Dai tablet ai phablet
Alcuni analisti hanno attribuito il declino del business della Apple nel campo degli ebook non tanto alla sua incapacità di interpretare ed anticipare le tendenze del mercato, come di solito è capace, quanto a un cambiamento importante avvenuto nel comparto dei dispositivi mobili e nelle preferenze del pubblico. Così come i tablet hanno messo uno stop alla crescita dei notebook, così gli smartphone di grande formato, i phablet, hanno posto un tappo alla crescita dei tablet e degli ereader dedicati. Adesso nessun analista parla più di questi ultimi nei termini in cui ne parlava qualche anno fa.
Nel terzo quadrimestre del 2016 le vendite dei tablet sono calate del 20,1%. Succede che lo smartphone sta sostituendo il tablet anche in quello a cui più era utile il tablet, cioè alla lettura, la scrittura e lo streaming. Sempre meno persone si portano appresso due dispositivi, mentre tutti portano con sé uno smartphone con cui hanno imparato a fare tutto. Il mio amico Giulio Sapelli scrive articoli e interi capitoli di libri sul suo vecchio Blackberry con una perizia di esecuzione che lascia esterefatti. Può scrivere anche sulla vetta del Gran Paradiso con l’aria fine che gli ossigena il cervello. La capacità adattativa delle persone è stupefacente se se ne presenta la necessità.
Gli smartphone di grande formato sono adesso il 25% dell’intero mercato smartphone. IDC prevede che nel 2020 uno smartphone su tre avrà uno schermo tra i 5,1 e 7 pollici. A quella data il volume di phablet consegnati toccherà il ragguardevole numero di 610 milioni.
La lettura di un libro è senz’altro possibile su un phablet, anche se tende ad essere ancora considerata una scelta piuttosto stravagante. Leggere sullo schermo di un phablet è senz’altro possibile, ma indubbiamente meno agevole e appagante che leggere su una pagina di carta ben impaginata e tipograficamente ineccepibile. Leggere un libro su uno smartphone può avere senso solo in circostanze particolari o per contenuti speciali che abbisognano di una certa interattività in quanto, per esempio, incorporano espansioni multimediali, video o audio. Lo studio è ancor meno contemplabile e infatti tutti i ragazzi in età scolare dichiarano ancora di preferire, senza troppe esitazioni, il libro.
La lettura e lo studio richiedono concentrazione e immersività. Il silenzio nelle biblioteche è qualcosa di sacro e il telefonino è la negazione del silenzio e della concentrazione.
Dall’ebook all’audiobook
Con l’avvento del lettore ibrido che sceglie indifferentemente il formato di lettura e con il livellamento dei prezzi degli ebook, lo smartphone tende ad essere una soluzione sostanzialmente di ripiego e meno convincente dei tablet per leggere libri. Gli si preferiscono questi ultimi. Lo smartphone, però, ritorna subito in partita se invece della lettura si parla dell’ascolto. Ed è proprio quello che è successo quando l’offerta di testi letti e recitati, sia che fossero audiobook che podcast, è diventata un’opzione semplice come quella procurarsi e ascoltare un brano musicale da un device.
Lo smartphone, infatti, è uno strumento eccezionale per ascoltare un libro ed è proprio questa attività che inizia a piacere immensamente ai lettori il cui tempo di lettura ha iniziato a contrarsi fortemente con l’aumento smisurato dell’offerta media. Ascoltare, a differenza di leggere, è qualcosa che può abbinarsi con altre attività, è qualcosa di sommativo e non di esclusivo. Farsi leggere un libro in cuffia mentre si cammina per strada o si corre al parco o sul tapis-roulant o si sta stirando una camicia è diventato qualcosa di più che una moda effimera. È diventata una vera e propria abitudine per milioni di persone.
Audible, che rifornisce di audiobook Amazon e Apple, offre un’applicazione facile, agevole ed efficiente per scaricare e ascoltare un libro, un giornale, una rivista o un qualsiasi altro contenuto testuale. Si possono ascoltare più contenuti senza che l’applicazione perda l’ultimo punto di ascolto di ciascuno, si può sincronizzare l’ascolto su device di differenti costruttori e addirittura Amazon offre una soluzione che permette, in continuità con l’ascolto, di riprendere la lettura sul proprio Kindle.
Ci sono poi i podcast, molti dei quali sono gratuiti e vengono serviti su abbonamento da applicazioni specializzate. L’ultimo libro del sociologo canadese Malcolm Gladwell, uno dei 100 pensatori più influenti del pianeta, è stato proprio un podcast gratuito scaricato centinaia di migliaia di volte e finanziato con la pubblicità. Il responsabile dell’area digitale di “The Economist” ha dichiarato che un abbonato ascolta gli articoli del magazine, che da anni offre un’edizione audio integrale di ogni numero, mentre nuota in piscina sul suo smartphone impermeabile.
