Già a partire dal 2012, con l’entrata in vigore delle disposizioni legate a Basilea 3, si è aperto un duro confronto tra le rappresentanze delle banche dei Paesi più avanzati e le Autorità internazionali di regolamentazione del credito in merito ad una nuova possibile stretta regolamentare volta a rafforzare ulteriormente il sistema dei presidi a fronte dei rischi bancari.
Si tratterebbe dell’ennessimo shock normativo imposto negli ultimi 15 anni alle banche europee, dopo Basilea 2 e 3, l’introduzione del Mecanismo Unico di Vigilanza, il Sistema di risoluzione delle crisi ed il Bail-in, le disposizioni in tema di governance e quelle sulla trasparenza dei servizi finanziari. Considerando che ogni nuovo impianto normativo genera impatti significativi sull’organizzazione interna degli intermediari, richiedendo un impegno durevole in termini di costi e impiego di risorse, è facile presumere quali siano le ricadute sui conti economici e sulla redditività del settore.
All’inizio di agosto, il confronto ha dato origine ad una richiesta formale posta dalle maggiori banche europee, americane, canadesi e perfino giapponesi – sostenute dalle rispettive associazioni di categoria – ai Regulator internazionali e alle Banche Centrali. L’evento ha una valenza notevole, in quanto mai, in precedenza, si è registrata una posizione così ampia e diffusa a livello internazionale da parte dell’industria bancaria, che di fatto si pone in modo unitario contro l’eventualità di una Basilea 4.
L’istanza delle banche ha l’obiettivo di far cessare la condizione di permanente incertezza regolamentare che ostacola, tra l’altro, i programmi aziendali di investimento e di rafforzamento patrimoniale. La preoccupazione più importante, tuttavia, è quella di scongiurare ulteriori inasprimenti dei requisiti prudenziali, che provocherebbero inevitabilmente una nuova stretta creditizia, con effetti rovinosi sulle prospettive di ripresa dell’economia globale.
Il bersaglio delle banche è il Comitato di Basilea, ossia l’organismo sovranazionale incaricato di riscrivere le regole sul credito, che vengono poi trasformate in leggi ordinarie dai legislatori comunitari e nazionali. Si tratta di un ente eminentemente tecnico, impegnato esclusivamente a rafforzare la resilienza delle banche e pertanto non interessato alle ricadute delle proprie proposte regolamentari sull’andamento del credito e dell’economia.
Le banche temono in primo luogo gli effetti di un’eventuale richiesta di requisiti patrimoniali ancor più stringenti di quelli attuali, che renderebbero problematiche le condizioni di redditività del settore, già piuttosto fragili.
C’è un aspetto ulteriore, peraltro, che desta preoccupazioni specifiche per l’economia del nostro Paese. Il Comitato di Basilea, infatti, ha in programma di imporre alle banche l’uso di modelli standardizzati per qualificare l’affidabilità di una controparte richiedente il credito, negando il ricorso ai modelli di valutazione interni attualmente in uso, calibrati in base agli specifici target di clientela dei singoli intermediari.
Tale cambiamento può risultare molto penalizzante, in particolar modo per le imprese che non dispongono di rating aziendale, ovvero per gran parte delle piccole e medie imprese. Il nuovo standard, infatti, costringerebbe una banca che intendesse concedere credito ad una Pmi ad accantonare una quantità di patrimonio ben superiore rispetto al passato e conseguentemente risulterebbero peggiorate le condizioni di convenienza dello stesso affidamento.
Si prospetta quindi una situazione per certi aspetti paradossale che vede la promozione di provvedimenti regolamentari restrittivi in un contesto macroeconomico tuttora debole, in cui sarebbe invece necessaria la massima tenuta del credito in favore dell’economia. Nella fase attuale, infatti, superata forse l’emergenza ma non certo la crisi, è indispensabile spostare l’attenzione dalle misure prudenziali di protezione del sistema creditizio alle misure in grado di stimolare la crescita; ciò almeno finché l’economia non si sarà messa stabilmente in movimento. Anche perché si rischia di annullare l’azione propulsiva della Bce con la conseguenza che, almeno in Italia, gli effetti benefici sulle nostre aziende potrebbero durare un tempo molto limitato.