“La bolla delle Borse cinesi? Più che una bolla mi sembra un petardo per il fragore ma anche per l’inconsistenza. Non credo proprio che avrà effetti sulla crescita della Cina e che contagerà gli altri mercati finanziari”. Franco Bernabè, top manager tra i più celebri a livello internazionale, è un profondo conoscitore della Cina, dove è stato per 15 anni nel board di PetroChina ed è appena tornato da Hong Kong e da Shanghai a conclusione di una delle sue periodiche missioni d’affari per Barclays, di cui è senior advisor dopo aver lasciato la presidenza di Telecom Italia. E’ la persona giusta per cercare di capire che cosa stia realmente succedendo in Cina e sui suoi mercati ma anche per un giro d’orizzonte sugli altri grandi temi internazionali che stanno infiammando l’estate: dall’accordo sul nucleare iraniano alla crisi della Grecia e all’accordo dell’Eurosummit. L’intervista che Franco Bernabè ha concesso in esclusiva a FIRSTonline riserva non poche sorprese, soprattutto sul debito greco ma non solo.
FIRSTonline – Dottor Bernabè, lo scoppio della bolla delle Borse cinesi è tra gli avvenimenti, non solo finanziari, che più hanno impressionato il mondo e la comunità finanziaria internazionale. Lei è appena tornato da Hong Kong e da Shanghai, che situazione ha trovato e come vede lo scenario cinese?
Bernabè – Più che una bolla mi sembra che sia scoppiato un petardo. La bolla è un processo di lunga incubazione come si vide agli inizi del Duemila in America con la bolla delle dot.com. Non è il caso della Cina dove c’è stato un crollo dei listini azionari dell’ordine del 35% in un mese ma dopo un’ascesa del 150% negli ultimi dodici mesi. Mi sembra che all’origine della caduta di Borsa ci sia un fattore unico, che è la forte passione dei cinesi per il gioco d’azzardo: quando hanno scoperto la Borsa pensavano che fosse come al casinò e hanno cominciato a comprare titoli a debito, ma alla fine molti di loro si sono scottati e quando è cominciato il sell off per alcuni investitori è stata una catastrofe, per fortuna dagli effetti circoscritti.
FIRSTonline – Ammetterà che il caso cinese resta però un unicum sulla scena finanziaria ma anche politica internazionale: non s’era mai visto uno Stato e un partito comunista sponsorizzare tanto vistosamente la Borsa e poi ricorrere a tutte le armi dell’interventismo e del dirigismo statale per spegnere l’incendio. Ma ora il problema è capire se quanto è successo avrà effetti sull’economia reale e contagerà o no gli altri mercati finanziari: Lei che ne pensa?
Bernabè – Certamente la regolamentazione finanziaria in Cina ha ancora limiti e irrisolti appaiono i problemi legati al ruolo delle grandi imprese pubbliche e a quello della politica monetaria, ma quanto è successo in Borsa è un fatto più marginale di quel che sembra in Occidente e soprattutto è senza effetti sistemici sia sull’economia che sui mercati.
FIRSTonline – Per le nuove generazioni cinesi, che sono state abituate a una crescita a due cifre, anche un piccolo rallentamento del Pil può generare ansia: in questo momento in Cina ci sono timori sul futuro dell’economia?
Bernabè – Non nel senso con cui pensiamo noi. In realtà i cinesi non ne possono più di una crescita troppo accelerata che ha devastato l’ambiente rendendo l’aria irrespirabile e inquinando il cibo e i fiumi. E il nuovo piano quinquennale testimonia che lo Stato cinese è consapevole di dover riorientare la crescita in modo più equilibrato e più attento all’ambiente, rimediando alle devastazioni di decenni di crescita spasmodica. La verità è che la Cina sta cambiando in corsa il modello di sviluppo, che sarà meno export oriented e più attento ai consumi interni e alla qualità della vita.
FIRSTonline – Negli stessi giorni in cui si consumava la turbolenza di Borsa in Cina, è maturato un altro avvenimento epocale nel mondo con l’accordo sul nucleare iraniano: è un “accordo storico” come dice il presidente Obama o un “tragico errore” come sostiene Israele?
Bernabè – Non lo sa nessuno. Si può dire quel che si vuole dell’accordo ma solo il futuro dirà se si è trattato realmente di un “accordo storico” o di “tragico errore”. Molto dipenderà dalle classi dirigenti iraniane e dalle conseguenze sulle dinamiche di un’area del mondo molto complessa. Sarebbe schematico pensare che l’accordo cambi solo i rapporti tra sciiti e sunniti perché la dialettica dentro i due campi è molto forte e le distinzioni e i contrasti tra gli Emirati Arabi rispetto al Qatar così come tra Egitto e Turchia sono di tutta evidenza. Nessuno può prevedere oggi se nel campo dei sunniti prevarrà l’asse Arabia-Egitto o quello, molto più ambiguo nei confronti delle minacce dell’Isis, composto da Turchia e Qatar.
