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L’auto elettrica corre in rete e dimezza i costi

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Ora ci crede anche l’Italia: l’auto elettrica che non si limita alla ricarica ma è capace anche di scambiare energia, immettendola nella rete pubblica quando serve, può regalare immensi vantaggi. Nella modalità più semplice, quella del singolo cittadino automobilista, può tagliare anche di un terzo i costi del “carburante”, rappresentato in questo caso dagli elettroni. Ma se ci si organizza bene – è il caso del trasporto pubblico ma anche delle flotte aziendali – i costi possono essere più che dimezzati. È facile capire che se questo scenario dovesse prendere forma il business complessivo dell’auto elettrica potrebbe trovare una spinta decisiva per il decollo in pochi anni. Il bello è che non si tratta di un sogno. Ci crede il Governo che ha varato una prima bozza già ben strutturata del decreto, che con un tributo all’imperante inglesismo lancia ufficialmente anche da noi il “Vehicle To Grid” (V2G).

La bozza del decreto, preparato dal Ministero dello Sviluppo grazie un confronto con gli operatori elettrici, è ora al vaglio di una vasta platea di esperti e di interlocutori anche dell’industria dell’automobile per la stesura finale. Dà seguito a quanto disposto dalla Legge di Bilancio 2018 e potrebbe entrare in vigore entro qualche mese. Aprirà di sicuro una nuova era: quelli dei mezzi elettrici (dalle auto ai mezzi di trasporto pubblici ma anche privati, e un domani anche le moto e le bici ad elettroni) che non si limitano a prelevare energia ma diventano parte di un sistema complesso di accumulatori di scambio al servizio della rete elettrica locale e nazionale, per rendere il sistema elettrico non solo più razionale e sicuro ma anche più economico.

Questo sistema diffuso di batterie potenzialmente immenso, costituito anche da mezzi elettrici oltre che delle “centrali” fisse costituite da accumulatori che anche da noi si stanno sperimentando da qualche anno, può infatti costituire un “polmone” di scambio anche istantaneo di elettricità, in grado di conferire ma anche di prendere elettroni a seconda dei bisogni e delle necessità che mutano nel corso delle 24 ore. Un grande aiuto al cosiddetto sistema di bilanciamento della rete elettrica nazionale, che proprio in questo periodo storico trova crescenti difficoltà a gestire i problemi posti dalla crescita delle energie rinnovabili, assai più discontinue e meno programmabili rispetto alla generazione termoelettrica tradizionale.

Certo, si tratta di mettere d’accordo molte cose: le procedure, le norme e le tecnologie che regolano i contratti di fornitura dell’elettricità, le caratteristiche delle prese elettriche di ricarica (da quelle pubbliche a quelle private installate nel box o nel cortile di casa per prendere ma anche per conferire energia alla rete), le soluzioni per garantire che lo scambio bidirezionale di energia non abbia un impatto negativo sulla durata delle batterie delle auto o in alternativa un sistema di indennizzi per compensare l’eventuale minor durata, una contrattualistica di settore completamente nuova,  obblighi e garanzie dei gestori, le regole per governare l’impatto sul sistema della la mobilità e sulla stessa viabilità (parcheggi a servizio del sistema, colonnine di ricarica di nuova generazione). Il tutto con il non lieve problema della standardizzazione di tutti i componenti.

A facilitare il compito sarà l’identico cammino che molti all’estero hanno imboccato prima di noi, dandoci lo sprone: la vicina Germania, la Danimarca, l’Inghilterra stanno testando le prime applicazioni commerciali, mentre la California guida la corsa in America. Ma anche l’Italia non è messa male, almeno nella tecnologia. Per far “parlare” le auto elettriche con la rete già lavorano, insieme, la nostra Enel, il quotatissimo Istituto di tecnologia di Genova (IIT) e la filiale italiana della Nissan. La colonnina di ricarica bidirezionale Enel è già pronta, il prototipo funziona perfettamente e per i primi impieghi sperimentali commerciali si aspetta solo il quadro normativo. Con la comune convinzione, una volta messe bene a punto le cose, di generare risparmi per tutti, restituendo all’automobilista consumatore, sotto forma di “sconto” sull’energia effettivamente consumata, una parte non irrilevante dei vantaggi ottenuti dal grande polmone elettrico. Per non parlare degli altri immaginabili vantaggi nella creazione di inedite filiere industriali e tecnologiche al servizio del nuovo concetto di mobilità, e degli effetti positivi sull’ambiente che deriveranno – come esistono migliori analisti del settore – dallo sviluppo accelerato del vettore elettrico anche nella mobilità.

Vantaggi, a partire da quelli per il portafoglio dei consumatori, che sono già quantificati non solo nella bozza di decreto, già accompagnata da una dettagliata relazione illustrativa, ma anche da un ponderoso e autorevole studio che ha costituito una delle basi della discussione, diffuso nel dicembre scorso dal RSE, l’istituto per la Ricerca sul Sistema Energetico, la società di scienziati e analisti controllata dal gestore pubblico sistema energetico nazionale (GSE).

Beneficiari degli sconti più sostanziosi saranno, nella fase iniziale, solo coloro che usano le vere auto elettriche. La bozza di decreto prevede infatti che la soglia minima di potenza modulabile per accedere allo scambio di elettricità debba essere di almeno 0,2 MW. Il che significa che allo scambio potranno essere dedicate solo le automobili “vere”: niente micro-car, niente due ruote. Se ne parlerà alla successiva evoluzione, dopo qualche anno.

In compenso il taglio alle tariffe di riferimento sarà riservato, se sistema sarà ben messo a punto, non solo ai veicoli capaci di scambiare effettivamente energia nelle fasce orarie e nei momenti di maggior bisogno reciproco della giornata (V2G). Questi vedranno crescere proporzionalmente il risparmio in termine di costo del chilowattora a seconda della potenza elettrica messa a disposizione del sistema. Ma anche la classica modalità del solo prelievo (V1G è la sigla coniata per questa tipologia) avrà i suoi vantaggi, comunque consistenti: risparmi fino “al 37% per tre ore serali dalle 18 alle 21” ipotizza l’RSE nel suo studio. Questo grazie al fatto che concordando determinate fasce orarie per la ricarica e rendendosi disponibili alla flessibilità della stessa anche la modalità unidirezionale può essere “intelligente” rispetto agli equilibri della rete, contribuendo al bilanciamento.

Ma il pieno di sconti lo faranno naturalmente i veicoli e le colonnine capaci di “scambiare”. Nella bozza di decreto si riassumono le conclusioni dello studio RSE: per i sistemi costituiti dalle flotte di auto aziendali la riduzione dei costi di ricarica è stimata in circa il 65%. Troppo per non fare gola a tutti.

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