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Lavoro, il contratto di espansione: ecco come funziona

Il nuovo contratto è entrato da poco in vigore e sostituisce il contratto di solidarietà. Dovrebbe favorire la trasformazione tecnologica ma presenta numerose complessità

Lavoro, il contratto di espansione: ecco come funziona

Dallo scorso 11 luglio è entrata in vigore la legge di conversione del Decreto Crescita che, tra l’ altro ha introdotto in via sperimentale, per gli anni 2019 e 2020 un nuovo strumento di gestione dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione aziendali delle imprese con oltre mille lavoratori, denominato “contratto di espansione“, superando il “contratto di solidarietà“ previsto dal provvedimento del job act del 2015, che ridefiniva la materia degli ammortizzatori sociali. 

Per accendere questo tipo di nuovo contratto è necessaria, in tutto o in parte, una strutturale modifica dei processi aziendali finalizzati al progresso e allo sviluppo tecnologico dell’ attività, nonché la conseguente esigenza di modificare le competenze professionali in organico mediante un loro più razionale impiego, anche con una adeguata formazione, e comunque di prevedere l’assunzione di nuove professionalità. 

In tale caso si deve avviare una procedura di consultazione in sede governativa finalizzata a stipulare un contratto di espansione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o con le loro rappresentanze aziendali ovvero con la rappresentanza sindacale unitaria. 

Il contratto di espansione è di natura gestionale e deve prevedere le seguenti azioni : 

– l’ assunzione a tempo indeterminato di nuovi lavoratori 

– la riduzione dell’ orario di lavoro del personale in servizio, con intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria, in deroga ai limiti di legge (un ritorno alla cig in deroga di antica memoria), per un periodo non superiore a 18 mesi, anche non continuativo 

– l’esodo incentivato del personale che si trovi a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, purchè abbiano maturato il requisito contributivo minimo, oppure alla pensione anticipata, esclusa la pensione di Quota 100. 

Il contratto di espansione deve inoltre contenere : 

a) il numero dei lavoratori da assumere e l’ indicazione dei relativi profili professionali compatibili con i piani di reindustrializzazione o riorganizzazione 

b) la programmazione temporale delle assunzioni 

c) l’ indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro, compreso gli eventuali contratti di apprendistato professionalizzanti 

d) relativamente alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell’ orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati, nonché il numero dei lavoratori che possono accedere al sopra indicato esodo incentivato 

In particolare, la riduzione dell’ orario di lavoro per i lavoratori che rimangono in servizio non può superare complessivamente il 30 per cento dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di espansione. 

Resta comunque la possibilità per ciascun lavoratore di concordare la percentuale di riduzione dell’orario di lavoro, ove necessario, fino al 100 per cento nell’arco dell’ intero periodo del contratto di espansione stipulato. 

La nuova tipologia di contratto, ad oggi in fase sperimentale, è finanziata entro un limite di spesa di 15,7 milioni di euro per l’ anno 2019 e di 31,8 milioni di euro per l’ anno 2020. 

Peraltro continuano a produrre gli effetti fino alla loro naturale scadenza, così come le relative agevolazioni, i contratti di solidarietà espansiva in essere prima della modifica apportata dalla nuova normativa. 

Infine, il ricorso al richiamato esodo incentivato comporta, a fronte del licenziamento non opposto dal lavoratore e previo suo esplicito consenso, il riconoscimento, a carico del datore di lavoro, per tutto il periodo fino al raggiungimento del primo diritto alla pensione, di una indennità mensile, comprensiva della NASpI, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto, come calcolato dall’ INPS. 

Qualora il primo diritto alla pensione sia quello della pensione anticipata, il datore di lavoro dovrà però versare i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto, con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.

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