“E’ sicuramente vero che oggi per l’Italia, ma anche per gran parte dell’Europa, il problema della crescita è prioritario. Nel breve periodo quindi è giusto cercare di sostenere la domanda interna. Ma guardando al medio periodo occorre considerare che la crescita non potrà essere sostenuta se non si punterà sull’aumento degli investimenti pubblico-privati, e se questo obiettivo non verrà perseguito in maniera condivisa e coordinata a livello europeo”. Marcello Messori, professore alla Luiss dove dirige la Scuola di European Political Economy, è stato presidente di Assogestioni e per due anni delle Ferrovie dello Stato. Con lui valutiamo dopo l’approvazione della legge di Stabilità le prospettive dell’economia italiana e la strategia da adottare nei confronti dell’Europa per imboccare davvero la strada dello sviluppo duraturo.
Per la prima volta dopo molti anni di sacrifici abbiamo appena varato una legge di bilancio moderatamente espansiva. Che giudizio se ne può dare e sarà sufficiente a “voltare pagina”?
MESSORI – “Rilanciare la domanda interna è necessario perché è assurdo pensare che tutti i Paesi europei possano seguire il modello della Germania, la cui crescita è trainata dall’ export. In Italia, peraltro, abbiamo visto negli ultimi mesi che le esportazioni nette non hanno dato un apporto positivo alla crescita nonostante il permanere di condizioni esterne (dollaro, costo del denaro e prezzo del petrolio) molto favorevoli. Quindi dare un sostegno al rimbalzo dei consumi interni è opportuno sia per ragioni economiche che per ragioni sociali, dopo un lungo periodo di crisi. Ma se vogliamo che questa crescita non si esaurisca in una sola fiammata, dobbiamo saper puntare su un aumento degli investimenti pubblici e privati in modo da dare solide basi a un rilancio della competitività”.
Ma gli investimenti privati stentano a ripartire mentre per quelli pubblici ci sono i vincoli europei e per Paesi come l’Italia, bisogna tener conto del peso del debito accumulato nel passato.
MESSORI – “Sicuramente dopo un così lungo periodo di crisi i privati rimangono cauti. Di conseguenza, sono gli investimenti pubblici che devono innescare prospettive più solide di crescita in modo da stimolare anche quelli dei privati. Ma nei Paesi ad alto debito gli spazi per investire denaro pubblico, rendendo così meno incerta e friabile l’attuale ripresa, sono molto stretti. Quindi bisogna che si intervenga a livello europeo dove qualche piccolo passo in avanti si è tentato con il piano Juncker, ma si tratta ancora di iniziative quantitativamente modeste e soprattutto che stanno perdendo l’aspetto comunitario dato che ogni Paese tende a rinazionalizzare i vari progetti”.
Quindi come bisogna fare per far cambiare l’attuale indirizzo dell’ Europa?
MESSORI – “Non credo che le schermaglie polemiche attuali siano molto utili: non solo perché non favoriscono il clima di fiducia necessario per poter impostare una solida cooperazione, ma anche perché si concentrano su obiettivi di breve periodo che anche quando dovessero portare a un qualche allentamento del ‘rigore’, non sarebbero in grado di assicurare un duraturo sentiero di crescita ai paesi più in difficoltà. Infatti oggi tutte le polemiche si incentrano sulla richiesta da parte dei Paesi più deboli di maggiore flessibilità di bilancio alla quale la Germania e gli altri Paesi del Nord rispondono cercando di mettere più regole, come ad esempio quella tendente a considerare rischiosi i titoli di Stato posseduti dalle banche dei Paesi indebitati, o rifiutando di procedere al completamento dell’unione bancaria attraverso la messa in comune del Fondo di garanzia sui depositi inferiori a 100 mila euro. Siamo sempre nella logica dei compiti a casa come primo passo per poi procedere a una maggiore integrazione europea. In questo modo forse qualche Paese può ottenere una boccata d’ossigeno ma certo non riuscirà a raggiungere una definitiva uscita dalla stagnazione. Occorre invece impostare la discussione sulla necessità di arrivare ad un grande piano condiviso a livello europeo, capace di rassicurare i Paesi più forti come la Germania che non saranno chiamati a pagare per le carenze degli altri e quelli più deboli di beneficiare degli investimenti necessari a innalzare la produttività dei fattori senza la quale qualsiasi sostegno alla domanda per consumi non avrebbe il fiato sufficiente per tramutarsi in una duratura crescita”.
