Italia in vendita? Addio ai gioielli di famiglia per fare cassa? Le polemiche che in questi giorni investono le privatizzazioni del Governo sono un po’ surreali. Da quel che si sa il Governo non sembra orientato a cedere il controllo pubblico di nessun asset strategico, ma solo a vendere quote di minoranza di società pubbliche che resteranno in ogni caso sotto il suo controllo anche detenendo una quota azionaria minore. A che servono queste operazioni? Semplicemente a fare cassa per far quadrare i conti del bilancio pubblico. Se ne può fare a meno? In teoria sì ma l’alternativa sarebbe un rimedio peggiore del male perché comporterebbe una crescita del deficit e del debito pubblico oppure il taglio della spesa pubblica o l’innalzamento delle tasse. Che il Governo riesca davvero a centrare l’obiettivo di incassare 20 miliardi in 3 anni dalle privatizzazioni resta dubbio ma parlare di svendita dei gioielli, come fa il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra in vista dell’Opv del 29,7% di Poste Italiane, il cui controllo resterà saldamente in mani pubbliche attraverso la presenza nel capitale della Cdp, appare francamente eccessivo e totalmente infondato.
Privatizzazioni: la vera sfida è sulla strategia generale e sul loro intreccio con le liberalizzazioni
Il problema non è la cessione di quote azionarie di società pubbliche che non ne mettono in discussione il controllo, fatta eccezione per quello che potrà succedere per il Monte dei Paschi di Siena dove la Ue chiede da tempo al Mef di uscire dalla banca senese una volta completato il risanamento, ma la strategia generale e il disegno industriale in cui le privatizzazioni si collocano. Sarebbe il caso che, anziché navigare a vista, il Governo chiarisse quali sono le imprese pubbliche che ritiene strategiche (ma strategiche perché?), e delle quali è perciò raccomandabile vendere solo quote di minoranza, e quali invece vengono considerate less significant come direbbe la Bce e perciò anche totalmente vendibili. Ma sarebbe anche il caso che, oltre alla classificazione aggiornata delle società pubbliche in strategiche e non, il Governo facesse altre due operazioni essenziali. La prima è la definizione di un disegno industriale nel quale inserire le privatizzazioni chiarendo se la cessione parziale o totale di partecipazioni azionarie sono unicamente volte a fare cassa o hanno anche l’obiettivo di concorrere, attraverso la ricerca di alleanze e nuovi partner, alla costruzione di campioni nazionali o europei nei settori in cui operano le società oggetto di privatizzazione.
Non dimentichiamo il caso delle Autostrade
La seconda operazione che ci si attende dal Governo ma di cui non si vede traccia è l’intreccio tra privatizzazioni e liberalizzazioni al fine di evitare che da un monopolio pubblico si passi a un monopolio privato ancor più incontrollabile, come avvenne con la privatizzazione delle Autostrade che, in assenza di una seria e trasparente regolazione e liberalizzazione, fu seguita da un intollerabile aumento dei pedaggi e delle tariffe. E’ su questi, assai più decisivi, terreni che il Governo va incalzato, senza alzare surreali argini preventivi sulla vendita di partecipazioni di minoranza. Il vero cuore della sfida delle privatizzazioni è questo e tocca all’opposizione politica e sindacale, se ne è capace, incalzare il Governo alzando il livello del confronto anziché perdersi in battaglie di retroguardia e di dubbia rilevanza.
Vi faccio i complimenti per il vostro giornale. Non esiste un giornale come il vostro, in giro. Vi dovreste occupare di tutto, fareste il lavoro meglio di tanti altri specializzati. E invece devo sorbirmi il Corriere della Sera o Repubblica. Grazie per questa boccata d’aria.
Grazie dei complimenti che naturalmente ci fanno molto piacere ma che interpretiamo come uno stimolo a fare sempre meglio.