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Le difficoltà della Turchia: cautela ma ottimismo per il nostro export

Forse il presidente turco Abdullah Gül avrebbe preferito rimanere a Istanbul in un momento tanto delicato per il suo paese, ma riprendere contatti con uno dei suoi più importanti partner commerciali, come l’Italia, era altrettanto importante. Del resto, nella sua visita di questa settimana a Roma, dove ha incontrato il presidente Napolitano e il premier Letta, non ha mancato di sottolineare la necessità e l’urgenza del concreto sostegno del nostro paese e della UE tutta di fronte a una crisi economica e valutaria che potrebbe minare le basi della lunga crescita di questi ultimi anni nel paese che segna il confine fra Europa e Medio Oriente.

In effetti, le ultime settimane non sono state molto felici, e non si può certo dire che le prospettive per il 2014 siano tutte positive. Borsa in picchiata, lira turca in continuo calo, rimpasto di governo in dicembre (ben 10 ministri sono stati sostituiti per i vari scandali), difficoltà della bilancia dei pagamenti, prospettive di crescita riviste al ribasso (anche se per il governo rimarrà al 4%), tensioni sociali e scontri di piazza: una miscela esplosiva che ha minato la fiducia in un boom senza fine – tipo quello dei paesi dell’estremo oriente – in cui la Turchia si stava cullando negli ultimi tempi.

Le agenzie internazionali di rating hanno per il momento mantenuto inalterati i loro giudizi sul rischio paese: al livello minimo della categoria “investment grade” per Moody’s (Baa3) e Fitch (BBB-), al livello massimo della categoria speculativa per Standard & Poor’s (BB+). Anche se i “signori del rating” continuano ad aver fiducia nella vivacità e diversificazione dell’economia turca, non negano i timori per gli effetti che potrebbero essere causati dal previsto tapering delle autorità monetarie USA, cioè l’aumento dei tassi d’interesse, soprattutto nei paesi emergenti, per la programmata riduzione del quantitative easing (l’immissione di liquidità nell’economia per banche e imprese).

Già nei giorni scorsi la svalutazione record della lira ha spinto la Banca Centrale turca (BCT) ad alzare i tassi d’interesse, portandoli al 12% nel mercato overnight, in aumento di 425 punti base dal 7,75% stabilito durante la precedente settimana. In aumento anche i tassi overnight sui depositi presso la BCT (all’8% dal 3,5%) e quelli pronti contro termine a una settimana, al 10% dal 4,5%. Dopo l’intervento della BCT la lira si è apprezzata di oltre il 3%, ma questo non cambia di molto il forte trend ribassista della valuta (ieri a 3,05 contro EUR e 2,26 contro dollaro), dimostrato dal grafico che riportiamo all’inizio.

Questa situazione ripropone il solito problema delle svalutazioni, che anche se migliorano la competitività delle esportazioni, comportano sempre una rincorsa di svalutazione –  aumento dei tassi d’interesse – inflazione – deficit della bilancia corrente – nuova svalutazione, soprattutto nei paesi con forti importazioni di idrocarburi, che comprano petrolio e gas pagandoli in dollari rivalutati. L’Italia ne sa ben qualcosa di questa spirale perversa ai tempi della nostra lira (anche se alcuni demagoghi da strapazzo, contornati da economisti di serie B, dimostrano di non ricordarlo più).

Infatti, nonostante la svalutazione della lira turca, per il 2013 il deficit delle partite correnti turche è stimato vicino al 7% del PIL. Le importazioni sono aumentate soprattutto a causa della componente energetica e dei beni di consumo. Il deficit è stato in parte compensato dall’afflusso di capitali esteri (anche se in calo nel 2013). Nel 2013 si è visto in particolare un rallentamento dell’export verso paesi quali Iraq, Libia ed Egitto, e la riduzione dell’export di oro verso l’Iran (“gas for gold”).