FIRSTonline – Il futuro dipenderà però anche dall’America e da Israele.
Bernabè – Certamente. Ma per ora è difficile capire se l’accordo è realmente il frutto di una svolta di lungo periodo maturata nell’establishment americano o l’espressione della legittima ambizione di pace di un Presidente in uscita come Obama. Solo il futuro dirà se è stata una scelta giusta oppure no, ma auguriamoci che l’accordo faccia evolvere l’Iran in una direzione più favorevole all’Occidente e che la parte laica e riformista della sua classe dirigente cancelli decenni di oscurantismo e prenda finalmente il sopravvento. Ma speriamo anche che l’Occidente non ripeta gli errori drammatici compiuti in Iraq o in Libia.
FIRSTonline – Lei è stato a lungo anche l’amministratore delegato dell’Eni: al di là della geopolitica, che effetti avrà l’accordo iraniano sul mercato petrolifero?
Bernabè – Nel breve periodo gli effetti non saranno eclatanti perché oggi il mercato prolifero è condizionato da tre elementi: 1) la resilienza, molto al di là delle aspettative, della produzione di shale oil che avvicina la produzione americana alla soglia dei 10 milioni di barili al giorno; 2) la crescita della produzione di greggio dell’Iraq; 3) il mantenimento dei livelli produttivi dell’Arabia Saudita in parte per non perdere quote di mercato e in parte per alimentare la domanda interna.
FIRSTonline – Ma per le grandi compagnie petrolifere occidentali come l’Eni l’accordo iraniano presenta più vantaggi o più rischi?
Bernabè – Dipenderà dalle condizioni e dai prezzi ma certamente la possibilità di nuove esplorazioni fa sperare in una crescita del business.
FIRSTonline – La crisi greca, insieme alle turbolenze finanziarie della Cina e all’accordo sul nucleare con l’Iran, è il terzo elemento che, in questo luglio bollente, ha scosso i mercati e la comunità internazionale: sul nuovo accordo tra l’Europa e Atene sono piovute molte critiche e certamente i limiti sono evidenti, ma aver evitato Grexit e aver finalmente avviato la Grecia sulla via delle riforme è proprio un risultato da disprezzare?
Bernabè – Tutt’altro, soprattutto per come si erano messe le cose in quel drammatico Eurosummit del 12 luglio. E’ stata una vicenda quasi incredibile per la superficialità con cui è stata condotta e proprio per questo pericolosissima. La generale assenza di razionalità e di lungimiranza dei diversi protagonisti in campo ha rischiato di provocare disastri e di distruggere l’euro. Per fortuna all’Eurosummit c’era anche una persona come Mario Draghi che non ha mai perso la lucidità e che ha una visione molto chiara dei problemi. E alla fine c’è stato un guizzo di buon senso che ha portato a una conclusione positiva tra Europa e Grecia anche se in modo un po’ casuale.
FIRSTonline – Come hanno rilevato Fmi e Bce, sul tappeto resta però l’ingombrante problema del debito greco: cancellarlo, tagliarlo o ristrutturarlo? Come andrà a finire?
Bernabè – C’è un grosso equivoco sul debito greco che, al punto in cui si è arrivati, è sostanzialmente un falso problema. Con tassi medi all’1%, molto più leggeri di quelli che l’Italia paga sul suo debito, e con un allungamento delle scadenze al 2042 e un possibile ulteriore allungamento, il debito greco è di fatto già ristrutturato. Il problema è solo di rappresentazione nei bilanci del Fondo Monetario e della Bce perché il valore reale del debito greco, se venisse calcolato con il criterio del mark to market, è molto più basso dei 350 miliardi di valore nominale. La riduzione del debito greco è già nei fatti. Semmai il problema grosso è un altro.
FIRSTonline – Vale a dire?
Bernabè – Il caso greco ma anche quello dei migranti ha fatto chiaramente vedere che l’Europa è tornata paurosamente indietro al tempo della pace di Westfalia che escludeva ogni interferenza e ogni vera integrazione nelle relazioni tra Stati sovrani. La spinta utopica di una nuova Europa che ha caratterizzato il secondo dopoguerra si è dissolta e oggi si assiste all’Europa delle patrie di cui parlava De Gaulle. Ci sono tanti poli sullo scacchiere continentale: c’è la Germania, c’è la Gran Bretagna che rema contro l’Europa in linea con la sua storia, c’è la Russia ma non c’è più l’Europa.