Chissà se il 7 ottobre, a conclusione della Assemblea generale della Cgil, Maurizio Landini ha pronunciato la fatidica frase “il dado è tratto“. In quella giornata, infatti, la Cgil ha varcato il Rubicone che separa il Sindacato dalla politica; o meglio, la politica sindacale dalla politica tout court di cui all’articolo 49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”).
Come si legge nell’odg finale la Cgil si esprime a tutto campo non solo come un soggetto politico, un ruolo che svolge anche una grande organizzazione sindacale, ma come una forza che sostiene ed alimenta l’opposizione politico/partitica all’attuale governo.
Politica estera: le prese di posizione della Cgil
Peraltro, il 7 ottobre era una “giornata particolare” per diversi motivi che l’Assemblea ha affrontato con un documento specifico in cui si sottolinea: “la giornata mondiale di quest’anno cadeva a un anno di distanza dall’atroce attentato terroristico di Hamas e dallo scoppio della guerra a Gaza, in cui sono state uccise decine di migliaia di civili, di cui oltre la metà bambini. Intanto, la guerra in Ucraina continua a provocare terrore e distruzione, i conflitti nel mondo sono in costante aumento e la minaccia nucleare si fa sempre più reale”. Fino a qui siamo in presenza di una ricostruzione sommaria della realtà, poi si passa alle valutazioni di politica internazionale, l’Assemblea: “condanna l’astensione del Governo italiano sulla risoluzione ONU del 18 settembre 2024 e la decisione del Parlamento europeo di consentire l’uso di armi occidentali in territorio russo. Chiediamo invece che l’Italia e l’Ue riconoscano lo stato di Palestina, si impegnino nella promozione di una soluzione a due stati e di un percorso di de-escalation che salvaguardi le vite umane e metta al centro il diritto internazionale”.
Quanto alle responsabilità l’Assemblea si rifugia nel parere della Corte Internazionale di Giustizia secondo il quale Israele deve adottare “tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio” nonché i contenuti della Risoluzione Onu, ovvero: un cessate il fuoco permanente, porre fine nei prossimi 12 mesi agli insediamenti illegali nei territori occupati, la richiesta agli stati membri di astenersi dall’intraprendere rapporti economici o commerciali con Israele all’interno dei territori occupati, così come la fornitura o il trasferimento di armi e a consentire a pieno regime l’ingresso di aiuti umanitari”. Per non farsi mancare nulla viene espressa “ferma condanna per i ripetuti attacchi del governo di Israele nei confronti dell’Onu, nonché la decisione di definire persona non grata il segretario generale, a cui esprimiamo pieno supporto e solidarietà. Infine non manca la solidarietà nei confronti delle mobilitazioni di massa avvenute nei giorni scorsi, compresa quella del 5 ottobre perché “vietare di manifestare, come hanno fatto le questure su indicazione del Governo, vuol dire calpestare diritti costituzionali e dare deliberatamente spazio di azione ed enorme visibilità a frange violente”.
Politica interna: le critiche e i referendum
Ma il segnale della mutazione genetica emerge dall’analisi e dalle decisioni di politica interna. Diamo per scontato la rappresentazione totalmente critica del contesto europeo vittima delle politiche di austerità (come definire allora il Ngeu?) e della situazione del nostro paese (di cui non si fa alcun riferimento, ad esempio, alla dinamica dell’occupazione, alla vivacità delle esportazioni e alla crisi del mercato del lavoro sul versante dell’offerta, non solo di qualità, ad un primo semestre importante per quanto riguarda i risultati della contrattazione collettiva, ad in incremento del lavoro stabile e a un riduzione di quello a termine) dove dilagano la svalorizzazione delle persone che lavorano, appalti fondati sullo sfruttamento, subappalti a cascata, precarietà che continuano a produrre morte e infortuni. Da qui il richiamo ai 4 referendum popolari contro i licenziamenti, il lavoro precario e per la sicurezza negli appalti.
Ma c’è anche uno sconfinamento sui temi istituzionali perché “i referendum su autonomia differenziata e cittadinanza saranno al centro di un’unica grande campagna di mobilitazione che dovrà impegnare tutta l’Organizzazione: il gruppo dirigente confederale e di categoria, delegate e delegati, attivisti delle leghe pensionati, con l’obiettivo di raggiungere e convincere oltre 25 milioni di elettrici ed elettori a votare 6 SÌ, e di riaffermare – attraverso la partecipazione democratica – la libertà nel lavoro e nella società, la giustizia sociale e un diverso modello di democrazia e di sviluppo”.
Accuse di svolta autoritaria al governo
Viene, poi, denunciata una presunta svolta autoritaria in atto: “il carattere autoritario delle politiche di questo Governo si è confermato, ancora una volta, dopo gli attacchi al diritto di sciopero, con tutta la sua logica repressiva nel DDL Sicurezza, votato nei giorni scorsi alla Camera e ora approdato in Senato, con cui si vuole azzerare il diritto e la libertà delle persone a manifestare il proprio dissenso, introdurre nuovi reati penali nei confronti di chi occupa strade, spazi pubblici o privati, continuare a criminalizzare l’immigrazione e limitare anche l’iniziativa sindacale in difesa dei diritti e dei posti di lavoro. Da una parte si introducono provvedimenti punitivi di fatti che nascono in contesti di disagio, dall’altra si depenalizza l’abuso d’ufficio, reato-spia delle infiltrazioni mafiose. La Cgil si è immediatamente mobilitata per chiederne il ritiro insieme alla Uil, agli studenti e alle studentesse, a tutte le associazioni democratiche e continuerà a contrastarlo”.
