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Le famiglie italiane risparmiano e investono meno ma preferiscono i titoli esteri

A settembre 2016, il valore delle attività finanziarie delle famiglie italiane è sceso sotto i 3.900 miliardi di euro, con una flessione superiore ai 100 miliardi rispetto alla fine del 2015. Oltre le oscillazioni delle quotazioni azionarie, la ricchezza soffre le difficoltà mostrate nell’accantonare nuovo risparmio, conseguenza della debole dinamica del reddito.

Prima della crisi, ogni italiano riusciva ad investire in media ogni anno quasi 2mila euro di nuove risorse in attività finanziarie; tra il 2012 e il 2016, siamo scesi sotto i 320 euro. Un calo molto più ampio di quello vissuto dalle famiglie francesi, mentre quelle tedesche sono le uniche ad essere riuscite ad aumentare i flussi di nuovi investimenti finanziari.

Le famiglie italiane sono oggi ancora ricche, ma lo sono meno di quanto lo fossero in passato. Alla metà degli anni Duemila, ogni italiano aveva in media quasi 70mila euro di attività finanziarie, mentre in Francia ci si fermava a 55mila e in Germania a 50mila. Oggi, la situazione si è invertita: francesi e tedeschi si sono avvicinati a 70mila euro di ricchezza media, gli italiani sono scesi sotto 65mila.

Le famiglie italiane sono state anche chiamate a modificare la composizione del proprio portafoglio finanziario, per adeguarla ad un contesto esterno sempre più diverso dal passato. I bassi tassi d’interesse, oltre ad una diversa valutazione del rischio, hanno, ad esempio, reso sempre meno conveniente l’investimento in titoli obbligazionari, sia privati che pubblici, mentre le preoccupazioni per il futuro hanno mantenuto alto l’interesse per la liquidità, accrescendo il peso dei depositi.

Alla ricerca del giusto equilibrio tra rischio e rendimento, le famiglie si sono sempre più orientate verso una gestione professionale del risparmio. Tra il 2012 e il 2016, oltre 330 miliardi di euro di nuove risorse sono stati investiti in fondi comuni e prodotti assicurativi e previdenziali, che nel loro complesso si sono avvicinati ai 1.400 miliardi di valore, arrivando ad assorbire il 35% del patrimonio. Questa profonda ricomposizione ha reso il portafoglio delle famiglie italiane sempre più internazionalizzato. 100 dei 170 miliardi di euro investiti in fondi comuni negli ultimi cinque anni sono stati direttamente destinati a strumenti emessi da non residenti.

Ma, anche una parte significativa di quanto investito in prodotti gestiti da società residenti in Italia è finito in titoli esteri, come conseguenza sia della tipologia di prodotto scelto che della diversificazione effettuata dalla società di gestione. Un’internazionalizzazione del portafoglio che appare in Italia più profonda di quanto sperimentato nelle altre principali economie europee.

La minore capacità di risparmio penalizza la ricchezza delle famiglie italiane

Durante la prima parte della crisi, le famiglie italiane avevano sofferto una brusca flessione del valore della ricchezza finanzaria: dagli oltre 4mila miliardi raggiunti nel 2006 si era passati a poco più di 3.400 nel 2011. Una perdita prossima ai 600 miliardi che era stata poi quasi interamente recuperata nei tre anni successivi, grazie ad una crescita costante che aveva portato il valore delle attività ad avvicinarsi nuovamente ai È una delle tante eredità della crisi, che manifesta i suoi effetti nonostante la ripresa in corso. Tra il 1995 e il 2008, le famiglie riuscivano ad investire in media ogni anno oltre 100 miliardi di euro di nuove risorse in attività finanziarie. Durante la prima recessione eravamo scesi poco sotto i 40; negli ultimi cinque anni, siamo crollati intorno ai 20, meno di un quinto di quanto veniva registrato tra il 1995 e il 2008.

