Dire sì ai 36 miliardi del MES da investire nel Sistema Sanitario e superare così i pregiudizi ideologici che rischiano di danneggiare l’Italia. La richiesta, rivolta al Governo e al Parlamento, è contenuta in un manifesto firmato da 26 economisti (compreso Ernesto Auci, presidente di FIRSTonline). Firme autorevoli – da Innocenzo Cipolletta a Lorenzo Bini Smaghi, da Marcello Messori a Pier Carlo Padoan, Franco Bassanini, Micossi, Macchiati, Pera e altri – intendono richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e fare pressione su quella parte di maggioranza – o meglio, del Movimento 5 Stelle – ancora contraria all’utilizzo del fondo salva-Stati per ragioni che non hanno più nulla a che vedere con la situazione attuale, dal momento che le modalità di accesso al MES sono state radicalmente modificate. L’appello risponde anche alle tre argomentazioni più usate da chi si oppone all’utilizzo del Fondo.
Ecco il testo integrale e l’elenco completo delle firme di economisti e opinionisti che lo hanno promosso.
“Sono state dette e scritte troppe inesattezze sui fondi europei e sul MES in particolare. L’Unione Europea sta compiendo un grande sforzo di solidarietà, anche perché tutti i Paesi hanno capito che traggono beneficio dalla ripresa e dalla prosperità degli altri. Bruxelles ha predisposto un ampio programma di intervento, per aiutare i Paesi membri a far fronte alla crisi del Coronavirus. Ciascun programma è mirato a obiettivi specifici e l’erogazione dei fondi è legata a condizioni e a controlli specifici. Per esempio, le risorse del Next Generation EU (500 miliardi di grants e 250 miliardi di prestiti) dovranno essere utilizzate per realizzare riforme profonde in tutti i Paesi, capaci di aumentare la resistenza e la resilienza economica e sociale a eventi estremi (non solo sanitari), nell’ambito di un comune progetto europeo e sotto la supervisione della Commissione. I fondi del NGEU non saranno tuttavia disponibili fin quando non verranno elaborati i piani di sviluppo e definite le riforme che li accompagneranno o almeno il loro avvio. Riforme anche del “modello di sviluppo”, con nuovo slancio al green new deal, alla transizione ecologica e digitale, alla lotta alle disuguaglianze, nonché al superamento delle strozzature alla produttività per riprendere una crescita sostenibile di lungo periodo.
Gli interventi per la Sanità, in senso ampio, che sono urgenti e richiedono fondi spendibili subito, possono essere finanziati indebitandosi in proprio, al tasso di mercato corrente, o ricorrendo al MES, presso il quale è stata costituita una linea di credito speciale, chiamata ESM Pandemic Crisis Support. Contrariamente a quanto previsto per le linee di credito “ordinarie” del MES – destinate ai paesi dell’Eurozona che non riescono a rifinanziarsi sul mercato a tassi sopportabili e condizionate all’accettazione di un “programma di aggiustamento macroeconomico” – i fondi del Pandemic Crisis Support devono essere usati per sostenere il finanziamento diretto e indiretto delle spese sanitarie e per i costi dovuti alla prevenzione e alla cura delle malattie dovute al Covid-19. Questa è l’unica condizione, sostitutiva di ogni altra, oltre ovviamente a quella che i soldi vanno restituiti a scadenza. Tali condizioni non possono essere modificate dopo l’erogazione dei fondi, come dall’accordo raggiunto tra i Paesi membri del MES (e dovrebbe essere chiaro anche dalla logica, secondo cui non ha senso per un creditore inasprire le condizioni al momento del rimborso).
Chiarita la faccenda delle condizioni, la scelta tra l’usare e il non usare i finanziamenti del MES dovrebbe guardare solo alla convenienza: ci costa di più prendere soldi in prestito dal MES o emettere debito nazionale di pari importo? Se l’Italia utilizzasse l’intera linea di credito (circa 36 miliardi) sulla scadenza a 10 anni, dato il tasso estremamente basso, avremmo un risparmio di circa 500 milioni all’anno per 10 anni, una cifra non trascurabile. Tuttavia, sopravvivono alcune obiezioni tra le forze politiche italiane, sia di governo che di opposizione, basate sui seguenti argomenti.
1) Nessun altro paese, se non forse Cipro, sta attualmente pensando di fare domanda. La risposta a questa obiezione è che nessun altro paese ha uno spread alto come il nostro: sul decennale noi stiamo a 178 punti base, mentre Spagna e Portogallo sono scesi a 95. La Grecia ha uno spread vicino al nostro, ma non ha motivo di accedere al MES perché quest’anno non ha quasi bisogno di ricorrere al mercato e il debito in essere fruisce di scadenze lunghissime (30 e anche 40 anni) proprio perché è stato contratto con il MES (o con il suo predecessore, il ESFS).
2) I crediti MES sono privilegiati e quindi tendono a far aumentare il costo del resto del debito. Al contrario, il credito di un’istituzione internazionale è un segnale di fiducia nei confronti di un paese e tende addirittura ad avere un effetto catalizzatore degli investimenti privati. Tanto più che il MES, come il Fondo Monetario Internazionale, è un investitore stabile; non riversa i suoi titoli sul mercato in caso di crisi. Infine, anche i titoli acquistati dalla BCE con i vari programmi di Quantitative Easing rappresentano debito senior, perché la BCE non parteciperebbe ad una eventuale ristrutturazione del debito di un paese in crisi e i titoli detenuti dal sistema europeo di banche centrali rappresentano una quota del Pil italiano (17%) assai maggiore rispetto a quella rappresentata dal MES-sanitario, cioè il 2% qualora venisse utilizzato al massimo.
3) Ci sarebbe un effetto stigma negativo sull’Italia, specialmente qualora nessun altro grande paese facesse domanda. Si può osservare che con il ricorso al MES poco o nulla cambierebbe nella percezione dell’Italia da parte degli investitori: anzi, lo stigma potrebbe addirittura ridursi se l’accesso al MES venisse interpretato come il fatto che il governo italiano effettua le sue scelte in modo pragmatico e in non in base a pregiudiziali ideologiche.
Il MES, infine, non è una trappola che condizionerà il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. I quali, comunque, hanno già un debito (pubblico) sulle spalle che viaggia verso il 160% del Pil. Il Governo italiano ha fatto fin qui un buon lavoro ai tavoli della trattativa, ottenendo risultati per molti versi superiori alle attese. Non può buttare a mare il lavoro fatto rinunciando ad utilizzare linee di credito faticosamente negoziate e rischiando di dare ragione a quei paesi del Nord scettici sulla capacità dell’Italia di utilizzare bene i fondi comunitari, mentre dovrebbe tenere conto che diversificare le fonti di finanziamento è una regola da seguire per qualsiasi debitore saggio”.
I firmatari dell’appello:
Alberto Pera
Rocco Cangelosi
Salvatore Toriello
Vincenzo Camporini
Virgilio Dastoli
Alfredo Macchiati
Andrea Boitani
Cesare Valli
Claudio De Vincenti
Enrico Giovannini
Ernesto Auci
Ferdinando Nelli Feroci
Franco Bassanini
Stefano Micossi
Giampiero Massolo
Giampaolo Galli
Gian Luigi Tosato
Giuseppe Pennisi
Gloria Bartoli
Innocenzo Cipolletta
Lorenzo Bini Smaghi
Marcello Messori
Maurizio Melani
Michele Bagella
Piercarlo Padoan
Riccardo Paternò
Riccardo Perissich