I lusinghieri successi raccolti durante in viaggio in Asia hanno probabilmente rasserenato un po’ il presidente del Consiglio Mario Monti che aveva lasciato l’Italia nel pieno delle polemiche più infuocate sulla riforma del mercato del lavoro. La dichiarazione dell’altro giorno nella quale Monti minacciava di lasciare il Governo se il Paese, rappresentato dalle forze politiche e sindacali, non si sentiva pronto ad affrontare profonde riforme, tradiva una delusione non solo per le opposizioni in sè, ma soprattutto per le argomentazioni con le quali queste venivano motivate ,ed ancor più per il tentativo di strumentalizzare la posizione del Governo, qualificandolo come servo dei banchieri, dei mercati, o peggio, degli interessi del grande capitale. Certo Monti si sarà sentito offeso in particolare dalla posizione di tanti commentatori, a cominciare da Eugenio Scalfari, che hanno ritirato fuori la vecchia teoria degli “opposti estremismi” mettendo sullo stesso piano la posizione della Camusso contraria a qualsiasi ritocco dell’art. 18 e quella del Governo che invece insiste su una modifica a loro parere solo per astratti motivi ideologici che nulla hanno a che vedere con la produttività e con le potenzialità di spiluppo del Paese.
Rassicurato anche dai sondaggi che continuano ad assegnare alla sua persona un gradimento superiore al 55%, pur con un calo di qualche punto, Monti ha spiegato con pazienza che l’eccessiva rigidità delle regole in uscita dal posto di lavoro, hanno finora frenato la volontà delle imprese di assumere, e questo ha allontanato sia gli investimenti italiani che quelli dall’estero. Certo non è questo l’unico elemento che ha frenato la crescita del paese, ma è uno dei più rilevanti, e comunque ciò non giustifica il gioco tipicamente italiano di fronte ad ogni misura che consiste nel dire che “ben altri” sono i problemi da risolvere e che quello di cui si parla in quel momento non è il più importante. E’ avvenuto così con le liberalizzazioni, e sta avvenendo ora con il mercato del lavoro. E comunque sia pur con toni più concilianti, Monti non ha rinunciato a ricordare che i partiti godono di assai minor fiducia di quella che gli italiani continuano ad assegnare al Governo.
Certo, da buon professore, Monti deve aver particolarmente sofferto per essere stato sbrigativamente etichettato come uomo di destra, ed ancor più per il modo distorto ed a volte truffaldino con cui è stata presentata da riforma Fornero. Uno studio della UBS, i cui ricercatori godono di una meritata fama di indipendenza e di competenza, chiarisce che il sistema attuale, che pure ha un elevato grado di flessibilità, frutto però di una media tra un eccesso di flessibilità in entrata ed una carenza di flessibilità in uscita, determina un disincentivo per le imprese ad assumere ed a investire nella qualificazione della mano d’opera. Nello stesso tempo esso comporta uno scarso impegno per coloro che sono assunti a tempo indeterminato a migliorare la propria preparazione professionale perchè comunque si sentono molto garantiti non dando quindi un apporto adeguato alla crescita della produttività. La riforma del Governo, secondo lo studio UBS, riequilibra la flessibilità in entrata con quella in uscita avvicinando il nostro sistema a quello dei Paesi più dinamici del Nord Europa e quindi ponendo le premesse per innalzare il nostro tasso di crescita. Dire banalmente che il Governo vuole aumentare la disoccupazione quando la riforma tende praprio al suo contrario, è una distorsione dovuta o ad ignoranza o all’esistenza di paraocchi ideologici,oppure da un mix tra le due.
Così come non ha senso attribuire a Monti la volontà di indebolire i sindacati favorendo l’esclusione di coloro che più contestano la direzione aziendale. Si tratta di una disinvolta argomentazione polemica e demagogica, dato che i licenziamenti discriminatori sono comunque nulli. Né si può aizzare le paure dei lavoratori sbandierando il rischio che le aziende farebbero tanti licenziamenti in più rispetto ad oggi. Gli imprenditori che fanno tanta fatica a trovare collaboratori qualificati ed affidabili, non licenziano a cuor leggero, anche perchè con il nuovo sistema della Fornero i licenziamenti comunque costano abbastanza cari.
L’obiettivo di fondo della modifica dell’art 18 dovrebbe essere quello di considerare il reintegro come l’eccezione e non com’è adesso, la regola di base applicata dai tribunali nel 99% dei casi. Sicuramente c’è un problema di come scrivere dal punto di vista giuridico un simile intendimento. E questo, dato l’aggrovigliato intrigo delle norme del nostro diritto del lavoro, non è certo facile. Ma lo scoglio non si può aggirare con una soluzione tipo quella tedesca che, considerando le diversità culturali ed istituzionali dell’Italia, sarebbe come voler cambiare la forma senza nulla cambiare nella sostanza.
La riforma del mercato del lavoro non lede alcun diritto del lavoratore, anche perchè già oggi oltre la metà dei lavoratori e tutti i giovani non godono delle protezioni dei pochi che hanno un posto a tempo indeterminato. Meno che mai intacca la Costituzione che proclama l’Italia una repubblica fondata sul lavoro, ma non sulla inamovibilità dei privilegiati che hanno un posto fisso. La verità è che l’attuale assetto fortemente squilibrato contribuisce a frenare gli investimenti e quindi ostacola la crescita riducendo la disponibilità di lavoro e l’ammontare delle retribuzioni. Insomma è una delle cause importanti della stagnazione ed anzi dell’arretramento del nostro paese negli ultimi vent’anni.
La riforma elaborata da Fornero e Monti rappresenta il minimo indispensabile per promuovere un cambiamento. Altro che opposti estremismi. In questo caso ci troviamo di fronte ad uno che ha torto e ad un altro che ha ragione!