Stando ai dati di SACE (V. la scheda paese Turchia), l’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia. Nel 2012 le importazioni dalla Turchia sono risultate pari a EUR 5,3 miliardi (-12% rispetto all’anno precedente), mentre le esportazioni italiane nel paese hanno raggiunto EUR 10,6 miliardi (+10%), rendendo la Turchia il settimo mercato di sbocco per le merci italiane e il primo tra i paesi emergenti. I prodotti maggiormente esportati verso il mercato turco sono quelli della meccanica strumentale (22,9% dell’export totale), i prodotti energetici raffinati (19,4%), i mezzi di trasporto (10,9%). Nei primi sei mesi del 2013 l’export italiano si è contratto del 3,8% rispetto allo stesso periodo del 2012, mentre le importazioni dalla Turchia sono cresciute dell’8,1%, attestandosi rispettivamente a circa EUR 5 miliardi e EUR 2,9 miliardi. Per l’intero 2013 è stimata una bilancia commerciale bilaterale positiva per più di 4 miliardi. Oltre all’export, sono importanti gli IDE italiani che collocano il nostro paese ai primi posti fra gli investitori esteri: il loro flusso ha fatto segnare una costante crescita nel 2011 e nel 2012, con oltre 1000 società ed aziende con partecipazione italiana presenti nel paese anatolico. Il 2013 dovrebbe chiudersi con una loro flessione, pur mantenendo l’Italia una posizione di primo piano in questo ambito. Tra i settori che offrono maggiori opportunità, si distinguono il manifatturiero, agricolo, dei trasporti, petrolifero e ospedaliero, che godono di incentivi fiscali e doganali. Ulteriori opportunità sono presenti nel settore delle costruzioni (residenziali e turistiche), delle infrastrutture e dell’energia (il paese importa più del 90% del suo fabbisogno).

Nonostante le difficoltà prima viste, ritengo che esportatori e investitori italiani devono guardare alla Turchia con una certa cautela sì, ma anche con ottimismo, per 3 motivi: il primo è che la marcia della Turchia verso la UE sarà lenta, ma è destinata a concludersi positivamente; il secondo è che il paese e le sue banche maggiori hanno attraversato negli ultimi 30 anni molti momenti anche più difficili del presente, ma – anche grazie alla sua posizione geopolotica strategica – ne sono sempre usciti fuori senza default; il terzo è che l’atteggiamento della SACE nei confronti della Turchia è cauto, ma di totale apertura sia per il rischio sovrano, sia per quello bancario e corporate.

Come ha sottolineato il presidente Giovanni Castellaneta nel suo intervento al Matching Italia – Turchia in settimana (qui allegato), SACE è presente in Turchia dal giugno 2010 con un Representative Office a Istanbul e competente anche per i paesi limitrofi del Medio-Oriente. Nel Paese conta su un portafoglio di impegni pari di 1,9 miliardi, prevalentemente concentrato nei settori oil&gas, metallurgico, chimico ed automotive. Un’esposizione che fa della Turchia il secondo mercato emergente (dopo la Russia) nel portafoglio di SACE.

Dopo aver deliberato circa 700 milioni di euro di nuove garanzie nel 2013, SACE ha oggi allo studio nuovi progetti per oltre 1 miliardo. Il protagonismo delle Pmi è crescente in questo mercato. Le operazioni di credito fornitore, specialmente dedicate al segmento delle imprese di piccole e medie dimensioni, sono state le più numerose nel 2013.

L’ottimismo ci dice che i nostri esportatori e investimenti devono continuare a seguire le loro operazioni in Turchia, nonostante le difficoltà attuali. La cautela vuol dire che tuttavia, specie nei confronti di contropartite non ben conosciute, le operazioni di export devono essere effettuate con strumenti di pagamento sicuri (crediti documentari confermati o assicurati, titoli di credito da smobilizzare con operazioni di forfaiting o voltura di polizza SACE, linee di credito bancario a medio-lungo termine), o altrimenti vanno assicurate da SACE o altre compagnie di assicurazione presenti nel nostro mercato in questo settore; gli investimenti, che hanno un ritorno in tempi lunghi, vanno assicurati con le polizze che SACE mette a disposizione delle nostre imprese per questi scopi.


Allegati: 20140130-Pres. SACE Castellaneta -Matching-Turchia.pdf

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