La minore capacità di accantonare risparmio appare ancora più evidente se dai valori aggregati si passa a quelli pro-capite. Tra il 1999 e il 2008, ogni italiano riusciva in media ad investire ogni anno quasi 2mila euro di nuove risorse in attività finanziarie; tra il 2012 e il 2016, siamo scesi sotto i 320 euro. Un calo superiore all’80%, che risulta molto più ampio di quello vissuto dalle famiglie francesi, passate da quasi 1.800 a poco più di 1.300 euro. Diversa la storia per quelle tedesche, che sono, invece, le uniche ad essere riuscite ad aumentare i flussi di nuovi investimenti finanziari, superando i 2mila euro medi annui pro-capite.

Senza dubbio, le famiglie italiane sono oggi ancora ricche; lo sono, però, meno di quanto lo fossero in passato. Alla metà degli anni Duemila, ogni italiano aveva in media quasi 70mila euro di attività finanziarie, mentre la ricchezza pro-capite si fermava a 55mila in Francia e 50mila in Germania. Oggi, la situazione si è invertita: francesi e tedeschi si sono avvicinati a 70mila euro di ricchezza media, gli italiani sono scesi sotto 65mila. 

Molti depositi, più fondi, meno obbligazioni nel patrimonio delle famiglie italiane

Gli effetti della crisi non si fermano, però, al seppur significativo impatto sulle capacità di accantonare nuovo risparmio. Le famiglie sono state, infatti, chiamate anche a modificare la composizione del portafoglio, per adeguarla ad un contesto esterno sempre più diverso dal passato. I bassi tassi d’interesse hanno, ad esempio, reso sempre meno conveniente l’investimento in obbligazioni, sia private che pubbliche. I titoli bancari, che negli anni precedenti la crisi avevano attratto l’attenzione dei risparmiatori, con quasi 300 miliardi di euro di nuove risorse investite tra il 1995 e il 2008 e una quota nel portafoglio salita oltre il 10%, hanno sofferto in maniera significativa, anche come conseguenza di una diversa valutazione del rischio, risultato dei cambiamenti apportati alla normativa europea.

Tra il 2012 e il 2016, le famiglie hanno disinvestito 225 miliardi di euro di obbligazioni bancarie, arrivando a destinargli solo il 4% del portafoglio. I titoli di stato già prima della crisi avevano perso importanza, arrivando ad assorbire solo una piccola porzione del risparmio. Alla metà degli anni Novanta, le famiglie investivano in titoli di stato circa un quinto del patrimonio, con un maggior peso per la componente a breve termine. Tra il 1995 e il 2008, furono, però, disinvestiti quasi 140 miliardi di euro, portando la quota nel portafoglio a poco più del 5,5%. Le vendite sono proseguite negli anni successivi, avvicinandosi tra il 2012 e il 2016 a 140 miliardi e portando il peso sul totale delle attività finanziarie al 3%.

Alla ricerca del giusto equilibrio tra rischio e rendimento, le famiglie si sono sempre più orientate verso una gestione professionale del risparmio. I fondi comuni, che nella prima parte degli anni Duemila avevano perso importanza, con la quota sul totale del portafoglio scesa dal 18,8% del 1999 al 6,4% del 2008, sono tornati al centro dell’attenzione dei risparmiatori. Tra il 2012 e il 2016, oltre 170 miliardi di euro di nuove risorse sono stati destinati a questa tipologia di investimento, con un peso sempre maggiore dei prodotti emessi da società non residenti, che sono riuscite a raccogliere quasi 100 miliardi negli ultimi cinque anni. La quota di patrimonio assorbita dai fondi comuni è, dunque, cresciuta, superando il 12%.

Anche i prodotti assicurativi e previdenziali hanno acquisito importanza, con oltre 160 miliardi di nuovi investimenti effettuati a partire dal 2012, con la quota nel portafoglio che ha superato il 23%. Nel complesso, il valore investito nelle gestioni professionali del risparmio, considerando sia i fondi comuni che i prodotti previdenziali e assicurativi, si è avvicinato ai 1.400 miliardi, arrivando ad assorbire oltre il 35% del patrimonio, il valore più alto degli ultimi venti anni.

