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L’auto elettrica spacca il Governo tedesco dopo il No di Berlino allo stop di diesel e benzina

Italia e Germania votano contro il regolamento sulle emissioni Co2 che sarebbe scattato il 7 marzo, mettendo fuorilegge dal 2035 i motori termici – Incertezze anche in Francia e l’Italia propone soluzione transitoria

L’auto elettrica spacca il Governo tedesco dopo il No di Berlino allo stop di diesel e benzina

Un’altra fumata nera per l’auto elettrica europea. La Svezia, presidente di turno dell’Unione, ha comunicato Il rinvio a data da destinarsi della riunione per l’adozione del regolamento sulle emissioni di CO2 per auto e furgoni che sarebbe dovuto scattare il prossimo 7 marzo mettendo così fuorilegge dal 2035 l’immatricolazione di motori termici, sia diesel che a benzina. 

Auto elettriche: No di Italia e Germania alla scadenza del 2035

Al no della Polonia ed all’astensione della Bulgaria, si era aggiunto negli ultimi giorni il no dell’Italia che ha così ribaltato il suo parere del governo precedente. Ma per il rinvio era necessario un quarto Paese. E in extremis si è mossa nientemeno che la Germania, l’ammiraglia incontrastata dell’Europa a quattro ruote. Berlino, confermando le incertezze che attraversano un’economia un tempo solidamente compatta dietro le parole d’ordine dell’ordoliberismo, oggi al contrario è in bilico tra tendenze assai diverse. 

Sono stati i colossi dell’auto tedesca a spianare nel recente passato la strada all’auto elettrica, soluzione rapida ed efficace per cancellare lo shock dello scandalo del dieselgate. In questi anni, poi, i Big non hanno lesinato gli sforzi per adeguare l’industria alla rivoluzione imposta dalla transizione sia dal punto di vista tecnologico che dei rapporti di lavoro. Un passaggio non indolore, come dimostrano le dimissioni di Herbert Diess, il ceo di Volkswagen che aveva avuto l’ardire di prevedere 30 mila esuberi con l’adozione delle tecnologie per l’elettrico. 

Effetto L’Avana sul governo tedesco

Le perplessità sull’elettrico senza riserve si sono così palesate all’ultimo momento spaccando il governo di Berlino. Non è più l’era di frau Merkel, che ha sempre protetto in patria come a Bruxelles le scelte di Bmw, Mercedes ed Audi seguendo il principio per cui quel che si decideva a Wolfsburg o a Stoccarda equivale all’interesse nazionale. Al contrario, la maggioranza arcobaleno che governa il Paese si è spaccata a metà: da una parte i Verdi e la Spd schierati per l’elettrico; i liberali sensibili alle critiche dei conservatori, che già avevano alzato la voce a Bruxelles parlando di “effetto L’Avana”.

Nell’isola caraibica, complice l’embargo decretato dagli Usa fin dall’avvento del regime di Fidel Castro, ancor oggi circolano infatti  le vetture americane degli anni Cinquanta. Lo stesso, ha sostenuto l’eurodeputato del Ppe Jens Gieseke, accadrà in Europa se scatterà l’obbligo dell’elettrico. L’industria, frenata dalla mancanza di materie prime e dai consumi di energia, non ce la farà a produrre le vetture elettriche necessarie. In cambio l‘esplosione dei costi renderà l’auto un bene di lusso, proibito alla classe media con il risultato di riempire le strade europee con le vecchie vetture.

Andrà così? Oppure l’evoluzione tecnologica, combinata con lo sforzo di dotare l’economia delle infrastrutture necessarie, sarà in grado di superare le varie carenze, non ultime quella di materie prime e i problemi di smaltimento delle batterie, che minacciano lo sviluppo dell’auto verde? 

A complicare il rebus va aggiunto che la vera soluzione dell’auto pulita passa per una terza via: l’auto ad idrogeno, tecnologia in cui per ora l’Europa vanta un relativo vantaggio ma che richiede ancora tempo e giganteschi investimenti. Con il rischio che nel 2050 buona parte dei capitali legati all’energia verde (comprese le colonnine) siano da rottamare. 

Le incertezze di Parigi

E certe incertezze si riflettono nella posizione di Parigi. L’industria francese si è dichiarata a favore dell’auto elettrica, l’asso nella manica di Renault che si accinge a separare il settore dal resto con un’apposita società, Ampere in cui ha coinvolto Nissan. 

Ma la stessa Renault ha appena varato un asse a tre con la cinese Geely ed il colosso del petrolio saudita Aramco. La nuova società si dedicherà alle tecnologie di propulsione a combustione interna e ibride, con l’obiettivo di sviluppare motori a benzina e sistemi ibridi più efficienti, mentre le altre case automobilistiche si stanno concentrando sulla transizione a veicoli puramente elettrici. 

La nuova JV avrà una capacità produttiva annua di oltre 5 milioni di motori a combustione interna, ibridi e ibridi plug-in e trasmissioni all’anno. 

Possibili soluzioni transitorie?

Difficile, per ora, prevedere come finirà. Probabile un compromesso che salvi alcune richieste a tutela dei motori termici, come chiede l’Italia. O altre soluzioni transitorie. Per ora, però, si può dire che la scelta massimalista, più ideologica che attenta all’attuale realtà economica, dovrà cedere il passo ad un atteggiamento più pragmatico destinato ad investire anche altri dossier non meno caldi od impegnativi. 

È l’atteggiamento sposato dal ministro italiano Adolfo Urso. “L’Italia – ha dichiarato – voterà contro come segnale per quanto riguarda tutta l’attività che la Commissione farà nei prossimi mesi. Anche a proposito degli altri dossier ancora aperti. Non solo quelli inerenti all’auto ma anche, per esempio, quelli sul packaging piuttosto che per l’ecotessile”. Lo stesso atteggiamento seguito per le etichette sull’alimentare. Il futuro della Ue, insomma, non passa solo dal patto di stabilità ma anche da temi che impattano sulla vita quotidiana. Ed è una gran bella novità per la democrazia.  

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