Le auto cinesi fanno paura alle gloriose case automobilistiche europee, un po’ meno agli automobilisti del Vecchio continente. Le prime cominciano a piangere la disfatta, fanno appello agli Stati e all’Unione europea perché dia un minimo di coerenza alle promesse di aiuti, calibrando nel frattempo la nuova rischiosa controffensiva dei dazi, che però serviranno anche a sussidiare i nostri produttori. I secondi, i nostri automobilisti, stanno cambiando velocemente il loro atteggiamento.
Auto cinesi patacche? Nient’affatto. Lo scenario è cambiato. La produzione orientale si è trasformata. Le automobili cinesi di scarsa qualità sono ormai una minoranza. Ecco il nuovo credo: globalizzazione, tecnologia, qualità, perfino alleanze. E, soprattutto, un rapporto qualità-prezzo da primato. Marchi prestigiosi sono in mani cinesi. È il caso della britannica MG e della svedese Volvo. I prodotti, diciamolo con sincerità, sono ottimi: nella qualità, nell’estetica, nella genesi. Frutto sempre di più della stretta collaborazione con i vecchi proprietari e con le premiate attitudini motoristiche occidentali, design compreso.
Nel caso della neo-cinese Volvo, in mano al colosso Geely, i tecnici e i designer europei conservano un ruolo addirittura egemone: che dire della Lynk & Co, eccellente ibrida plugin di medie dimensioni offerta del nostro mercato con un’innovativa formula di noleggio agevolato super-elastico che si può allungare e interrompere quando si vuole? È tutto qui il rebus che sembra segnare nostro il destino dell’auto. Destino amaro? Quanto amaro? Dipende.
Un rebus da risolvere in fretta
Fronteggiare il nuovo impegnativo scenario ci obbliga a rispondere ad una serie di quesiti e non solo all’interrogativo da mesi imperante nelle cronache sulle indecisioni e i passi falsi negli orientamenti dell’Unione europea sullo stop ai motori termici dal 2035, oppure nella decisiva sfida industriale clamorosamente abortita di allestire in Svezia, coon il marchio Northvolt, la prima giga-factory per le batterie europee, andata in bancarotta ancor prima di produrre.
Frenare l’assalto cinese a colpi di dazi? E come farlo senza scatenare un effetto boomerang? Le auto cinesi sono davvero un affare per i nostri consumatori? Industria dell’automotive europeo può sopravvivere degnamente alla doppia morsa dell’assalto cinese e dei crescenti allarmi sull’altra gigantesca sfida aperta dal nuovo imperatore americano Donald Trump proprio a colpi di dazi su una serie infinita di merci europee a partire dalle auto?
A tracciare l’evoluzione dello scenario è forse il settore che è andato in avanscoperta, quello delle motociclette: la strada delle alleanze e del mutuo scambio di pregi di competenze e forse la migliore per assicurare un posto di primo piano piano nel nuovo mondo dell’automotive ad un paese, il nostro, tradizionalmente dotato di ottime qualità, grandi marchi e eccellente reputazione nei mercati.
I dazi: manovrarli non è facile
Trovare un equilibrio nella politica dei dazi non è facile. I cinesi non sembrano temerli più di tanto. Nell’automotive europeo li pativano già per una quota attorno al 10%. Ora si stringe di più. Nell’ottobre scorso la Commissione europea ha approvato le tariffe aggiuntive che vanno dal 7,8 al 35,3%, a seconda del livello di ”collaborazione” che i singoli marchi avrebbero mostrato nel mediare sui criteri distorsivi della concorrenza: 7,8% per le Tesla prodotte in quote considerevoli in Cina (altro che “all American”, le elettriche di Musk sono un tipico esempio di globalizzazione), 17% per il gruppo BYD, 18,8% per Geely, fino al 35,3% per Saic e per le altre imprese che secondo i giudici della Ue non avrebbero garantito collaborazione.
Super-dazi troppo pesanti per non indurre i cinesi a ricorrere agli organismi di contestazione internazionali? Sufficientemente pesanti, intanto, per riequilibrare la competitività delle loro auto sulla struttura produttiva europea ormai in crisi? Bruxelles fa sapere che continuerà a trattare con Pechino per un accordo equilibrato che eviti guerre commerciali. “L’Unione europea rimane il campione mondiale del commercio aperto, equo e basato sulle regole” proclama Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea con delega al commercio.
Ma intanto i super-dazi si preparano a mordere. Non abbastanza da preoccupare davvero gli artefici delle auto cinesi, convinti di mantenere i margini per essere comunque competitivi, anche grazie ad un eventuale ulteriore irrobustimento di quegli stessi sussidi interni di Pechino (non certo un campione mondiale di fair play concorrenziale) che hanno motivato i dazi occidentali. Insomma, un serpente che si morde la coda. Anche se ora sono gli stessi cinesi a lanciare ripetuti segnali di distensione con la disponibilità a esplorare semmai la via della collaborazione. Conviene a loro e conviene a noi, evidentemente.
Dalla Cina un’avanzata da manuale
I cinesi sono bravi, e soprattutto visionari. L’esempio lampante è quello della BYD, il colosso sempre più robusto che sta rapidamente conquistando il primo posto nei mercati mondiali delle auto a batteria, scalzando quello che sembrava l’inattaccabile primato della Tesla di Elon Musk anche soprattutto nelle auto totalmente elettriche di fascia alta.
