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Lavoro: nel 2021 offerti 560.000 posti, ma il 30% non si trova

Il dato emerge dal Rapporto di Fondazione per la Sussidiarietà e Crisp: tre quarti delle posizioni cercate su Internet si concentra al Nord

Lavoro: nel 2021 offerti 560.000 posti, ma il 30% non si trova

L’offerta di lavoro nel 2021 c’è. Se è vero che molti posti di lavoro sono stati persi nel 2020 a causa della pandemia, e che adesso con lo stop al blocco dei licenziamenti è già in corso un’ondata di nuove interruzioni dei rapporti, è altresì vero, secondo il Rapporto sul lavoro sostenibile della Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con CRISP – Centro di Ricerca – Università di Milano Bicocca, che quest’anno le aziende hanno ripreso ad assumere, con circa 560.000 offerte nei primi sei mesi dell’anno, di cui la maggior parte tramite web. Le criticità però sono due. Intanto il divario geografico: già nel 2020, secondo lo studio, quasi tre quarti delle posizioni ricercate su Internet riguardavano posti al nord (74%), il 15% nel centro e solo l’11% nel sud e isole. E poi una questione molto dibattuta nelle ultime settimane: la difficoltà di trovare le figure richieste.

Secondo la ricerca, in quasi il 30% delle posizioni cercate i candidati sono stati o di difficile reperimento (73.000 posizioni su 560.000) o addirittura non se ne è presentato nessuno (84.000 posizioni, il 15%). Un tema che per la verità in Italia si trascina da tempo e che rientra nel limite storico della difficoltà di creare nuova occupazione e della rigidità del mercato. In dieci anni, dal 2011 al 2020, in Italia il tasso di occupazione delle persone da 15 a 64 anni è salito di poco, passando dal 56,8% al 58,1% (fonte Eurostat). Nell’Unione Europea è invece cresciuto dal 63,4% al 67,6%. In Germania l’indice è balzato dal 72,7% al record del 76,2% a fine 2020. La Spagna è passata dal 58,0% al 60,9% e la Francia dal 63,9 al 65,3%. Nella Penisola nel 2020 solo 2 lavoratori su 100 hanno cambiato impiego, contro i 3 di Francia e Spagna e i 5 della Danimarca (fonte Eurostat). Fra le maggiori economie europee, a fine 2020 l’Italia conservava il record di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: circa il 23,3% (Eurostat). Quasi il doppio rispetto alla media europea (13,7%) e molto superiore a Germania (8,6%), Francia (14,0%) e Spagna (17,3%).

“Come abbiamo indicato nel nostro Rapporto annuale – ha commentato Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat – la perdita di occupati determinata dalla crisi è stata di 915mila unità e il livello minimo si è toccato a gennaio. Nei mesi successivi abbiamo visto un moderato recupero e a fine maggio abbiamo registrato 180mila occupati in più rispetto a inizio anno. L’emergenza sanitaria ha penalizzato di più i settori dei servizi a prevalenza femminile ma in seguito questa componente è riuscita a recuperare, sia pur parzialmente. In prospettiva non mancano segnali positivi: la quota di imprese che hanno assunto nuovo personale tra marzo e maggio è passata dall’1,8% al 4,3%; sono segnali che fanno ben sperare. L’altra dinamica importante da seguire nei mesi a venire riguarderà gli sviluppi del lavoro agile: la quota di lavoratori in smart working nelle imprese che lo hanno attivato è passata dal 5% del periodo pre-covid al 47% dei mesi di lockdown di marzo-aprile, per assestarsi intorno al 30% da maggio in avanti”.

Tra i settori che più faticano a trovare addetti: alberghi e ristoranti, informatica e tlc, attività tecniche e scientifiche, costruzioni e servizi alle imprese. Mentre il rapporto individua anche gli 8 settori che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro nei prossimi anni: energia; infrastrutture di trasporto e soluzioni di mobilità sostenibile; ambiente; bioeconomia (agricoltura e pesca sostenibile); telecomunicazioni, tecnologie e servizi digitali; ricerca, sviluppo e innovazione; turismo; economia sociale (formazione, assistenza, cultura, sanità).

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