In Francia i fumetti sono una cosa serissima. Sono ben disegnati, hanno storie spesso interessanti e sono letti da un vasto pubblico di tutte le età. Nell’autunno del 2015 La Présidente, un album di politica futuribile che segue giorno per giorno l’inizio della presidenza Le Pen, è stato per alcune settimane in testa alle classifiche e ha venduto 150mila copie. Un buon successo hanno avuto anche il secondo album della serie, Totalitaire, e il terzo, La Vague, la cui copertina ritrae la Le Pen appena rieletta al secondo mandato con alle sue spalle Putin e Trump.
La sceneggiatura de La Présidente è opera di François Durpaire, che ha conseguito il dottorato a Sciences Po (la mitica facoltà di scienze politiche della Sorbona) e che, da attivista multiculturalista, è agli antipodi ideologici del Front National. Benché dunque fiero oppositore, Durpaire ha avuto l’intelligenza politica di immaginare possibile la Le Pen all’Eliseo già due anni fa, quando nessun analista si sognava di prendere in considerazione l’ipotesi, e di cercare di calarsi nella testa di Marine Le Pen (e non in quella di una sua caricatura di comodo) per descriverne le contraddizioni, le difficoltà e le scelte sofferte.
Nel 2015 Durpaire immaginava per quest’anno un ballottaggio tra Hollande e la Le Pen. Nemmeno il suo pessimismo sulla capacità di tenuta delle classi dirigenti francesi è stato quindi in grado di prevedere un così rapido deterioramento della loro capacità di egemonia.
Oggi non solo Hollande è uscito completamente di scena, ma i due pilastri storici del repubblicanesimo francese, gollisti e socialisti, sono ridotti all’ombra di se stessi e si preparano a coalizzare le loro forze residue per opporsi al montare della destra lepenista e della sinistra massimalista.
Nell’immaginare la Le Pen all’Eliseo Dupraire non ipotizza niente di più e niente di meno dell’attuazione del programma del Front National. Nessun colpo di mano autoritario, del resto estraneo alla psicologia del personaggio, ma rapida attuazione dei punti relativi all’immigrazione e all’uscita dall’euro, resi possibili da una risicata maggioranza parlamentare nata dalla spaccatura del gruppo gollista. La Francia precipita velocemente in recessione e il governo è costretto ad adottare misure di austerità in un contesto sempre più drammatico (un punto interessante perché in contrasto con le intenzioni espansive della piattaforma elettorale).
L’intento di Durpaire è didascalico, ecco quello che succederebbe se il programma venisse applicato alla lettera. In realtà le possibilità che questo accada sono ridottissime. Vediamo perché.
In primo luogo va ricordato che la Francia non è una repubblica presidenziale come gli Stati Uniti, bensì semi-presidenziale. In America Trump è presidente e capo del governo, in Francia l’Eliseo deve coabitare, nel caso, con governi di segno politico diverso. In queste settimane abbiamo visto tutti i limiti dei pur vasti poteri della Casa Bianca, che si deve confrontare con un Congresso inconcludente e con una magistratura e una burocrazia ostili. In Francia sarebbe ancora peggio. La Le Pen si troverebbe ad avere a che fare con un governo socialista, presieduto da Cazeneuve, che ha già dichiarato che non si dimetterebbe e che potrebbe essere sfiduciato solo dal Parlamento e solo alla fine di giugno, dopo le elezioni politiche.
Le elezioni di giugno, a loro volta, vedrebbero il Front National ancora minoritario all’Assemblea Nazionale e quasi inesistente al Senato, che oltretutto si rinnova solo per metà. La Le Pen si troverebbe quindi a dovere offrire a un gollista la possibilità di formare un governo.
Per avere qualche speranza di non essere sfiduciato dal parlamento il primo ministro non dovrebbe puntare su una spaccatura del blocco gollista ma dovrebbe essere autenticamente centrista e non filolepenista. Un governo centrista siffatto potrebbe concedere qualcosa all’Eliseo su immigrazione e pensioni, ma non accetterebbe mai di collaborare all’uscita dall’euro.
Per uscire dall’euro la Le Pen dovrebbe allora percorrere una strada lunga e faticosa. Dovrebbe indire un referendum costituzionale per cambiare la legge elettorale, tornare a votare un’altra volta, vincere, ottenere una maggioranza parlamentare sufficiente a potere indire un referendum sull’euro e vincerlo. Oltre a queste condizioni oggettive, la Le Pen ne ha posta una soggettiva. Prima di indire il referendum sull’euro, ha detto, aspetterà le elezioni italiane del 2018 e valuterà dal loro esito se procedere o no. La Le Pen non ha aggiunto altro, ma è facile dedurre che se in Italia non prevarrà una coalizione antieuro, allora anche la Francia lascerà in qualche modo cadere la questione.
La Le Pen all’Eliseo sarà dunque una presidente più che dimezzata che produrrà un mal di pancia permanente e debilitante alla Francia e all’Europa senza però portarle sull’abisso a meno che non arrivino i soccorsi dall’Italia. Evitare a tutti i costi che Francia e Italia si saldino sarà dunque la massima preoccupazione della Germania, che cercherà comunque di tenere in piedi il progetto europeo in attesa di tempi migliori.
La vittoria di Mélenchon si troverà ad affrontare ostacoli molto simili a quelli che abbiamo visto per la Le Pen. Per avere una maggioranza in parlamento il primo ministro dovrà essere un socialista moderato e proeuro. Le stesse posizioni di Mélenchon si sono addolcite negli ultimi giorni. Ora l’uscita dall’euro è una misura estrema da considerare solo dopo l’eventuale fallimento di una rifondazione radicale dell’unione monetaria. In pratica Mélenchon si ritaglierà qualche spazio in politica estera, si farà vedere spesso con Maduro e con Raùl Castro, ma tutto finirà lì.
Paradossalmente, come scrive Politico (un sito decisamente prosistema), il rischio maggiore per la Francia è che tutto resti come è oggi, che un Macron inesperto o un Fillon sempre sulla difensiva non abbiano la forza né di proporre ai francesi le riforme chieste dalla Germania né di rinegoziare con la Germania i termini dell’Unione. Una grande coalizione tra socialisti e gollisti farebbe contenti i mercati, ma a lungo andare rafforzerebbe le forze antisistema, che in Francia sono sempre endemiche. Una recessione globale, anche più modesta di quella del 2008, renderebbe irresistibile, in una larga parte dell’elettorato, la voglia di sperimentare davvero qualcosa di nuovo.
Per il momento continuiamo quindi a pensare che per la Le Pen e per Mélenchon i tempi non sono ancora maturi, che Macron salirà all’Eliseo e che i mercati tireranno un sospiro di sollievo che porterà il dollaro a 1.10 e le borse europee su nuovi massimi di periodo. C’è ancora qualche ora per comprare qualche call.