Dopo un intenso periodo di fusioni ed acquisizioni seguito alle liberalizzazioni dei mercati utility che ha raggiunto picchi nel 2004 e nel 2006, è iniziato in Italia un trend di progressivo calo delle aggregazioni che sembra continuare tutt’ora.
Dalle numerose operazioni di M&A dell’ultimo decennio sono emersi e si sono consolidati alcuni grandi poli tendenzialmente multi utility di dimensioni sovraregionali: A2A e LGH per la Lombardia; Iren per una vasta area che abbraccia Piemonte, Liguria ed Emilia; Hera per la Romagna e alcuni territori limitrofi; Acea per il Lazio e Toscana. L’area del Nord Est vede la presenza di utility di medie dimensioni (Dolomiti Energia, Veritas, AGSM Verona, Acegas Aps e Ascopiave) ma nessuna ha una posizione veramente di leadership rispetto alle altre. Nonostante gli sforzi, anche a livello politico, di creare una grande utility del Nord Est, non si prevedono cambiamenti di particolare rilievo.
Nei settori dell’idrico e dei rifiuti si sono registrati negli anni operazioni di M&A in misura inferiore che nell’energia sia per numero sia per dimensioni. In anni recenti, l’ulteriore riduzione è da ricercare anche in altre determinanti, collegate essenzialmente alle incertezze normative e a una gestione a livello locale che spesso privilegia altri obiettivi rispetto ad una gestione efficiente e in grado di remunerare gli investimenti. In questi comparti industriali le operazioni di M&A, spesso trainate da operazioni che hanno interessato soprattutto i comparti energetici, non hanno generalmente prodotto i risultati attesi; tuttavia, specie al Nord, è possibile individuare alcuni casi di eccellenza come Hera.
Negli ultimi due anni, tuttavia, sono emersi i primi segnali di una possibile inversione di questo trend non certo positivo. In primis, l’approvazione del Decreto Ronchi, ha portato ad alcune importanti operazioni che hanno visto protagonisti fondi di investimento italiani (F2i) e stranieri (Eisner). A questo si aggiunge il recentissimo varo dell’Autorità per la regolazione del settore idrico, anche se nel decreto-legge che ne disciplina il funzionamento permangono alcune criticità (es. nomina politica del Direttore Generale) che ci si augura siano eliminate in sede di conversione.
Nel settore dell’energia, in Italia così come sulla scena internazionale, la leadership è saldamente in mano alle grandi utility energetiche, leadership che i processi di liberalizzazione non hanno certamente scalfito: il mercato Europeo è passato da una struttura caratterizzata da monopoli nazionali ad un oligopolio continentale ove sei aziende controllano larga parte dell’offerta, anche indirettamente. Eni ed Enel possono giocare un ruolo di rilievo. Se per il primo player la presenza internazionale è un asset strategico fin dalla sua fondazione, per Enel questo processo risale a soli pochi anni fa ma i risultati sono stati ugualmente importanti. A seguito di una aggressiva politica di M&A ora Enel è presente in tutti i principali paesi europei, in Russia e in Sud America. Per il futuro, visti gli esigui spazi di crescita in Italia, il gruppo intende spingere ulteriormente la propria internazionalizzazione. Ne è la conferma il recente piano di investimenti di Enel Green Power 4 dei 6,4 miliardi di € di capex al 2015 su America Latina, Nord America ed Europa dell’Est.
Sta emergendo tuttavia anche tra le utility di “minore dimensione” una certa spinta alla internazionalizzazione: esauriti gli spazi di crescita in Italia, alcuni player che hanno raggiunto una massa critica di un certo livello stanno effettuando acquisizioni, pur di non elevato valore, anche in Europa. E’ il caso, ad esempio, di A2A in Montenegro e in Francia (EPCG, Cofatech Coriance).
Circa le evoluzioni future, il comparto energetico ha ormai definito gli equilibri a livello continentale. Un equilibrio che vede a livello nazionale le grandi local utility presidiare gli ormai ampi territori di riferimento e i player di dimensioni maggiori (Enel, Eni e in minore misura Edison) sempre più attivi nell’arena internazionale. Rimane la grande incognita del Mezzogiorno ove il processo di aggregazione non è mai realmente iniziato limitandosi ad alcune sporadiche operazioni. I player meridionali del gas e dell’elettricità si contraddistinguono ancora per ridotte dimensioni, elevata posizione debitoria e scarsa efficienza. Questa situazione non è però figlia tanto di peculiarità del settore utility quanto del più generale contesto dell’area: solo migliorando quest’ultimo aspetto sarà possibile avviare un serio processo aggregativo in quest’area che valorizzi le aziende, i territori e i clienti finali.
Per quanto attiene il settore ambientale, questo è ancora eccessivamente frammentato, con troppe inefficienze, specie in alcune zone del Paese, e una cronica mancanza di liquidità per investimenti (depurazione delle acque, sistemi il monitoraggio delle perdite, impianti di trattamento dei fanghi). Il Decreto Ronchi, unitamente a un’efficiente e indipendente Autorità per il settore idrico potrebbero avere come effetto la creazione di un grande player ambientale in grado di muoversi nella competizione internazionale. Tuttavia, il recente referendum mina alla radice uno dei cardini di questo rilancio. Nel caso dell’abrogazione della normativa di riforma dei servizi pubblici locali è da attendersi ancora per diversi anni il proseguimento della attuale situazione di stagnazione.