Il sistema bancario europeo, e quello italiano in particolare, non è ancora guarito dalla grave crisi esplosa nel 2008 negli USA e che poi ha investito tutto l’Occidente. I regolatori cercano affannosamente di imporre normative atte a ridurre i rischi che default bancari possono provocare sull’intero sistema economico. Ma emanano norme che appaiono talvolta contraddittorie e spesso di dubbia efficacia. Di fatto appare evidente che nella situazione attuale vengono penalizzate maggiormente le banche che fanno credito alla clientela rispetto a quelle che operano sul mercato dei titoli, compresi i derivati, in quanto si prescrive più capitale a chi fa più credito mentre meno capitale è necessario per quelle banche che operano sui derivati.
Uno studio presentato ieri alla Fondazione Ugo La Malfa dal responsabile dell’area studi di Mediobanca Gabriele Barbaresco che da qualche mese è succeduto allo storico responsabile di R&S, Fulvio Coltorti, mette a fuoco la situazione delle banche europee rispetto a quelle americane evidenziando le differenze nella composizione degli attivi e dei passivi tra le due sponde dell’Atlantico, le diverse modalità con le quali sono state affrontate le difficoltà della crisi, oltre ai confronti sui parametri di efficienza di gestione.
L’analisi è estremamente dettagliata e sofisticata, ma con qualche semplificazione si può rilevare in sintesi che la redditività delle banche USA e migliore di quella degli istituti di credito europei soprattutto per la diversa velocità con cui le prime hanno fatto gli aggiustamenti ( svalutazione crediti inesigibili, e riorganizzazione del personale) tanto che oggi i crediti dubbi rappresentano il 35% del patrimonio netto in Europa e circa l’8% negli USA. Nel decennio precedente la crisi sono cresciuti gli attivi delle banche , ma quelli finanziari ( titoli e derivati) hanno avuto un tasso di crescita molto più elevato di quelli creditizi tanto da modificare nel profondo la struttura del bilancio specie in alcune grandi banche, con il risultato che i ricavi arrivavano per la maggior parte dalle attività finanziarie mentre si riducono quelli legati alla tradizionale attività creditizia. Infine le banche USA sembrano avere capitale proprio e fondi rischi più capienti delle banche europee.
Applicando questa interessante analisi ai problemi attualmente sul tappeto, appare evidente che il sistema regolatorio attuale basato sui vari accordi di Basilea tende ad essere penalizzante per le banche che hanno una leva minore e che prestano denaro alla clientela rispetto a quelle che operano sui mercati finanziari con una forte leva ( cioè attivi molto elevati rispetto al proprio patrimonio). In sostanza le normative non fanno alcuna differenziazione tra banca commerciale e banca d’investimento ed anzi nella valutazione del rischio si tende a dare più peso al rischio creditizio rispetto a quello di mercato. La ragione sta probabilmente nel fatto che mentre per il primo esiste una metodologia consolidata, nel secondo caso non si hanno metodi affidabili per valutare il grado di rischio contenuto nelle varie tipologie di derivati, anzi forse nessuno, nemmeno chi li fabbrica , sa esattamente quale grado di rischio è contenuto nello strumento che viene emesso.
Alla fine si farà strada la necessità di mettere degli argini robusti per isolare i derivati dall’attività creditizia ordinaria verso le imprese o i consumatori. Anche se molte grandi banche sono fieramente contrarie a questo tipo di separazione che pone fine in pratica alla banca universale perché sostengono che tutta questa attività finanziaria serve in realtà per poter dare un servizio più efficiente ala clientela e dall’altro per sostenere la struttura della banca stessa con interessanti ricavi che la sola attività creditizia tradizionale non può assicurare. Insomma le banche per poter dare credito a tassi più bassi possibile devono avere anche un’attività sul mercato finanziario ed inoltre crescere di dimensioni per poter godere di tutte le necessarie economie di scala. Ma le aggregazioni sono disincentivate dalle autorità di regolazione perché si tende ad aumentare i requisiti di capitale per le grandi banche di sistema, mentre per le banche piccole e medie una fase di consolidamento appare necessaria ed è molto desiderata dalle autorità di vigilanza nazionali.
Lo studio di Mediobanca aiuta a capire cosa è realmente successo negli ultimi anni e in quale situazione ora ci troviamo. La vigilanza della BCE sulla grandi banche, gli stress test e l’armonizzazione delle regole di risoluzione in Europa sono un passo fondamentale per unificare il mercato bancario e finanziario. Tuttavia un eccesso di regole (specie se tra loro contraddittorie) non facilita il risanamento dell’attività creditizia ,anzi continua a penalizzare chi fa meno leva finanziaria, e non facilita da parte dei banchieri l’abbandono dei vecchi vizi speculativi per tornare al rischioso mestiere di prestare denaro alle imprese. Dubito che sarebbe un vero vantaggio per l’economia reale passare dagli speculatori ai burocrati.