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Le banche conteranno meno nell’economia italiana: rapporto Cer

Pubblichiamo un estratto del Rapporto banche del Cer, che viene presentato oggi a Roma per iniziativa di Igea Banca, e che segnala come le banche italiane, con la riduzione dei ricavi e dei profitti e il taglio dei costi, sono destinare a perdere peso nell’economia italiana mentre la regolamentazione europea, che privilegia le banche tedesche, continua a penalizzarle – Ecco come

Il 2016 è stato un altro anno di forte criticità per il sistema bancario italiano. Secondo le stime presentate in questo Rapporto, rispetto al 2015 i ricavi da margini di interesse si sarebbero ridotti di 3,1 miliardi, solo in parte compensati da una crescita degli altri ricavi netti di 2 miliardi. Al contempo gli accantona-menti sarebbero aumentati di quasi 11 miliardi. Si sarebbe così determinata una flessione dei profitti prima delle imposte di 3,5 miliardi.

Risultati che obbligano il sistema ad accentuare il processo di trasformazione avviato dopo la crisi degli anni passati e oggi incanalato lungo le rigide regole della vigilanza europea. I nostri dati, proiettati all’anno 2019, segnalano come questa ristrutturazione si tradurrà in un progressivo ridimensionamento del settore bancario all’interno dell’economia italiana. Il peso degli impieghi sul Pil è previsto scendere al 99 per cento (contro il 101,6 per cento del 2016 e il 115,9 per cento che ancora si misurava nel 2012), quello della raccolta bancaria al 116,2 per cento (122 per cento nel 2016).

Ciò in un contesto caratterizzato da un ulteriore aumento del grado di patrimonializzazione, con il capitale che nel 2019 supererebbe il 15 per cento degli impieghi (13,9 per cento del 2016; 9 per cento prima della crisi) e da uno spread fra tassi attivi e passivi che risalirebbe di circa mezzo punto dal livello dello scorso anno, ma rimarrebbe per un medesimo ammontare al di sotto del valore del 2014.

Il perno del processo di ristrutturazione sarebbe costituito dalla diminuzione del cost/income ratio, da noi previsto ridursi nel periodo di ben 12 punti. Sui soli costi di personale si realizzerebbe un risparmio nell’ordine dei 3,5 miliardi (-15 per cento). Il cambiamento strutturale nella relazione tra banche e clienti, lega-to al progresso tecnologico, rende d’altronde meno necessario il presidio del territorio attraverso le filiali. Al contempo, la crisi ha ulteriormente accelerato il processo di ristrutturazione, poiché la riduzione dei costi si sta appunto rivelando una delle poche opzioni percorribili per migliorare i risultati reddituali.

Anche perché il risanamento del settore procede con poca fluidità: il sistema dovrà farsi carico di ulteriori perdite legate alla vendita delle banche risolte nel 2015, che saranno acquisite per un valore simbolico; la revisione delle regole internazionali (Basilea 4), per ora rinviata, potrebbe dar luogo a nuove richieste di capitale con ulteriori tensioni sulle banche meno solide; le due banche del Nord-Est (Veneto Banca e Popolare di Vicenza) dovranno andare verso una non semplice fusione.

In questa situazione, il Governo è dovuto intervenire con un fondo di 20 miliardi dedicato alla risoluzione delle crisi bancarie, già in parte destinato a evitare il bail-in di MPS. 

Un elemento positivo è, di contro, l’interruzione della crescita delle sofferenze, concretizzatosi nel corso del 2016. Prevediamo che nel prossimo triennio il rapporto sofferenze/impieghi possa scendere di tre punti e mezzo e che gli accantonamenti, che continueranno a comprimere la redditività anche nel 2017, possano comunque tornare a scendere, fino a collocarsi al di sotto del 50 per cento del risultato di gestione alla fine del periodo di previsione.

Un miglioramento della redditività è da noi atteso per il 2018-19, legato a di-versi fattori che in contemporanea miglioreranno la condizione del sistema bancario: un primo lieve incremento dei tassi di interesse, insieme ad una moderata espansione degli impieghi, aiuterà la ripresa del margine di interesse; la maggior attenzione delle banche verso ricavi diversi dagli interessi farà aumentare gli altri ricavi e il margine di intermediazione; gli interventi strutturali ridurranno i costi operativi; la riduzione dei crediti dubbi attraverso interventi straordinari permetterà una contrazione degli accantonamenti.

Un’ultima caratteristica è importante sottolineare: nei dati del 2016 è stata confermata la rimodulazione, in corso da tempo, della raccolta bancaria a favore di forme tecniche di più breve termine (meno obbligazioni e più depositi in conto corrente). Tale andamento è presente anche nelle previsioni fino al 2019. Questo cambiamento sta assicurando alle banche un risparmio sul costo della raccolta, mitigando il calo del margine di interesse, ma in prospettiva potrebbe esporre il sistema a maggiori rischi di rifinanziamento e di tasso di interesse. Sarebbe opportuno vigilare attentamente su questa trasformazione strutturale e cercare di sostenere le emissioni obbligazionarie delle banche al fine di contenere il crescere di questa tipologia di rischi.

Il capitolo conclusivo del Rapporto, come di consueto dedicato a un tema monografico, pone una questione centrale: il piano di gioco delineato dalla nuova regolamentazione europea è livellato o produce effetti asimmetrici a seconda di quale sia il modello di banca prevalente nei singoli paesi? La risposta che ricaviamo dall’analisi non è rassicurante. L’attuale impianto regolamentare dell’industria bancaria europea è, a nostro parere, viziato da diversi problemi e da evidenti asimmetrie.

In particolare, se arcigna è diventata la regolamentazione sul rischio di credito, assai più blandi sono gli strumenti di controllo attivati contro i rischi di mercato. Una configurazione invero non rispondente a un fatto noto: la crisi finanziaria ha originato da eccessi non di credito, ma di leva finanziaria, proprio quelli sui quali l’implementazione della vigilanza europea sembra più distratta.

Nei fatti, questo strabismo penalizza il sistema italiano, in cui prevale il modello di banca centrato sull’erogazione di credito. Il progressivo ridimensionamento a cui è destinato il sistema bancario nella nostra previsione è dunque frutto anche delle opzioni percorse dalla regolamentazione. Un esito che in parte agisce da incentivo per la nostra economia, ritenuta troppo banco-centrica, ma che antepone agli altri il sistema di preferenze del paese centro, la Germania. Lasciando aperto un tema di vulnerabilità dell’Eurozona al rischio sistemico che può essere generato all’interno di un singolo paese.

Torniamo inoltre a evidenziare come l’assenza di una rete di protezione unica sui depositi bancari renda persistente le frammentazioni sul mercato bancario europeo. La costituzione di un unico fondo trova la forte opposizione dei Paesi del Centro-Nord Europa, con in testa la Germania, per il timore di dover inter-venire con i loro fondi in salvataggio di banche di altri paesi.

Ma in questo quadro appare molto improbabile che nel medio-lungo termine l’Europa si riesca effettivamente a dotare di un mercato bancario unico che persegua due principi generali: i) l’eliminazione della segmentazione presente tra i diversi mercati; ii) la riduzione dei rischi sull’instabilità finanziaria. Ridurre la segmentazione finanziaria avrebbe invece importanti effetti positivi sulle prospettive di crescita dell’intera Eurozona, permettendo in tal modo di colmare parte di quel gap in termini di tasso di crescita del Pil e di tasso di disoccupazione che ad oggi si osserva nei confronti degli Usa, dove uno schema unico di garanzia dei depositi è da tempo operante.

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