La manovra di bilancio e le divergenze con la Cisl
L’odg passa poi in rassegna le mobilitazioni e gli scioperi già programmati nei prossimi giorni, ma ritiene che occorra avviarsi verso una mobilitazione di carattere generale perché “il Piano strutturale di bilancio deliberato dal Governo, ancora una volta senza alcun confronto con le parti sociali né coinvolgimento del Paese, nonostante si tratti di un atto che vincolerà le politiche economiche e sociali per i prossimi 7 anni all’insegna di un ritorno alle ricette dell’austerità, quantificabile in 13 miliardi di tagli ogni anno, secondo quanto definito dal nuovo Patto di stabilità approvato in Europa anche dal governo italiano”. Se confrontiamo queste valutazioni con quelle espresse dalla Cisl, in audizione alla Camera, viene spontaneo chiedersi come sia possibile che due grandi organizzazioni sindacali ambedue chiamate ad affrontare i medesimi problemi e a rappresentare gli stessi interessi esprimano giudizi e tirino conseguenze tanto divergenti.
Per la CISL sono certamente positivi gli impegni che il Piano assume rispetto al taglio del cuneo contributivo e al passaggio a tre aliquote Irpef: “il Governo conferma e rende strutturale gli effetti del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente fino a 35 mila euro e l’accorpamento delle aliquote IRPEF su tre scaglioni già in vigore quest’anno”. Soprattutto se, come si desume da quanto affermato dal Governo sarà affrontato il problema dell’effetto soglia a 35.000 euro, come richiesto ripetutamente dalla CISL. Positivo anche l’impegno assunto nel Piano per la prossima Legge di Bilancio di prevedere fondi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e per misure a favore della famiglia e della natalità. Giudizio altrettanto positivo la CISL dà all’impegno preso sulla spesa sanitaria laddove si afferma che “il Governo si impegna a salvaguardare il livello della spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta”.
Poi la confederazione di via Po tocca alcune questioni reali: “Non si può non notare tuttavia che manca nel Piano l’indicazione della provenienza delle risorse necessarie per finanziare queste misure, alcune delle quali peraltro (contratti del pubblico impiego, misure a favore della famiglia) necessitano ancora di una quantificazione. Sotto questo aspetto bisognerà quindi aspettare la Legge di Bilancio di prossima emanazione rispetto alla quale si auspica un percorso partecipato da parte dei portatori di interesse. Restano interrogativi sulla piena attuazione degli obiettivi del PNRR, fondamentali per la crescita del PIL 2026, come indicato nella lettera di validazione dell’UPB rispetto ai quali la CISL sollecita una decisa accelerazione”.
Le osservazioni della Banca d’Italia e dell’UPB
Peraltro queste sono le stesse riserve espresse dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio ovvero che gli obiettivi posti dal governo nel PSB di medio termine siano troppo ambiziosi. il rappresentante della Banca di via Nazionale audito in Commissione ha affermato con chiarezza: “In primo luogo, per finanziare parte della nuova manovra il Piano sfrutta il margine determinato dalle maggiori entrate ora attese per il 2024, con l’assunzione implicita che esse siano interamente permanenti. Inoltre, come evidenziato dal Governo stesso, sarebbe sufficiente uno scenario macroeconomico lievemente meno favorevole (ad esempio un aumento imprevisto di 100 punti base dei rendimenti sui titoli di Stato di nuova emissione) per rendere più arduo conseguire l’obiettivo del Governo di riportare nel 2026 l’indebitamento netto al di sotto del 3 % del PIL”. E tutti sappiamo che basta un refolo di vento avverso per determinare quell’effetto sullo spread.
Dello stesso tenore le osservazioni dell’UPB che ha espresso preoccupazioni sulla dinamica degli investimenti e il PNRR. “Gli investimenti – è scritto nella memoria depositata in Commissione – rappresentano la variabile più incerta nel quadro macroeconomico. Nel medio termine, alcune criticità potrebbero emergere dall’evoluzione dei progetti finanziati con il programma NGEU, specialmente considerando la concentrazione degli interventi nei prossimi due anni, che potrebbe causare colli di bottiglia nell’offerta”.
Come si vede il cammino della manovra di bilancio non è una marcia trionfale, tutt’altro: con l’attuale livello di debito e con l’esigenza di ridurre il deficit per incrementare l’avanzo primario proprio per diminuire il debito è inutile trarre valutazioni che non tengano conto della complessità della situazione come se il Paese non avesse vincoli politici e strutturali e regole a cui attenersi. Oppure hanno ragione i Patrioti di Orban e Salvini? Certe parole d’ordine vanno bene nei comizi, ma non danno alcun contributo a risolvere i problemi.
Quando ero un giovane sindacalista si sorrideva di un collega anziano che, nell’immediato dopoguerra, in un comizio nel corso di una vertenza aziendale si era rivolto ai lavoratori apostrofando così il loro padrone: ‘’Quando noi mangiavamo i macaroni (maccheroni) sconzi (sconditi) lui li mangiava ben condotti (conditi)”. Siamo ancora lì?