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Le agenzie di rating? Per i mercati contano sempre meno

Le agenzie di rating contano ancora? La domanda è lecita, visto che Standard & Poor recentemente ha bocciato gran parte dei paesi europei, ma le borse non hanno reagito gran che. Poi è stata la volta di Fitch che ha degradato il nostro paese, pur riconoscendo che erano stati fatti alcuni progressi, ed anche in questo caso non ci sono state reazioni drammatiche. Anzi, lo spread delle obbligazioni del Tesoro italiano con i bund tedeschi si è ridotto.

Certo, c’è da dire che le agenzie sono state prudenti. Standard & Poor ha pubblicato la sua analisi il venerdì sera a mercati chiusi ed ha così dato tempo alle autorità europee di organizzarsi per evitare cadute dei corsi rovinosi. Fitch, dal canto suo, aveva annunciato, come di consueto che il rating dell’Italia era sotto osservazione. Tutti hanno concluso: i mercati avevano già scontato questi effetti ed è per questo che non ci sono state reazioni drammatiche.

Tutto normale dunque? In realtà, se i mercati sono così bravi da saper anticipare le analisi delle agenzie di rating, allora sorge una domanda maliziosa: a che servono le agenzie di rating? Queste, con le loro analisi fatte da esperti di settore che non guardano in faccia nessuno, dovrebbero essere capaci di anticipare i mercati, mandando segnali chiari di dove c’è pericolo e di dove c’è invece certezza. La loro funzione nasce dalla constatazione che gli operatori dei mercati devono agire in fretta e non sono in grado di apprezzare tutte le situazioni complicate che spesso accompagnano titoli di debito che vengono trattati sui mercati. Ecco allora che ci si affida ad agenzie specializzate che certificano questi titoli attraverso giudizi sugli emittenti che vengono continuamente aggiornati. Se i mercati, ossia gli operatori, sono così abili da anticipare le analisi delle agenzie, allora non c’è più bisogno di spendere soldi per far certificare i titoli.

Il dubbio diviene ancora più rilevante se si considera che molte delle loro analisi si basino più sul passato che sul futuro. Famoso è il caso del downgrading degli USA, avvenuto da parte delle agenzie di rating solo dopo che era scoppiata la crisi finanziaria globale: un avvertimento quando purtroppo non ce n’era più bisogno!

Anche nelle recenti analisi le considerazioni sul passato sembrano dominare i giudizi. Prendiamo il caso dell’Italia, dove il downgrading recente è stato giustificato da una situazione europea complessa e incerta, nonché dagli squilibri italiani che ormai caratterizzano il nostro paese da anni. Invece, è stato sottolineato, il Governo Monti ha fatto quello che doveva fare e, da questo punto di vista, c’è stato un progresso. In sintesi, il quadro dell’Italia non è cambiato se non in meglio. Di fatto, il giudizio negativo sull’Italia è stato portato quasi esclusivamente sui dati del passato, già noti e già giudicati. Tutti noi siamo convinti della criticità del nostro paese. Tuttavia c’è da domandarsi quale maggiore informazione una simile analisi abbia fornito al mercato. Quest’ultimo non ha reagito in senso negativo. Se lo avesse fatto, probabilmente si sarebbe ampliato lo spread e la situazione italiana sarebbe peggiorata effettivamente. Così, probabilmente, si sarebbe aperta la porta per un nuovo giudizio negativo.

Ma, come dicevo, i mercati sembrano reagire sempre meno a queste analisi. E così queste tanto discusse agenzie di rating, che qualcuno vorrebbe mettere sotto osservazione e che qualcun altro vorrebbe addirittura mettere sotto processo, si stanno depotenziando da sole. Se il mercato reagisce poco alle loro analisi, vuol dire che non ci crede troppo. E questo forse è il miglior rimedio al loro supposto eccesso di potere.

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