È stato presentato ieri il Rapporto “Laurea e imprenditorialità”, il primo studio, condotto a livello nazionale, dell’imprenditorialità dei laureati in Italia, utilizzando dati statistici riferiti ad un temporale molto ampio. L’obiettivo principale della ricerca è quello di analizzare il fenomeno dell’imprenditorialità e il relativo impatto economico. I dati considerati sono, a livello individuale, di 2.891.980 laureati sul territorio nazionale tra il 2004-2018 e i dati, a livello aziendale, di 236.362 imprese da questi fondate. Lo studio nasce dalla collaborazione tra il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna e Unioncamere.
Dai risultati emerge che il 7,1% dei laureati è fondatore di impresa, ossia coloro che al momento della creazione di un’impresa possiedono una quota di capitale e ricoprono una carica imprenditoriale, come amministratore, titolare o socio. Si tratta in totale di 205.137 laureati e le imprese fondate sono 236.362, rappresentando il 3,9% del totale delle imprese presenti in Italia a settembre 2019. La quota di fondatori oggetto dell’analisi varia a seconda di alcune caratteristiche della popolazione. Ad esempio, la quota degli uomini è più alta rispetto a quella delle donne (il 9,5% contro il 5,5%), oppure, tra i laureati che hanno almeno un genitore imprenditore o libero professionista, la quota di fondatori è più alta della media (il 25,7% contro il 5,0%).
In Italia, le microimprese costituiscono l’asse portante del sistema economico, coprendo il 95,3% delle imprese attive, e contribuiscono per il 29,7% alla creazione di valore aggiunto. Le piccole e medie imprese, invece, sono il 4,6% e contribuiscono per il 38,8% alla creazione di valore aggiunto. Nonostante sia piccola la percentuale ricoperta dalle grandi imprese, solo lo 0,4%, contribuiscono per il 31,5%.
Un dato interessante riguarda la ripartizione delle imprese fondate dai laureati sotto il profilo territoriale. Al Sud Italia sono presenti il 40,8% delle imprese, mentre al Centro e al Nord, rispettivamente, il 21,7% e il 37,4%. Inversa è la classifica delle imprese italiane fondate dai non laureati, dove c’è una maggiore concentrazione al Nord, con il 45%, contro il Centro e Il Sud, il 21% e il 34%. Questo vuol dire che, i giovani laureati, una volta conseguito il titolo al Nord, tornano nel luogo di nascita per aprire le proprie aziende.
Per quanto riguarda il tasso di crescita (dato dal rapporto tra il saldo tra le iscrizioni e cessazioni per ogni anno di osservazione, e lo stock delle imprese di laureati) emerge che questo è aumentato nell’ultimo decennio, passando dal 2,2% nel 2009 al 3,7% nel 2018. Questo dimostra come l’imprenditorialità dei laureati abbia effetti positivi a livello nazionale. Perché le imprese create dai laureati sono più vitali – ha detto Marina Timoteo, Direttore del Consorzio AlmaLaurea – hanno, infatti un tasso di crescita e di sopravvivenza più alto, e contribuiscono a creare opportunità di lavoro anche nelle aree del territorio italiano con maggiori difficoltà economiche. Chi si laurea ha più chances di fare impresa e, ancora di più, di far durare l’impresa che ha creato.
Meno entusiastico è il tasso di sopravvivenza delle imprese. A livello nazionale, delle 312.000 imprese nate nel 2009 è ancora attivo il 40,6% nel 2019.
Le imprese femminili, ovvero le imprese la cui partecipazione al controllo e alla proprietà è detenuta principalmente da donne, rappresentano il 38% del totale delle aziende create da laureati, maggiore di quella nazionale, pari al 22%. La percentuale di imprese femminili nel settore professionale, tecnico e scientifico, pari al 7,7% è minore di quella osservata nella nostra popolazione di imprese (il 9,8%), ma superiore a quella nazionale di imprese femminili che operano nel medesimo settore (il 3.8%).
Ma guardando l’esperienza di alcuni big delle più grandi aziende internazionali, ci si chiede se possedere una laurea sia necessario per svolgere questo tipo di attività. Steve Jobs, co-fondatore di Apple e Pixar, lasciò il college solamente sei mesi dopo l’iscrizione. Mark Zuckerberg, padre di Facebook, abbandonò Harvard durante il secondo anno. Anche Matten Mullenweg, che ha dato vita a WordPress, e Bill Gates, co-fondatore di Microsoft, e molti altri ancora, non hanno terminato i propri studi per dedicarsi alle loro attività. Il conseguimento di una laurea permette l’acquisizione di nozioni per la realizzazione di un buon business plan e le competenze di carattere manageriale sugli aspetti finanziari del fare impresa – sostiene il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. Su questo piano intervengono le Camere di commercio, lavorando, insieme alle associazioni, al fianco degli aspiranti e neoimprenditori. Un sostegno decisivo soprattutto per le imprese di minori dimensioni – ha continuato.
È importante che le imprese create siano imprese di successo, in grado di generare ricchezza, benessere e, soprattutto, occupazione. Bisogna investire nel capitale umano, attraverso un’adeguata formazione, che sia capace di confrontarsi con un mercato in continua evoluzione. Per questo motivo, i risultati di questa ricerca, la prima per robustezza dei dati e per l’orizzonte temporale a livello internazionale, sono utili e necessari per capire la direzione giusta per promuovere l’imprenditorialità in Italia, e non solo, ma anche per ridurre le disuguaglianze di genere presenti in questo settore.