“Tutte le parti sociali acconsentono all’articolo 18 nella nuova formulazione, tranne la Cgil, che ha manifestato una posizione negativa. Ci dispiace, ma per noi la questione è chiusa“. Con queste parole il premier Mario Monti ha archiviato le trattative sul capitolo più controverso della nuova riforma del lavoro, quello che riguarda i licenziamenti. Si conclude così la lunghissima maratona dei negoziati. L’ultimo appuntamento fra Governo e parti sociali è fissato per giovedì pomeriggio a Palazzo Chigi, ma la questione della flessibilità in uscita non sarà più oggetto di negoziato.
Il Professore ha sottolineato che al tavolo delle consultazioni nessuno “ha potere di veto” e che “non c’è stato né ci sarà un accordo firmato fra il Governo e le parti sociali”. Il ministro Fornero ha però garantito che il dialogo continuerà anche nella fase di scrittura delle norme. In ogni caso, “i testi saranno chiusi entro venerdì”. A quel punto la riforma arriverà in Parlamento, probabilmente in una forma inedita per questo Esecutivo: non il decreto, ma la legge delega. Una scelta su cui peserà il parere del Presidente della Repubblica.
Vediamo quali sono i punti fondamentali del nuovo provvedimento. I pilastri sono tre: revisione dell’articolo 18, riformulazione dei contratti e ristrutturazione degli ammortizzatori sociali.
ARTICOLO 18: NIENTE REINTEGRO PER LICENZIAMENTI ECONOMICI O DISCIPLINARI
Il reintegro è previsto solo per licenziamenti discriminatori, ma viene esteso anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. Per i licenziamenti dettati da motivi economici arriverà solo un indennizzo, compreso fra un minimo di 15 e un massimo di 27 mensilità. Via libera al “modello tedesco” invece per i licenziamenti disciplinari: sarà il giudice a decidere se il lavoratore abbia diritto al reintegro o al semplice indennizzo, che anche in questo caso non potrà superare le 27 mensilità (a prescindere da quanto sia durata la causa).
”Avendo costruito una norma che sui licenziamenti soggettivi non prevede il reintegro in caso di nullità del licenziamento – ha commentato il leader della Cgil, Susanna Camusso – si fa venir meno l’effetto deterrente dell’articolo 18. Credo che sia evidente che e’ una proposta totalmente squilibrata e lontana da tutti i suggerimenti che sono stati dati”.
CONTRATTI: DALL’APPRENDISTATO ALL’ASSUNZIONE
Il contratto “subordinato a tempo indeterminato diventa quello che domina sugli altri per ragioni di produttività e di legami fra lavoratori e imprese”, ha spiegato Fornero. Con un’aliquota dell’1,4% sui contratti a termine, la precarietà dei lavoratori diventerà più cara per le aziende, che però in caso di stabilizzazione potranno recuperare parte di questi costi.
Per entrare nel mondo del lavoro e arrivare alla stabilità, il viatico principale sarà il contratto di apprendistato. Quest’ultima forma contrattuale verrà potenziata e incentivata. Allo scadere dei termini, il bivio: l’impresa potrà scegliere se chiudere il rapporto con l’apprendista oppure assumerlo a tempo indeterminato.
Ma nel caso di mancata conferma, “vogliamo che quel periodo gli valga qualcosa – ha detto ancora Fornero -. Si potrebbe pensare a una certificazione delle competenze professionali che ha acquisito, in modo che, se non è confermato, possa spenderle altrove”.
Inoltre, non sarà più consentito alle aziende di offrire ai giovani contratti di stage non retribuiti.
AMMORTIZZATORI SOCIALI: A REGIME DAL 2017, LA NOVITA’ E’ L’ASPI
L’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) sostituirà gradualmente ogni forma di mobilità ed entrerà a regime nel 2017. Si applicherà a tutti i dipendenti (privati e pubblici) con contratto a tempo determinato, ma per averne diritto bisognerà probabilmente avere almeno due anni di anzianità assicurativa e 52 settimane lavorative negli ultimi due anni. L’assegno massimo sarà di 1.119 euro (lordi) al mese, ma con un taglio del 15% dopo i primi sei mesi.
La durata standard del trattamento sarà di 12 mesi: solo per i lavoratori d’età superiore ai 55 anni sarà possibile arrivare a 18 mesi. L’aliquota contributiva dovrebbe essere dell’1,3% (2,7% per i precari). “Ci diranno che riduciamo le tutele – ha commentato il ministro del Lavoro -: è vero se pensiamo che l’Aspi durerà un anno, ma noi vogliamo portare l’Aspi a una platea di 12 milioni di persone”.