In dieci anni il settore delle telecomunicazioni ha perso circa il -33% dei ricavi (si tratta del calo più significativo a livello europeo) con una forte distruzione della capacità di generare cassa causata soprattutto da un mercato ipercompetitivo. Questo ha costretto gli operatori ad abbassare i prezzi: nel 2021 sono scesi di quasi il 3% tale da non consentire nemmeno il recupero del tasso di inflazione, mentre il valore complessivo dei ricavi è sceso a 28 miliardi di euro (ed è già in calo anche nel primo trimestre del 2022). È quanto sottolineato dal rapporto Asstel 2022 (l’Associazione di categoria che, nel sistema di Confindustria, rappresenta la filiera delle telecomunicazioni) redatto in collaborazione con il Politecnico di Milano, che fotografa la profonda crisi delle tlc.
Numeri pesanti che gravano su un settore che vale il 2,3% del Pil, dà lavoro a 200mila persone e ha un’incidenza sul totale degli investimenti del 5,3%. E nonostante l’accelerazione dei servizi digitali imposto dall’emergenza sanitaria e l’arrivo del 5G sul mercato, i conti del settore continuano a segnare rosso. Tra il 2011 e il 2021 il calo dei ricavi nel nostro paese è stato del 33%, di gran lunga superiore rispetto la media Ue (Francia -24,7%, Germania – 12,4%, Spagna -16,1%)
A fronte di queste dinamiche di mercato gli operatori e le associazioni di categoria vorrebbero avere più garanzie dal governo. Dopotutto, dalle reti di telecomunicazioni passano numerosi investimenti, i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), necessari per traghettare l’economia italiana nel futuro.
Tlc in crisi: dal 2010 al 2020 investiti quasi 80 miliardi
Gli operatori rivendicano di aver investito nell’ultimo decennio, dal 2010 al 2020, quasi 80 miliardi di euro, soprattutto per costruire l’infrastruttura per la banda ultralarga. Secondo l’Osservatorio sulle comunicazioni Agcom pubblicato ad aprile 2022, nel 2021 il numero di accessi superiori a 100 Mbps è cresciuto del 21% rispetto al 2020, arrivando a valere il 62% delle linee broadband complessive. E dal 2019 al 2021 sono cresciuti anche i volumi di traffico dati da fisso (+79%) e da mobile (+107%).
Il settore chiede una nuova politica dei prezzi
Con ricavi e margini in costante flessione, il settore chiede di trovare una differente politica dei prezzi per favorire da una parte l’investimento privato e dall’altro una sana concorrenza. A preoccupare anche il tema occupazionale: mancano 10mila risorse ha sottolineato Mario Rossetti di Open Fiber. Anche i sindacati sono insoddisfatti e hanno richiesto un tavolo tecnico dedicato con la partecipazione del governo per trovare una soluzione alla profonda crisi che attanaglia le tlc da anni. E i nodi da sciogliere sono tanti: dall’innalzamento dei limiti elettromagnetici e alle semplificazioni normative, oltre un adeguamento inflattivo delle tariffe. Tutto ciò avviene mentre il settore affronta lo snodo strategico della rete unica che dovrebbe favorire l’avanzamento della fibra ottica in Italia.
Il futuro dell’ex monopolista e le incognite per la rete unica
Le trattative proseguono, ma la posizione attendista del fondo di private equity Kkr (azionista al 37,5% in FiberCop, la joint venture cui è stata conferita la rete secondaria di Tim) ha messo in stallo il progetto della rete unica che combinerà gli asset infrastrutturali di Tim raccolti in NetCo con quelli di Open Fiber. Il via libera del fondo, infatti, sbloccherebbe il memorandum tra Tim e i soci di Open Fiber (Cdp e Macquarie) con una conseguente accelerazione del progetto.
A frenare il Fondo americano sarebbe la questione dell’adeguamento tariffario voluto dal Ceo di Tim, Pietro Labriola, che preme per adeguare all’inflazione i prezzi all’ingrosso stabiliti dal progetto di coinvestimento di FiberCop, su cui però deve ottenere l’ok dalle Authority. Elemento che divide per due motivi: in primo luogo andrebbe a beneficio anche di OF, in quanto ne aumenterebbe la valutazione in vista dell’aggregazione con NetCo, e di conseguenza ridurrebbe il peso ddi Kkr (che nell’autunno scorso si era fatto avanti per acquistare tutta Tim ricevendo uno stop dal cda); in secondo luogo, allungherebbe i tempi autorizzativi per l’operazione.
Il fondo americano dal canto suo probabilmente – segnalano gli analisti – preferirebbe ottenere l’adeguamento tariffario in prima battuta per Netco-Fibercop con le sue conseguenze positive per la valutazione di tali asset e solo in un secondo momento discutere della rete unica. Non è chiaro se la proposta di Memorandum of understanding sulla rete unica, dunque, arriverà sul tavolo del Cda Tim convocato per giovedì.