Costi e prezzi, volumi e struttura produttiva, qualità e design, tempestività nell’accompagnare la richiesta e quindi la ricettività del mercato: BYD (che sta per Build Your Dreams) sta costruendo l’imbattibilità grazie ad un nuovo ciclope produttivo. Si tratta di una città-fabbrica alimentata da 80.000 operai per turno, attiva 24 ore su 24, più grande dell’intera Torino. Guai a pensare ad un modello para-sovietico di produzione intensiva che piega il sociale in nome della “vittoria” industriale. Chi sta scrutando la costruzione della città fabbrica riferisce di un affascinante sequenza, accanto alle linee di produzione, di complessi residenziali densi di strutture sportive, di campus formazione e aggiornamento degni di competere con le migliori strutture americane, di un solido diffuso sistema di welfare al servizio degli ospiti della cità-fabbrica. Tra qualche mese, quando tutto ciò comincerà a prendere la sua forma definitiva, potremmo davvero giudicare.
Con una struttura di questo tipo BYD potrà andare davvero lontano. L’obiettivo è quello di diventare intanto il secondo player auto al mondo (ora è prima la giapponese Toyota con oltre 9 milioni di esemplari venduti lo scorso anno, seguita da VW e Ford) rispetto all’attuale nona posizione con oltre 4 milioni di esemplari venduti tre elettrici, ibridi e termici. Ma intanto con 1,8 milioni di esemplari elettrici venduti BYD ha praticamente agguantato la prima posizione nell’auto a elettroni.
L’anteprima di ciò che sarà prodotto dal neo-colosso cinese all’insegna della globalizzazione non manca, anche qui da noi. Dopo i primi modelli di medie dimensioni che arrivano con puntiuale tempestività anche nel nostro paese: è stata da poco lanciata la B-Suv elettrica di dimensioni medio-piccole, la Atto2, per fare concorrenza diretta alle nuove GrandePanda e Citroen C3 del gruppo Stellantis. Ed ecco in arrivo una novità ancora più significativa: la piccola elettrica Dolphin Surf, evoluzione fatta per l’Europa del modello cinese Seagull. E’ un attacco nella fascia dei modelli più piccoli (meno di 4 metri di lunghezza) quasi abbandonati dall’industria europea per i loro scarsi margini di redditività. E’ stata disegnata con la collaborazione del tedesco Wolfgang Egger, artefice di molti modelli Audi e Lamborghini. Costerà attorno ai 20mila euro e avrà un dispositivo di ricarica a corrente continua da auto superiore, in grado di passare dal 30 all’80% di carica in mezz’ora con un’autonomia fino a 400 chilometri. In attesa che proprio il consorzio allestito tra BYD e le altre società cinesi CATL e NIO cominci a sfornare le nuove batterie allo stato solido che promettono di raddoppiare le prestazioni dimezzando i prezzi.
La collaborazione possibile
Lo scenario mostrato da BYD insegna, o dovrebbe farlo. Invece che fronteggiare o addirittura combattere i cinesi conviene farceli amici, o almeno alleati, considerazioni geopolitiche permettendo. Una prima rete di solide sinergie collaborative c’è già. La presenza in Cina sia nelle forniture che nella produzione di Wolkswagen, di Piaggio, del nostro campione dei freni e ora anche selle sospensioni Brembo, solo per citare qualche esempio, è consolidata e funziona con reciproca soddisfazione.
Qui da noi siamo invece agli albori, con soluzioni approssimative. Come l’idea di uno stabilimento di assemblaggio insieme a Stellantis della cinese LeapMotor, elettrica che scimmiotta la vecchia Smart a 4 posti, modesta a confronto della nuova piccola BYD. Qualche dubbio anche per lo schema adottato dalla molisana DR dell’imprenditore Massimo Di Risio, che si limita a rimarcare con qualche finitura modelli già diffusi in Cina, procurandosi oltretutto le reprimende del nostro Antitrust perché la totale origine cinese verrebbe nascosta, tant’è che ora si promette un salto di qualità e di strategia con un vero polo produttivo che nelle ambizioni di Di Risio potrebbe nascere anche grazie ai fondi del PNRR.
Soluzioni (con qualche problema) in vista
Collaborazione e alleanze organiche produttive in Europa con un vero vantaggio per tutti: potrebbe essere la soluzione, ma le difficoltà non mancano. Torniamo alla BYD, che in parallelo al suo colossale impegno interno cinese vuole aprire insediamenti produttivi ben al di fuori dei suoi confini, anche in Europa. L’operazione è in fase avanzata, con qualche problema. Il nascente impianto in Ungheria (a Szeged) da 4 miliardi di euro di investimenti con forti sussidi cinesi è sotto indagine della Commissione europea per presunti aiuti di Stato in violazione delle normative sulla concorrenza. Ennesimo motivo di frizione anche tra i partner UE, visto che Orban è invece un accanito sostenitore della mano libera ai cinesi, purché a vantaggio del suo paese, in aperta critica con Bruxelles.
Dalla Turchia al Brasile, dal Messico fino all’Indonesia: BYD allarga decisamente le ali strategiche. Il suo interesse per l’Italia non è un mistero, magari partendo dalle collaborazioni già in atto con le nostre ottime imprese della componentistica Pirelli e Brembo. Impegno e cautela. Ma guai a non esplorare l’alleanza con quello che sta meritatamente diventando un campione.