finanziare l’innalzamento delle pensioni minime e sociali ma perché – è questo il punto più grave – si metterebbero spudoratamente in discussione i diritti acquisiti, ora di una categoria ristretta di pensionati e domani chissà, con interventi arbitrari e retroattivi che minano le certezze dei cittadini e che odorano con tutta evidenza di incostituzionalità. La Lega ha la fortuna di avere tra le sue file un grande esperto di previdenza come Alberto Brambilla, che infatti ha tutt’altre idee in proposito: che cosa aspetta a dissociarsi da un progetto così avventato?
LA MANOVRA E IL PERICOLO DEI MERCATI
Salvini può anche fare il ducetto sugli immigrati e sulla sicurezza – e anche qui prima o poi bisognerà confrontare i proclami con i risultati reali perchè in due mesi i rimpatri veri sono stati solo 866 ! – ma sull’economia e sulle politiche sociali rischia di pagare un prezzo altissimo al populismo dei Cinque Stelle. La prova del nove è vicina e arriverà a settembre con la manovra di bilancio. E se il suo braccio destro di Salvini, il potente sottosegretario Giancarlo Giorgetti, uno dei pochi che dà del tu al presidente della Bce Mario Draghi, avverte che fra poco potrebbe scatenarsi sull’Italia la tempesta dei mercati una ragione ci sarà. Non perché ci siano davvero complotti in arrivo ma perché il Governo giallo-verde sembra un maestro di autogol e, se non rispetti i vincoli di bilancio, i mercati, in questo caso sì, non ti perdonano.