Ci sono voluti trent’anni perché il Parlamento arrivasse finalmente a modificare l’articolo 81 della Costituzione introducendo regole di bilancio più rigorose, rendendo più stringente l’obbligo di copertura delle spese autorizzate dalle nuove leggi, ponendo vincoli e limiti all’indebitamento. La necessità di un rafforzamento delle norme costituzionali in materia di finanza pubblica era stata indicata con chiarezza già dalla Commissione Bozzi che aveva recepito le proposte in tal senso avanzate e sostenute con vigore dal Senatore Andreatta. E ancora, dopo di allora, le bicamerali Jotti e D’Alema avevano riproposto lo stesso tema mentre il nostro debito, anno dopo anno, continuava a crescere sia in termini assoluti che in rapporto al PIL.
La decisione viene ora adottata dal Parlamento perché l’Europa lo impone, perché la crisi globale ci incalza: ma ancora una volta è il vincolo esterno che induce il sistema politico italiano a segnare una netta e chiara discontinuità nella politica economica e di bilancio. Eppure è stata questa riluttanza, questa sorda e ostinata resistenza ad abbandonare politiche basate sulla espansione della spesa e ad avviare invece riforme strutturali pro competitive all’origine delle crisi politico istituzionali più gravi della storia repubblicana.
E infatti, la Prima Repubblica viene travolta nel ’92 dalla crisi finanziaria e dalla corruzione di cui la dilatazione della spesa pubblica del quindicennio precedente era stata insieme causa, effetto e moltiplicatore. E oggi, di nuovo, la Seconda Repubblica naufraga nella tempesta finanziaria che si abbatte sull’Europa e colpisce più di altri l’Italia che, dopo l’iniziale rincorsa per entrare nell’euro, non ha saputo mettere mano alle riforme indispensabili a garantire insieme rispetto dei vincoli di bilancio e competitività dell’ economia.
Previdenza, mercato del lavoro, welfare, grandi infrastrutture, pubblica amministrazione, liberalizzazioni: queste sono le riforme mancate . E ora il nostro indebitamento e la nostra bassa crescita rispecchiano impietosamente l’immobilismo politico, l’assenza di visione strategica e di leadership che hanno caratterizzato il quindicennio appena trascorso.
Tocca non a caso al Governo Monti , con l’approvazione del nuovo articolo 81, dare il primo forte segno di discontinuità , affermare una diversa responsabilità nella gestione delle finanze pubbliche, una nuova etica nel rapporto tra generazioni.
Il testo approvato ieri in prima lettura dalla Camera contiene una serie di innovazioni molto significative. In primo luogo costituzionalizza il principio del pareggio di bilancio depurato degli effetti del ciclo economico. La sterilizzazione degli effetti del ciclo non sarà però un risultato automatico ma dovrà essere esplicitamente autorizzato dalle Camere con una maggioranza qualificata che eviterà di rimettere una decisione così rilevante alla maggioranza di Governo. In altri termini la stabilità finanziaria diviene un valore costituzionale la cui mancata temporanea osservanza deve discendere da una valutazione condivisa circa la eccezionalità della situazione economica o di altri eventi straordinari.
Lo stabilizzatore di bilancio non è quindi automatico ma divolta in volta eventualmente autorizzato. Tutto il sistema pubblico viene associato alla responsabilità del rigore finanziario, della stabilità dei conti e della sostenibilità del livello del debito. Viene di conseguenza modificato il Titolo V da una parte per rafforzare la competenza statale in materia di armonizzazione dei bilanci e dall’altra per estendere il principio del pareggio a tutte le pubbliche amministrazioni, compresi cioè regioni, province e comuni. Tutti tenuti d’ora in poi a osservare la regola del pareggio. Di conseguenza viene quindi modificato il comma 6 dell’articolo 119 che, per i livelli sub statali, nel 2001 ha introdotto la cosiddetta golden rule, cioè la possibilità di finanziare mediante indebitamento gli investimenti: questa facoltà rimane ma l’eventuale ricorso all’indebitamento deve essere accompagnato da un chiaro piano di ammortamento e deve essere comunque compensato a livello di ciascuna regione per realizzare un pareggio “regionale”. Si tratta di un innovazione importante perché per la prima volta la finanza locale viene aggregata su base regionale per ottimizzare i saldi complessivi di bilancio. Sicuramente si leverà la protesta dei comuni ma si tratta di una razionalizzazione necessaria che alla fine darà un po’ di ossigeno agli investimenti locali.
Infine la novità che ha suscitato grande dibattito perchè rappresenta un cambiamento profondo della governance della finanza pubblica. Aderendo alle richieste dell’Europa sarà istituito un organismo indipendente (fortemente collegato alle istituzioni dell’Unione) per vigilare sugli andamenti di finanza pubblica. L’Unione europea non si fida e nei conti dell’Italia vuole vederci chiaro. E lo vuole fare con un organismo che risponda più alle autorità europee che non a quelle nazionali. Una ulteriore e più incisiva cessione di sovranità perché questa volta non riguarda solo vincoli e politiche fiscali e di bilancio ma attiene all’organizzazione istituzionale. E’ un processo ineluttabile e anzi auspicabile per chi ancora spera si possa arrivare ad un’Europa politica, l’unica che può salvare l’euro, l’Italia e il sogno europeo.
Si è detto che dopo l’accordo Europlus non sarebbe stato neppure necessario esplicitare nelle Costituzioni nazionali le nuove regole di bilancio; al contrario, aldilà del profilo strettamente giuridico, l’approvazione parlamentare del nuovo articolo 81 della Costituzione ha un grande valore sul piano della cultura politica perché segna un momento di cesura, di discontinuità con il passato: la crescita non si fa con la spesa e con l’esplosione del debito pubblico. La crescita si fa con riforme che rendano il nostro Paese più moderno, più simile agli altri Paesi che come noi usano l’euro e con i quali dobbiamo competere ogni giorno sul mercato europeo e globale. Questo significa il testo approvato ieri.
Se Monti sarà capace di fare accettare questa nuova realtà alla classe dirigente e a tutti gli italiani, se riuscirà a farci restare in Europa avendo fatto tutti i compiti che l’Europa ci ha chiesto, allora nulla sarà come prima. La classe politica che non ha saputo guidare il Paese in questa tormenta sarà di fatto archiviata e il Paese pretenderà di essere governata (e non certo e non solo per pochi mesi!) da una classe di governo seria, competente e coraggiosa.