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Lavoro, ecco come cambia con il Jobs Act

Ecco le novità introdotte dal disegno di legge delega che ora dovrà ricevere il sì della Camera: taglio dei contributi o dell’Irap per i contratti a tempo indeterminato, e poi nuove regolamentazioni per demansionamento, voucher e salario minimo – Sull’art. 18 si deciderà con i decreti delegati solo una volta che il Jobs Act sarà legge.

In attesa del passaggio alla Camera, sulla quale le opposizioni (minoranza Pd in primis) promettono battaglia, il Jobs Act si avvia a delineare un nuovo mercato del lavoro. Intanto il contratto a tempo indeterminato diventa una forma definita “privilegiata” rispetto agli altri tipi di rapporto di lavoro, a partire da quelli a termine resi più flessibili già pochi mesi fa. Per questo motivo sarà “più conveniente in termini di oneri diretti e indiretti”, cioè incentivato con un taglio dei contributi o dell’Irap, la tassa a carico delle imprese. Per le nuove assunzioni viene invece previsto il nuovo contratto a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, con l’obiettivo della “semplificazione, modifica o superamento” della lunga lista di contratti oggi esistenti, più di 40, riducendo così almeno nelle intenzioni i margini per la precarietà. 

Sull’articolo 18 non si è invece deciso: come previsto, le modifiche vengono rinviate ai decreti delegati, che il governo dovrà emanare entro sei mesi una volta che il Jobs act sarà legge, e quindi dopo l’approvazione anche da parte della Camera. Le regole si applicheranno alle nuove assunzioni (primo lavoro o cambio d’azienda) e il reintegro nel posto di lavoro resta per i licenziamenti discriminatori, quelli motivati per esempio dal credo politico o religioso del dipendente. Sparisce del tutto per quelli economici, attribuiti alle difficoltà del mercato, per i quali resterà possibile solo un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio. Mentre per i licenziamenti disciplinari, motivati dal comportamento del lavoratore, resterà solo per pochi casi, quelli in cui il magistrato accerterà una violazione grave da parte dell’azienda, che saranno comunque specificati sempre nelle norme attuative in modo da ridurre i margini di discrezionalità della giurisprudenza.

Qualche ritocco dell’ultima ora è poi arrivato sul demansionamento, cioè la possibilità di assegnare al lavoratore mansioni inferiori rispetto alla categoria di appartenenza. L’operazione sarà possibile tenendo conto anche delle “condizioni di vita ed economiche del lavoratore”. Ma, questa è l’aggiunta in extremis, i contratti nazionali o anche aziendali potranno prevedere “ulteriori ipotesi”. Le regole per i voucher prevedono invece un compromesso per i buoni utilizzati per le prestazioni occasionali che rappresentano la forma di lavoro più flessibile. Resta, come chiesto dalla minoranza Pd, il tetto all’utilizzo annuale per singolo lavoratore, anche se questo non vuol dire che il vecchio limite dei 5 mila euro l’anno non possa essere alzato. 

Nel documento che ha ottenuto il sì del Senato è stata infine recuperata la norma che consente l’introduzione anche in via sperimentale del compenso orario minimo. Viene limitato ai lavoratori che non sono tutelati da un contratto nazionale, al momento il 15% del totale. Ma un domani, se i contratti in scadenza dovessero essere disdettati o anche solo non rinnovati, il salario minimo potrebbe diventare una regola molto più diffusa. Sulle risorse si specifica che gli “eventuali risparmi” che arriveranno dalla revisione della cassa integrazione potranno essere destinati ai nuovi ammortizzatori sociali. 

   

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