Nelle scelte di investimento delle famiglie rimane, però, evidente la preoccupazione per il futuro, che porta a mantenere alto l’interesse per la liquidità. Nonostante rendimenti nulli, tra il 2012 e il 2016, quasi 160 miliardi di euro di nuove risorse sono stati accantonati nei depositi. Il saldo complessivo ha raggiunto i 1.300 miliardi, circa un terzo del totale della ricchezza finanziaria. Analizzando la composizione del risparmio, un ultimo aspetto merita di essere approfondito. Da sempre, le famiglie hanno mostrato un costante interesse per l’investimento in azioni e partecipazioni, che nell’esperienza italiana è costituito per la quasi totalità da titoli di società non quotate, rappresentative dell’investimento nelle piccole e medie imprese, l’ossatura del nostro sistema produttivo. Dopo essere quasi quadruplicato nei dieci anni precedenti la crisi, superando nel 2006 i 1.300 miliardi di euro, il valore complessivo delle azioni e partecipazioni si era ridotto di circa il 50%, come effetto della prima recessione, per poi recuperare parte di quanto perso ed avvicinarsi nuovamente ai 1.000 miliardi nel 2015.

Durante lo scorso anno, il valore di questo investimento ha, però, registrato una nuova profonda flessione, perdendo quasi 150 miliardi, principalmente come conseguenza della minore valutazione attribuita alle partecipazioni non quotate. Analizzando quanto accade a questa tipologia di investimento, l’aspetto che merita di essere sottolineato non è, però, tanto l’oscillazione del valore, che, risentendo di diversi fattori, mostra un elevato grado di volatilità, quanto piuttosto l’andamento dei flussi delle nuove risorse investite. Dallo scoppio della crisi, gli investimenti in azioni e partecipazioni non quotate sono aumentati sensibilmente. Tra il 1995 e il 2008, i flussi di nuove risorse complessivamente destinati a questa tipologia di attività si erano fermati sotto i 10 miliardi; tra il 2009 e il 2016, si sono, invece, avvicinati ai 140 miliardi.

Un crescente interesse, rappresentativo dell’attenzione prestata dagli imprenditori verso le proprie aziende, grazie anche alle riforme della normativa fiscale che hanno gradualmente reso sempre più conveniente l’investimento nel patrimonio aziendale. Gli ultimi anni sono stati, dunque, oggetto di una profonda ricomposizione, che ha reso il portafoglio delle famiglie italiane sempre più internazionalizzato. Lo spostamento dal comparto obbligazionario verso il risparmio gestito e assicurativo si è, infatti, accompagnato ad un crescente ricorso ai titoli esteri. Negli ultimi cinque anni, 100 dei 170 miliardi di euro investiti dalle famiglie in fondi comuni sono stati destinati a strumenti emessi da non residenti. Ma, anche una parte significativa di quanto investito in fondi o prodotti assicurativi e previdenziali gestiti da società residenti in Italia è finito in titoli esteri, come conseguenza sia della tipologia di prodotto scelto che della
diversificazione effettuata dalla società di gestione. Un’internazionalizzazione del portafoglio che appare in Italia più profonda di quanto sperimentato nelle altre principali economie europee.

Oltre i depositi, molti prodotti assicurativi nel portafoglio delle famiglie francesi

Dopo la flessione registrata all’inizio della crisi, il valore delle attività finanziarie delle famiglie francesi è cresciuto costantemente, superando a settembre del 2016 i 4.600 miliardi di euro, oltre 1.200 in più del 2008 e quasi il doppio di quanto raggiunto alla fine degli anni Novanta.

Una ricchezza in aumento, che ha beneficiato della capacità delle famiglie di riuscire ad accantonare una quota sempre soddisfacente di risparmio, nonostante le difficoltà incontrate nell’ultimo periodo. Tra il 1999 e il 2008, i francesi riuscivano ad investire in attività finanziarie 110 miliardi di euro di nuove risorse in media ogni anno. Nell’ultimo periodo, il valore si è ridotto, rimanendo, comunque, vicino ai 90 miliardi. Nella composizione del portafoglio, le famiglie francesi mostrano una grande attenzione per la sicurezza e la liquidità. Al centro delle scelte troviamo i prodotti assicurativi e previdenziali, ai quali sono stati destinati oltre 210 miliardi di euro negli ultimi cinque anni, quasi la metà del totale delle nuove risorse destinate agli investimenti finanziari. Il valore complessivo del comparto assicurativo ha superato i 1.800 miliardi, con un peso stabile poco sotto il 40%, circa 10 punti percentuali in più della fine degli anni Novanta. Grande attenzione continua ad essere prestata anche ai depositi, nonostante i bassi tassi d’interesse.

