È un’ape e non un prodotto della terra, un prodotto artigianale, o un prodotto dell’allevamento, della pastorizia, o del mare l’ultimo Presidio Slow Food, ma è antica quanto il mondo. Per averne un’idea concreta l’ape più antica è stata trovata nel Myanmar, all’interno di un’ambra la cui età supera i 100 milioni di anni. Perché quando sulla terra è comparso l’uomo, le api avevano già completato la loro evoluzione e già davano il loro prezioso contributo all’alimentazione umana come è attestato da una antichissima pittura rupestre di oltre 10.000 anni fa in cui si vede un uomo che, con il fuoco, scaccia le api da un alveare per impadronirsi dei favi colmi di miele.
L’ape in questione con cui Slow Food celebra la Giornata mondiale delle api è l’Ape nera del Ponente ligure è un’ape autoctona, un ecotipo frutto di un’ibridazione naturale stabile che va avanti da millenni: quella tra l’ape bionda, l’Apis mellifera ligustica endemica della penisola italiana, e la nera Apis mellifera mellifera, proveniente dalla vicina Francia. L’area in cui ciò avviene è limitata e coincide all’incirca con la provincia di Imperia, all’estremità occidentale della Liguria: «Un’area di confine, aspra e dura, tra il mare e la montagna e in parte disabitata» racconta Luciano Barbieri, fiduciario della Condotta Slow Food Val Nervia e Otto Luoghi. Un territorio caratterizzato da strette e lunghe valli spesso inaccessibili e selvagge dove questa popolazione di api ha trovato l’habitat ideale per svilupparsi.
L’ape nera, infatti, si è perfettamente adattata al microclima e alla flora del Ponente ligure, imparando a gestire le risorse e a volare anche in condizioni climatiche avverse. «È un ecotipo molto resistente, direi quasi rustico, ma sa anche essere molto generoso ed economicamente vantaggioso nell’allevamento proprio perché già adattato al proprio ambiente e in continua evoluzione con esso» spiega Fabrizio Zagni, apicoltore, tecnico apistico di Apiliguria, referente dei tre produttori del Presidio.
Le aziende apistiche che preservano l’ape nera del Ponente ligure sono di piccola dimensione: dall’allevamento delle api ricavano miele – in prevalenza millefiori di macchia mediterranea, erica, castagno, propoli e polline. Nella gestione degli alveari è prassi degli apicoltori lasciare alle famiglie un quantitativo di miele sufficiente per affrontare il periodo invernale
Fabrizio, oggi cinquantunenne, si è appassionato all’ape nera del Ponente ligure una ventina d’anni fa: «È stato Nuccio Lanteri, anche lui tecnico della sezione imperiese dell’associazione Apiliguria, a farmi avvicinare a questo lavoro» spiega. Da quel giorno, l’associazione promuove l’allevamento dell’ape nera locale seguendo pratiche non invasive e rispettose delle esigenze di questo ecotipo. «Personalmente, delle mie api mi considero più come un custode che un proprietario -afferma Zagni -. Allevare un insetto dal quale dipende gran parte dell’impollinazione ed il benessere comune è una grande responsabilità. Introdurre altre sottospecie in questo areale, invece, significa danneggiare la nostra ape autoctona ed il nostro lavoro».
La caratteristica più interessante dell’ape nera del Ponente ligure sta nella sua capacità di resistere alle minacce che mettono a repentaglio la sopravvivenza di tante altre api, e in particolare l’acaro chiamato Varroa destructor: «Insieme ai pesticidi e al cambiamento climatico, la Varroa è la causa principale di tutti i mali degli apicoltori – prosegue Zagni -. Agli inizi degli anni Duemila abbiamo cominciato a osservare le colonie selvatiche di api nere della zona, notando come spesso riuscissero a sopravvivere a questo acaro senza alcuna cura o intervento da parte dell’apicoltore”
Tra i fattori che aiutano le api a sopravvivere c’è proprio l’essere autoctone, cioè originarie di questa zona. Per loro, conoscere il clima e l’ambiente è un vantaggio perché possono adattarsi più facilmente. È proprio l’ambiente, infatti, ad averle selezionate nel corso dei millenni: si sono evolute e adattate, hanno superato sfide enormi e crediamo che saranno ancora in grado di continuare a farlo, se solo gliene daremo la possibilità».
Ma i pericoli non mancano. Anche questa ape, infatti, oltre ad affrontare agli effetti disastrosi del cambiamento climatico, dell’utilizzo di pesticidi in agricoltura e degli attacchi della Vespa velutina (un insetto noto anche come calabrone asiatico che nutre le proprie larve cacciando le api in volo), deve fare i conti anche con l’erosione genetica. In altre parole, l’ape nera del Ponente ligure rischia di scomparire a causa dell’introduzione reiterata, da parte dell’uomo, di altre sottospecie di api o di ibridi commerciali.
La riproduzione delle api, a differenza di quanto accade per molte altre specie animali allevate, non avviene infatti in ambiente controllato, bensì nel cosiddetto volo nuziale: «Il rischio è che l’ape regina venga fecondata da fuchi (i maschi delle api, ndr) di altre sottospecie e che così si disperda il lavoro di selezione e l’adattamento fatto dalla natura. Noi abbiamo semplicemente evitato di introdurre altre sottospecie, allevando quella che sopravviveva: chi lo ha fatto ora ne sta osservando i benefici – prosegue Zagni -. Almeno nella nostra zona e con la nostra ape, crediamo sia doveroso praticare un’apicoltura che permetta alle api di attingere dal proprio antico corredo genetico le risorse necessarie a superare le future sfide».
“Per questo motivo crediamo e investiamo in pratiche apistiche che consentano alle api di trovare nelle proprie risorse genetiche le risposte alle sempre più difficili sfide ambientali. Per noi, il Presidio Slow Food è il riconoscimento di un lungo e silenzioso percorso, che continua tuttora, fatto da apicoltori e ricercatori insieme».
Con l’occasione Slow Food invita tutti a contribuire al raggiungimento di 1 milione di firme per chiedere all’Unione europea di porre fine all’uso di pesticidi nocivi, principali responsabili della moria di api, aderendo all’Iniziativa dei Cittadini Europei Salviamo api e agricoltori.