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“Le persone e la fabbrica”, l’inchiesta operaia su 30 anni di lavoro in Fiat

FIRSTonline

La manifattura italiana non è più quella fordista che conoscevamo. La fabbrica non coincide più con quel luogo chiuso e alienante descritto dalla letteratura industriale degli anni ‘50-‘60 e gli operai non sono più le vittime di padroni ricchi e indifferenti, ma dopo anni di lotte, cominciano a prendere parte ad un processo di produzione finalmente diventato bidirezionale. Motore e traino di questa realtà è il settore automobilistico che nel 2015 ha contribuito in maniera determinante alla crescita del PIL italiano fabbricando quasi un milione di veicoli, una cifra che rappresenta in termini percentuali un rialzo del 46% rispetto al 2014.

Il cambiamento e l’evoluzione vissuti dentro e fuori dalle fabbriche italiane viene raccontato in “Le Persone e la fabbrica” (Guerini Next, 220 pagine, 23 euro), un libro nel quale vengono presentati i risultati di un lavoro di ricerca sugli operai di Fiat Chrysler in Italia.

Lo studio, che può essere definito come una vera e propria “inchiesta operaia” sulle condizioni di lavoro in fabbrica negli ultimi 30 anni, è stato condotto dal sindacato Fim Cisl in collaborazione con un gruppo di docenti dei Politecnici di Milano e Torino coordinati dal professor Luciano Pero.

L’opera è stata presentata il 29 febbraio nella sede del Cnel al Villa Borghese. Due ore di dibattito dal titolo, “Il lavoro oggi in Italia” al quale hanno partecipato il nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli, Luigi Covatta di Mondo Operaio, il segretario generale del Censis Giorgio De Rita e lo stesso Pero che ha illustrato nei dettagli i dati raccolti nell’ambito della ricerca condotta su 5.000 operai distribuiti in 30 fabbriche di Fca e Cnh.

Il libro descrive la trasformazione avvenuta nel corso degli ultimi anni nelle fabbriche dell’universo Fiat, un cambiamento che a livello pratico delinea quattro importanti caratteristiche: zero sprechi, zero rotture, zero magazzini e soprattutto zero incidenti per i lavoratori. Il tutto grazie a una nuova organizzazione produttiva chiamata Wcm, acronimo di World Class Manufacturing, un sistema che ridimensiona l’apporto fisico del lavoratore per implementare quello mentale. Il risultato, secondo la ricerca, è proprio una minor fatica fisica per gli operai, una maggior partecipazione, ma anche un aumento dello stress dovuto alla maggior richiesta di collaborazione e ad un ridimensionamento delle pause.

La base di questo nuovo sistema produttivo risiede proprio nel coinvolgimento dell’operaio, nella sua partecipazione, in una vera e propria rivoluzione del metodo di lavoro diretto da un team leader che rappresenta anche un punto di incontro e di confronto tra i lavoratori e il management.

Il Wcm è oggi una realtà in molte fabbriche FCA in italia, prima fra tutte Pomigliano, uno stabilimento che ad oggi rappresenta il meglio della manifattura italiana e internazionale.

Ma, nonostante ciò, c’è ancora molto da fare. Il Wcm non è così facile da realizzare. Lo studio dimostra infatti che l’applicazione del sistema è in stato molto avanzato in alcuni stabilimenti (come Pomigliano, Melfi e Cassino), meno in molte altri altri nei quali, tra l’altro il consenso e la partecipazione degli operai si trova, non a caso, ad un livello molto più basso.

In altre parole c’è ancora molto lavoro da fare, ma soprattutto, come ha sottolineato il sottosegretario Nannicini nel corso del dibattito tenutosi al Cnel non si devono considerare i progressi fatti come un punto d’arrivo. “La ricerca dimostra che là dove si è provato ad innovare, i modelli organizzativi hanno raggiunto dei risultati. Io credo – ha continuato il sottosegretario – che il cambiamento si realizzi quando lo vuole il lavoratore. Gli operai di Pomigliano lo hanno voluto e hanno vinto”.

In riferimento al Wcm, Nannicini ha sottolineato come il modello di partecipazione organizzativa rappresenti “un modello di innovazione a cui il Governo guarda con molta attenzione”, soprattutto in vista del decreto sugli incentivi per la contrattazione di secondo livello. Ma nonostante ciò la partecipazione “deve essere considerata un obiettivo e non un risultato.” “Dietro le luci  – ha aggiunto il sottosegretario – ci sono anche le ombre”. Il grado di partecipazione è ancora troppo unidirezionale e i suggerimenti dei lavoratori devono essere accolti e convogliati meglio dai manager. “Leggendo questa ricerca si respira la sfida del cambiamento. Resta però l’interrogativo sul fatto che questa sfida si trovi davvero a metà del suo percorso e se si stia verificando un rallentamento. Bisogna fare il secondo passo e lasciarsi il guado alle spalle”, ha concluso il sottosegretario.

Il segretario della Fim Marco Bentivogli ha ricordato le passate difficoltà della Fiat, un’azienda che nel 2003 sembrava condannata al fallimento e usufruiva di cospicue risorse pubbliche. “Oggi è facile parlare di Fiat, perché sono ripartiti gli investimenti, domani si aprirà il Salone dell’Auto di Ginevra e Fca porterà molti nuovi modelli anche grazie agli accordi sottoscritti, tra cui il Maserati Levante realizzato a Mirafiori fino ad arrivare alla nuova Giulia, prodotta da marzo a Cassino. In mezzo però – ha ricordato il sindacalista –  c’è chi ha combattuto per questo, perché ci ha creduto, mentre gli altri dicevano che, anche per colpa del sindacato, il “progetto Pomigliano” era morto.”

“La Fim, grazie alla contrattazione, ha sfatato il falso mito – ha continuato Bentivogli – sostenuto anche da molti economisti, che l’unico modo per garantire la ripresa sia depauperare i salari e peggiorare le condizioni di lavoro: il WCM è l’esatto contrario ed è il paradigma che ha riscritto in positivo la narrazione del lavoro. Investire sull’organizzazione del lavoro significa investire sulle persone. Nel medagliere del WCM non c’è solo l’aumento della produttività, ma anche altri importanti fattori: ad esempio il risparmio delle risorse naturali, dell’energia o la riduzione degli infortuni”.

Infine, ha concluso il segretario di Fim: “Dobbiamo fare un salto di qualità. Il solo coinvolgimento dei lavoratori non basta: il nuovo contratto e la nuova fabbrica devono essere laboratori di vera e concreta partecipazione per non sprecare e continuare ad alimentare l’entusiasmo dei contributi offerti dai lavoratori”.

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