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Lavoro, precarietà e salari: la miopia di Landini e le sagge ricette di Visco in un’economia che cresce oltre le attese

Imagoeconomica

“L’economia migliora? Ma chi se n’è accorto? I salari continuano a calare, la precarietà è pesante e i nostri giovani continuano ad andare all’estero se vogliono un lavoro dignitoso e il problema è come si redistribuisce la ricchezza”. E’ una visione dell’economia italiana cupa e drammatica quella che esprime il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che quando parla fa sempre rimpiangere i tre grandi sindacalisti che la sua Confederazione ha avuto come leader nel Novecento: Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama e Bruno Trentin.

I numeri però sono numeri e i numeri smentiscono l’analisi di Landini e ancora di più le sue ricette su salari e occupazione, molto diverse da quelle illustrate con equilibrio e saggezza dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco nelle sue ultime Considerazioni finali del 31 maggio, rilanciate ieri al Festival internazionale dell’economia di Torino.

Partiamo dal quadro macroeconomico per poi scendere alle proposte su occupazione e salari. “Pil, l’Italia continua a correre meglio di Francia e Germania” titola il primo giugno “la Repubblica” e il “Corriere della Sera” gli fa eco: “L’Italia cresce di più, Pil allo 0,6% davanti a Usa, Francia e Germania”. Non sono fantasie giornalistiche ma a dirlo sono le rilevazioni dell’Istat, secondo cui la crescita italiana nel primo trimestre è stata dello dello 0,6% e a fine anno potrebbe arrivare all’1,9%. Del resto le Considerazioni finali di Visco sull’economia italiana sono chiarissime: “Nell’affrontare le conseguenze della guerra in Ucraina cosi come nell’uscita dalla pandemia l’economia italiana – afferma il Governatore – ha mostrato una confortante capacità di resistenza e reazione” che fa ritenere, sulla base dei dati oggi disponibili, che per l’intero 2023 la crescita si attesti “intorno all’uno per cento”, cioè “meglio di quanto ci attendevamo”.

Lavoro: crescono i contratti a tempo indeterminato e calano i contratti a termine ma la precarietà è ancora alta

Ciò che è più importante è che la crescita porta lavoro e porta lavoro meno precario, anche se le criticità non sono ovviamente sparite per incanto. La tendenza, che Landini continua a ignorare, è chiara e a dirlo è ancora una volta l’Istat, secondo cui l’occupazione è cresciuta ad aprile di 48 mila unità rispetto a marzo e di 390 mila unità rispetto ad aprile dell’anno scorso. Ma c’è un altro dato ancora più confortante che l’Istat evidenzia: ad aprile sono cresciuti i contratti a tempo indeterminato (+74 mila nel mese e +468 mila nell’anno) e sono diminuiti i contratti a termine (-30 mila ad aprile e – 149 mila nell’anno). Una goccia nell’oceano della precarietà? Può darsi, ma perché ignorare l’inversione di tendenza e non cercare di capirla e di coltivarla? Dice infatti il Governatore: “Nel 2022, con la ripresa sostenuta della domanda di lavoro è cresciuta notevolmente la trasformazione di contratti temporanei in permanenti. In molti casi, però, il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate e la quota di giovani che dopo cinque anni ancora si trova in condizioni a tempo determinato resta prossima al 20 per cento”.

In buona sostanza: l’economia italiana va meglio del previsto, l’occupazione permanente cresce e i contratti a tempo determinato si riducono ma per contrastare la precarietà c’è ancora molto da fare e bisogna fare attenzione a non imboccare scorciatoie illusorie.

Salari: le raccomandazioni di Visco e le amnesie di Landini

E i salari? Per Landini “i salari continuano a calare”. Per Visco “la diseguaglianza nelle retribuzioni orarie è rimasta contenuta” tra i dipendenti delle aziende private ma “la quota di lavoratori con retribuzioni particolarmente bassa è ancora salita, fino al 30% dal 25% degli ultimi anni del secolo scorso” ed è anche per questo che serve fissare un salario minimo per legge.

Dunque, che fare per accrescere posti di lavoro e i salari? Partiamo dalle retribuzioni. Qui le ricette della Cgil e della Banca d’Italia divergono nettamente. Landini sembra affidarsi, oltre che al rinnovo dei contratti, soprattutto allo Stato invocando un taglio non solo una tantum ma permanente del cuneo fiscale ma senza precisare dove trovare realmente le risorse e dimenticando scientificamente qualunque correlazione tra dinamica salariale e andamento della produttività. Raccomanda al contrario il Governatore: 1) No alla “vana rincorsa tra prezzi e salari” ma moderazione nelle richieste sindacali e necessità che le aziende “abbassino i prezzi”; 2) No al ripristino surrettizio di forme di scala mobile ed esclusione di una dinamica retributiva che replichi quella dell’inflazione passata; 3) Sì all’introduzione del salario minimo per legge e recupero del potere d’acquisto attraverso “una crescita più sostenuta della produttività”, che mostra segnali di miglioramento “dopo un lungo periodo di ristagno”.

E sulle politiche per l’occupazione? Anche qui le ricette divergono. Landini chiede investimenti pubblici, ripudia il Jobs Act anche se ha permesso la creazione di un milione di posti di lavoro e sogna, come la segretaria del Pd Elly Schlein, il modello spagnolo di lotta alla precarietà che riduce sì i contratti a termine ma – a differenza del Jobs Act – lascia mano libera alle aziende per i licenziamenti. Al contrario, per la Banca d’Italia l’occupazione non prevede scorciatoie ma è l’effetto – una variabile dipendente – della crescita dell’economia che non può fallire l’occasione unica del PNRR, fatto sì di ingenti investimenti pubblici ma anche di riforme.

Prima la Cgil di Landini e prima il Governo di destra-centro si convinceranno della bontà della ricetta di Banca d’Italia, meglio sarà. Altrimenti su salari, lotta alla precarietà e occupazione ascolteremo solo sterili giaculatorie.

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