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Le banche nel labirinto della crisi: l’eccesso di liquidità fa male agli istituti meno virtuosi

Le banche sono considerate l’epicentro della crisi e la parola d’ordine è “ricapitalizzatevi” – Ma perchè e quanto? Conta l’entità o il buon uso del patrimonio? – Le lezioni inascoltate di Maffeo Pantaloni e Luigi Einaudi che volevano tenere le banche a corto di liquidità per renderle oculate negli investimenti: oggi avviene il contrario

E’ successo anche in altre crisi che le banche siano considerate le (principali) responsabili del marasma, tanto capaci di provocarlo quanto incapaci di uscirne. Altre volte si è però chiesto o imposto loro di fare un passo indietro: ristrutturazioni, regolazione severa, nazionalizzazioni. Oggi la parola d’ordine è: “ricapitalizzatevi”. Due semplici domande: “perché?” e “quanto?”

Maffeo Pantaleoni riferendosi specialmente a istituti di credito mobiliare e di credito fondiario con rischi di credito e finanziari molto elevati e facilmente soggetti a dissesti, riteneva che per evitare il fallimento «la garanzia non va cercata nel capitale azionario dell’istituto, ma bensì nell’impiego del capitale», ossia «nel genere di investimento in cui è trasformato». Luigi Einaudi da parte sua ribadiva che la solidità di una banca non è assicurata da nessun rapporto tra «capitale e riserve da un lato e depositi a risparmio dall’altro»; una banca fallisce – proseguiva – perché «i dirigenti hanno amministrato male il capitale piccolo ed i depositi grossi; ed avrebbero ugualmente am¬ministrato male il capitale grosso ed i depositi scarsi». Pare certo che i due maggiori economisti italiani avrebbero espresso scetticismo nei riguardi di ogni Basilea “round” e altre cose del genere oggi in voga.

Una cosa pare accertata: le banche sono invischiate e intrappolate nella crisi. L’inconveniente del too big to fail le tiene a galla, anche se molte meriterebbero di andare a fondo. Allora si fa di tutto perché aumentino il capitale e diventino ancora più grandi. Però anche così gli azionisti non pagheranno mai per non aver sorvegliato i cattivi manager.
Una sorta di incantamento fa sì che tutto giri in circolo. Tutti sono alla ricerca di regole auree. Per le banche vale quella del patrimonio. Quella per i governi pare fatta apposta per le banche perché se i governi salvano le banche, devono farlo comunque con bilanci in pareggio. E’ una regola semplice di austerità. Chi premia? Di certo le banche che nuotano in un mare di liquidità da almeno due decenni. Se ne possono servire scommettendo sui governi che riescono a seguire la regola d’oro che si sono dati di comune accordo. Sbagliare è difficile: si tratta di speculare con sicurezza contro coloro che non si adeguano. Qual è il risultato? I governi offrono alle banche opportunità allettanti avvalendosi di grandi liquidità a basso costo da destinare al nuovo gioco, ora che dal 2007 è finito quello dei mutui immobiliari. Cambia il gioco ma le regole sono sempre le stesse.

Ai tempi di Pantaleoni e di Einaudi vigeva l’opinione condivisa che, almeno in tempi “normali”, occorresse tenere le banche a corto di liquidità per renderle oculate nelle loro scelte di investimento. Le liquidità in eccesso sui mercati andavano pertanto prosciugate al più presto per evitare che attraverso le banche si diffondesse la febbre della speculazione e una forte distorsione negli investimenti.

In realtà, questa sorta di incantamento nel quale l’ideologia di mercato autoregolato immerge tutti consente alle banche di continuare la festa. In preda alle convulsioni non purgano i bilanci delle attività tossiche e se accrescono capitale e riserve riescono a farlo perché vendemmiano sull’austerità di governi che faticano a rispettarla. In altre parole le banche sono in grado di uscire dalla crisi se possono continuare a mantenere impieghi cattivi per la collettività ma fruttuosi per esse (e pochi altri). Il bengodi finanziario permette la fiera dei profitti a spese dell’austerità degli stati. Quest’ultima dura fintanto le banche non saranno ulteriormente troppo too big to fail. Si ricomincia ancora da capo per un «maleficio occulto» che ottenebra questo gioco delle parti.

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