Da più di un anno Alexandra Alter, il book critic del NYTimes, continua a ripetere il solito refrain: gli audiobook hanno presto il posto degli ebook nei gusti dei consumatori. E nel 2016 il mercato degli audiobook è cresciuto del 35%. Ciò dimostra che se al mezzo viene servito il contenuto idoneo, il consumatore non si sottrae al consumo. Ed è proprio questo il punto cruciale che impedisce agli ebook di decollare. Manca l’innovazione di prodotto che serva il contenuto idoneo al mezzo idoneo.
Dal libro sulla carta allo xeroxebook
Gli ebook dell’editoria tradizionale scaricabili dal Kindle store o dall’iBookstore sono delle mere copie digitali del libro. Sono xeroxebook, fotocopie su file. Non aggiungono né tolgono niente al libro da cui nascono come pura conversione da un formato a un altro. Ancora nel 2017 si può scaricare un ebook di saggistica e notare che non c’è un link a supporto delle fonti e dei documenti, non c’è un rimando interno, non c’è un indice interattivo dei luoghi e de nomi citati, le figure sono minuscole e interrompono bruscamente e casualmente in testo provocando dei salti pagina che smarriscono il lettore. Molti ebook sono malamente interlineati e appaiono come un massa d’asfalto, quando potrebbero essere arieggiati, interrotti e spaziati sui paragrafi, visto che le pagine non sono un costo. Non esiste il pur minimo investimento in quelle che costituiscono le specificità del mezzo, nemmeno il minimo sindacale. Un grande e reputato editore come Gallimard ha messo sul mercato degli ebook in cui galleggiano nella pagina i trattini di sillabazione che sono rimasti da una cattiva conversione dal pdf all’ePub. Si potrebbe continuare con l’elenco dei difetti puramente tipografici. E si sta parlando di ebook di grandi editori, di autori affermati e seguiti. In questi contesto e con questo ebook iperminimale la scelta del consumatore può quindi essere mossa solo da una considerazione di convenienza. L’editoria tradizionale vede gli ebook come un canale distributivo supplementare che fa molta fatica a controllare e quindi aborre. È lo stesso sentimento che ha spinto il grande critico d’arte Roberto Longhi a scrivere “che se ne vadano!!” riferendosi alle due figurine di borghesi fiorentini dipinti da Masolino da Panicale in una scena del grande affresco di Masaccio nella Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine a Firenze.
Amazon, a differenza di Apple, continua a vendere bene in formato ebook perché nella nuova editoria è questo il formato di gran lunga prevalente e nel 90% dei casi non esiste un’alternativa cartacea, anche se il print-on-demand sta crescendo in modo considerevole come volume e come fatturato. Ma nella nuova editoria, a differenza di quella maggiore, la distanza di prezzo tra digitale e cartaceo rimane marcato perché Amazon, che controlla questo mercato, vuole che sia così ed è giusto che sia così. Per la nuova editoria l’ebook non è un nuovo canale distributivo, ma è il canale distributivo.
Ma anche da questo fenomeno stupefacente non è arrivata una vera innovazione di prodotto. Anzi è arrivato un contenuto molto tradizionale. In questo universo la fa da padrone la narrativa di genere e di evasione dove spicca il genere rosa che rappresenta il 77% delle vendite. Secondo Mark Cocker, il boss di Smashwords (un aggregatore di autopubblicati), gli “autori rosa” sono i meglio organizzati, i più professionali, i più sperimentali e i più sofisticati e hanno saputo costruire una incredibile relazione con il lettore. Ma l’ebook è ancora concepito e scritto come un libro di carta.
Un nuovo canale per poesia, racconti, romanzo breve e saggistica giornalistica
In verità qualcosa di nuovo si è visto ed è incoraggiante. Lo si deve soprattutto ad autori più visionari e a start-up che hanno iniziato a prendere sul serio il nuovo mezzo e a investire sulle sue specificità. Un genere come la poesia ha avuto una sorta di rinascimento con l’ebook sia perché era stata espulsa dall’editoria maggiore sia perché la poesia è un testo breve, compiuto e frugale che si fa leggere proprio bene su uno schermo di medio formato. Lo stesso si può dire per i racconti e la saggistica giornalistica, investigativa o di costume (sul modello New Yorker, per intendersi) che si avvantaggiano di due peculiarità del formato: la irrilevanza della foliazione e la quasi istantaneità tra concepimento e pubblicazione del contenuto. Prima Amazon e poi Apple hanno creato delle specifiche aree dei loro negozi per offrire questo tipo di contenuto che richiede un investimento di tempo di poco superiore all’ora. Amazon li ha chiamati “Single ebook”, echeggiando la musica, ed Apple li ha denominati “Shorts” ammiccando al cinema. Anche l’erotico funziona bene in formato ebook. La James ha cominciato proprio come autrice autopubblicata distribuita in digitale. Poi qualcuno l’ha notata ed è diventata il fenomeno che sappiamo.