Negli ultimi cinque anni, vi sono stati accantonati quasi 200 miliardi di nuove risorse, portando il saldo complessivo a superare i 1.400 miliardi ed assorbendo circa il 30% del totale della ricchezza. Al contrario, i titoli obbligazionari, sia pubblici che privati, non hanno mai attratto l’interesse delle famiglie francesi ed oggi sono praticamente scomparsi dal portafoglio. Il peso sul totale della ricchezza è, infatti, sceso sotto l’1,5%, come risultato di un processo di disinvestimento che ha interessato tutti gli ultimi anni.

Dallo scoppio della crisi si è, inoltre, assisitito ad un allontanamento dai fondi comuni, mentre è cresciuto l’investimento azionario. Dal 2009, le famiglie francesi hanno disinvestito fondi comuni per oltre 50 miliardi, portando il peso nel portafoglio al di sotto del 7%, da oltre il 10% della prima parte degli anni Duemila. Il valore delle azioni è, invece, cresciuto, stabilizzandosi poco sopra sopra i 1.000 miliardi, circa un quinto del totale. Rimane alta la concentrazione nel comparto dei titoli non quotati, che negli ultimi cinque anni hanno beneficiato dell’afflusso di quasi 90 miliardi, avvicinandosi agli 820 miliardi di valore complessivo, testimoniando anche per le famiglie francesi una costante attenzione per il comparto delle piccole e medie imprese.

Sicurezza e liquidità nei portafogli delle famiglie tedesche

In Germania, il valore delle attività finanziarie delle famiglie è cresciuto costantemente nel corso degli ultimi diciotto anni, con la sola eccezione del 2002 e del 2008. A settembre del 2016, sono stati superati i 5.600 miliardi di euro, 1.200 in più del 2007. Un aumento significativo, reso possibile da una più favorevole situazione economica generale, che ha messo le famiglie nelle condizioni di riuscire ad accantonare una quota crescente di risparmio. Tra il 1999 e il 2008, venivano, infatti, investiti in media ogni anno quasi 130 miliardi di nuove risorse in attività finanziarie, mentre, tra il 2012 e il 2016, ci si è avvicinati ai 170 miliardi.

La composizione del portafoglio è cambiata, segnalando una crescente attenzione per la sicurezza e la liquidità. I depositi rimangono lo strumento principale, con quasi 400 miliardi di euro di nuove risorse investite negli ultimi cinque anni. Il saldo complessivo ha superato i 2.200 miliardi, quasi il 40% del patrimonio, circa 4 punti percentuali in più della metà degli anni Duemila. Con il passare del tempo, è molto cresciuta l’importanza dei prodotti previdenziali e assicurativi, con circa 600 miliardi investiti negli ultimi otto anni che hanno portato il valore complessivo a superare i 2.000 miliardi, con un peso sul totale intorno al 37%, 10 punti percentuali in più della fine degli anni Novanta.

Le famiglie tedesche si sono, invece, allontanate sempre più dai titoli obbligazionari, sia pubblici che privati, con disinvestimenti netti che, tra il 2009 e il 2016, hanno superato i 110 miliardi. La quota sul totale è scesa sotto il 3%, dall’8% della metà degli anni Duemila. Negli ultimi quattro anni, sono, invece, tornati a crescere gli investimenti nei fondi comuni. Dal 2012, le famiglie vi hanno destinanto quasi 100 miliardi di euro di nuove risorse. Il valore complessivo dell’investimento ha raggiunto i 570 miliardi, poco più del 10% del totale.

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