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Le aziende dei servizi locali alla prova della verità: la riforma Madia funziona o no?

La Riforma Madia cambierà volto ai settori dell’energia, delle infrastrutture a rete e dei servizi del territorio, ma ciò che non è ancora chiaro, secondo i dati Istat, è se la riforma riuscirà a convincere i cittadini che utilizzano questi servizi che il cambiamento sarà favorevole e non deprimente.

Il core business sta ancora nell’energia, nei servizi diffusi, nelle attività sul territorio. Le Società partecipate dagli enti territoriali – storica altra faccia del capitalismo italiano – sono ufficialmente in buona salute ed aumentano il numero degli occupati, anche se la realtà ha spesso più aspetti.

In totale sono 4.249 ed occupano 621.926 addetti. Un tessuto locale, che da Renzi premier in poi si sta cercando di cambiare. La riforma Madia modifica in profondità il loro assetto, la governance e la selezione del management. Verosimilmente vuole renderle più competitive, non farle apparire estranee alla competizione ed alla concorrenza in servizi essenziali. Dovranno correggere alcune distorsioni, certo, ma in attesa che la rivoluzione si compia, l’Istat le ha verificate in base ai dati del 2015. Quantitativamente sono diminuite del 2,5%, ma hanno aumentato i dipendenti del 4,5%.

E proprio nei settori dell’energia, delle infrastrutture a rete, nei servizi al territorio. La Riforma gli cambierà volto. Non sarà facile per il radicamento territoriale, per la prossimità ai territori che ne fanno un esempio unico in Europa. I Comuni che le sostengono e i poteri locali che ne hanno a cuore le sorti, affidano al tempo l’esito del cambiamento. Soltanto il tempo riuscirà a dirci se la nuova società pubblica disegnata dal testo unico Madia, potrà conseguire gli obiettivi per cui è stata concepita.

Aiuterà davvero i Comuni ad essere efficaci ed efficienti ? Guido Castelli, delegato Anci alla Finanza locale ne è convinto. La determinazione dei poteri locali nel difendere l’esistenza di queste aziende fa parte della storia economica dell’Italia dal dopoguerra ad oggi. Nate e cresciute per difendere le realtà locali dalla intraprendenza di un capitalismo che allargava i propri confini ai trasporti, all’energia, all’ambiente, alla salute.

Quella missione localistica, pian piano è diventata nazionale. Si è fatta contaminare dalla finanza nazionale ed internazionale quando bisognava aumentare il giro di affari, investire in innovazione e tecnologie. La politica non si è mai distratta dagli avvenimenti che coinvolgevano asset e strategie. Qualche volta ne è stata vittima.

L’indagine Istat ci ha detto che le imprese partecipate almeno da un Ente locale sono, comunque diminuite del 12%. Il 76,5% ha prodotto un utile di esercizio, mentre per tutte le altre, conti in rosso per 3 miliardi e 800 milioni di euro. Il risultato finale del 2015 ha certificato un saldo complessivo positivo di circa 6 miliardi e 800 milioni di euro.

Renzi premier e il Ministro Madia hanno sostenuto che fosse arrivato il momento della svolta. Il Governo Gentiloni non ha toccato l’impianto originario. Soprattutto che queste aziende avessero anche una sperimetrazione ai loro affari, nonostante negli anni ’90 fossero state indicate come una priorità nazionale nella gestione di determinati servizi. Quello che ancora non è chiaro, anche alla luce dei dati Istat, è se la riforma riuscirà a convincere i milioni di cittadini che usufruiscono dei servizi che il cambiamento sarà favorevole e non deprimente. Ma l’alleato è il tempo.

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