Ci sono stati dei grandi autori che hanno fatto cose egregie. JK Rowling ha creato Pottermore dove offre in ebook le storie di Harry Potter riconcepite e rimontate con un taglio multimediale, quasi cinematografico. Però la Rowling che in genere crea una scia supersonica, non ha avuto molti altri imitatori. Non si conoscono i dati di Pottermore ma si sa che, fino a poco tempo fa, era l’unica attività in perdita della bionda scrittrice inglese. James Patterson, che crea “bestseller in batteria” si è proposto “di vendere libri alla gente che alla lettura preferisce la televisione, i videogiochi, i film e i social media”. Ha ideato una collana chiamata bookshots che offre storie più brevi, più avvincenti nel plot e con un sacco di adrenalina. “Sarà come leggere un film” ha detto. Ma non se n’è sentito parlare molto. In realtà Patterson, da uomo di marketing qual è, ha capito quale sia il problema ontologico dell’industria del libro nel passaggio al digitale: non è la competizione tra libro ed ebook o tra Amazon e gli editori, quanto l’urgenza di portare nuovi soggetti a leggere e di arginare l’erosione del terreno della lettura dall’azione dei media più pavloviani che le contendono con successo il tempo del lettore. Problema questo che sembra l’ultima delle preoccupazioni dei grandi editori, anch’essi affetti dal male comune del business di oggi, lo shortism.
L’effimera stagione degli appbook
La sperimentazione più importante sui testi narrativi è avvenuta però con le applicazioni. Sono questi piccoli pezzi di software che sono diventati un laboratorio di innovazione e tale, però, sono rimasti. E oggi l’entusiasmo si è quasi del tutto spento. Oggi è nel videogioco la narrazione interattiva che si cercava con l’appbook. Forse dallo script del videogioco potrebbe nascere uno spin-off che è il libro interattivo. Ma questa opzione è ancora avvolta nella nebbia.
The Waste Land, il poemetto di T.S. Eliot, rielaborato come app per iPad da Faber e Touch Press nel 2011, è diventato un caso editoriale. In sei settimane ha superato agevolmente il milione di dollari di ricavi. Si tratta ancora di un’applicazione piuttosto lineare: al testo del poemetto si accompagna la sua recitazione coordinata con note testuali molto ricche e 35 video di esperti.
Arcadia, scritto per iPad e iPhone dallo storico dell’arte e scrittore inglese Iain Pears, è già un’app narrativamente più elaborata perché intreccia storie e personaggi spronando il lettore ad interagire con essi nella scelta del percorso di lettura. In ogni caso leggere rappresenta l’attività su cui alla fine si atterra. 80 days, sviluppata da Inkle sulla traccia del romanzo di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni, inizia già a filtrare con il concetto di gamification. In questa app inizia a scomparire la separazione tra libro e videogioco. 80 days ha ottenuto ben 4 nomination al BAFTA. Un altro esempio di ibrido tra libro e videogioco è Device 6, un thriller surreale che intreccia letteratura, geografia, puzzle e giochi interattivi.
Ecco qui delineati i tre filoni degli appbook: il libro espanso (The Waste land); la narrazione interattiva (Arcadia) e infine il libro/videogame (Device 6).
Anche i grandi editori, subito dopo l’uscita dell’iPad, hanno investito negli appbook. Penguin Random House ha pubblicato una cinquantina di app, molte delle quali indirizzate al segmento ragazzi. Ci sono state però anche delle proposte per adulti come Mastering the Art of French Cooking di Julia Child (una selezione di 32 ricette con relativi video), Stephen Hawking’s Snapshots of the Universe (una illustrazione dei principi dell’universo attraverso esperimenti interattivi), Atlas Shrugged di Ayn Rand (con moltissimi materiali ancillari visivi e audio e la possibilità di condividere passi dalle opere della Rand), il Diario di Anna Frank con brani letti da Helena Bonham Carter e timeline interattive, Arancia meccanica di Antony Burgess (un mashup tra libro e film) e infine On the Road di Jack Kerouac, una sorta di anastatica digitale della prima edizione del 1957 uscita nella mitica Penguin Orange Collection.
Nonostante i promettentissimi inizi degli appbook è successo che l’AppStore non si è dimostrato l’ambiente idoneo per diffondere i libri di nuova generazione. Le appbook sono state sopraffatte dalla forma narrativa veramente dominante di questo nuovissimo mercato, i vidoegiochi. Se uno scrittore intendesse diffondere il proprio lavoro con una app dovrebbe progettare un videogame o qualcosa nella quale la gamification ha un ruolo importante. Vendere libri come app è un po’ come vendere libri che non parlano di giochi in una giocheria. Inoltre produrre un’applicazione è un’impresa molto costosa che mette in campo molte competenze. Si tratta infatti uno sforzo produttivo che è più accostabile a un film che a un libro con la componente software quale elemento chiave del suo appeal. È veramente qualcosa di nuovo e intentato e può facilmente superare i 100mila euro di investimento solo per la componente tecnologica. Difficilmente il mercato restituirà l’investimento.
Si può quindi concludere dicendo che, nonostante la significativa esperienza delle appbook, peraltro tiepidamente accolta del mercato, siamo ancora distanti da una innovazione di prodotto. Di questo tema ci occuperemo nel prossimo post.