Posto che l’Europa di oggi appare divisa su molti terreni oltre che su quello economico, come l’immigrazione o la politica estera e militare, come si potrebbe arrivare a formulare un simile piano che implica un forte coordinamento da parte di Bruxelles ed il ripristino di una piena fiducia tra i vari Paesi?
MESSORI – “Certo bisognerebbe essere disposti a cedere quote di sovranità nazionale in cambio di una più stretta cooperazione economica che dia prospettive di crescita ai Paesi più deboli che con le vecchie logiche del prima mettete ordine in casa vostra poi rafforziamo la cooperazione, non potranno mai farcela. Insomma per superare i rischi di una ‘stagnazione secolare’ europea bisognerebbe procedere verso una più stretta integrazione, potremo chiamarlo un federalismo a bassa intensità, in modo da portare avanti contemporaneamente le riforme necessarie in ogni singolo paese e gli investimenti indispensabili per aumentare la competitività. Certo è un piano ambizioso, ma ha dalla sua la forza di essere l’unico che può assicurare risultati veramente duraturi. Il piccolo cabotaggio della flessibilità nei conti pubblici, in cambio di regole più stringenti sta portando ad una diminuzione ulteriore della fiducia reciproca, all’aumento dei sospetti dei Paesi più forti nei confronti di quelli più deboli e soprattutto sfocerebbe nel mancato superamento dei problemi di competitività dei paesi in difficoltà, condannandoli quindi a non uscire effettivamente dalla crisi”.
Ma i Paesi più deboli dovrebbero comunque fare profonde riforme. E come rassicurare gli altri sul fatto che un allentamento del rigore non provocherà, come già successo in passato, un accantonamento delle riforme che sono politicamente difficili?
MESSORI – “Gli investimenti comportano grandi cambiamenti organizzativi e quindi dovranno cambiare le specifiche dei lavoratori sia dal punto di vista culturale sia da quello delle modalità di impiego. Bisognerà quindi arrivare ad una profonda revisione del Welfare, con implicazioni rilevanti in campo politico e sociale. Poi ci sono i problemi della PA e della Giustizia. Quanto agli strumenti che si possono utilizzare si era tempo fa avanzata in sede europea la proposta di stipulare un ‘accordo programmatico’ vincolante tra Bruxelles e i governi dei vari Paesi proprio per gestire questa ‘traversata’ verso l’attuazione di questo importante progetto coordinato. La discussione su questo possibile strumento si è interrotta per difficoltà politiche. Perché l’Italia non si fa portatrice di uno strumento del genere cercando di far venire allo scoperto le resistenze di qualche Paese?”.
Un piano del genere per avere successo, e cioè per offrire un quadro stabile e credibile agli operatori privati affinché riprendano ad investire, richiede anche un mercato finanziario ben funzionante ed un sistema bancario capace di allocare in maniera appropriata le risorse. Le banche italiane, come dimostrano le crisi più recenti, non sembrano oggi in grandi di svolgere questo compito.
MESSORI – “La crisi esplosa in questi giorni ha radici lontane. Già all’inizio degli anni 2000 sostenni che le banche italiane stavano facendo troppo credito alle imprese e ai privati. Questo comportò uno squilibrio tra la raccolta e gli impieghi nel senso che il risparmio nei conti correnti non era sufficiente e allora le banche fecero ricorso all’emissione di obbligazioni collocandole anche, unico Paese in Europa, ai privati risparmiatori. Tra queste c’erano anche obbligazioni subordinate. In più la Consob commise un gravissimo errore a togliere dai prospetti la valutazione del rischio lasciando così gli investitori in balia di un mercato opaco. In generale il cambiamento delle regole europee, che in sé può essere anche positivo, avrebbe dovuto riguardare solo il futuro e non anche il passato, cioè avrebbe dovuto esserci un’entrata in vigore graduale e non un taglio secco come invece c’è stato. Nel complesso, mentre è impossibile, se non in un’analisi caso per caso, valutare la tempestività degli interventi della Banca d’Italia, si può dire che la protezione dei risparmiatori, che era compito della Consob, è stata inadeguata”.