Nella mistica del socialismo massimalista del secolo scorso, lo sciopero generale – evento prettamente politico – costituiva una sorta di levatrice della storia in grado mettere in campo quella violenza creatrice che avrebbe rotto con il passato e aperto la via della presa del potere da parte del proletariato. Non si trattava di un processo automatico programmabile. Spettava alle élites rivoluzionarie cogliere il momento e guidarlo verso l’insurrezione e alla costruzione di un mondo nuovo.
La storia ci insegna che l’operazione (“e noi faremo come la Russia”) fallì più volte e miseramente fino a spalancare le porte al fascismo. Un’intuizione inascoltata di Filippo Turati che ebbe a dire in un suo profetico intervento: “Sì, noi lottiamo troppo contro noi stessi, noi lavoriamo troppo spesso per i nostri nemici: noi creiamo la reazione, creiamo il fascismo, creiamo il Partito popolare, intimidendo, intimorendo oltre misura, proclamando con una suprema ingenuità, anche dal punto di vista cospiratorio, la preparazione dell’azione ultima, vuotando del suo contenuto quell’azione parlamentare, che non è l’azione di pochi uomini al di sopra degli uomini, ma che dovrebbe essere la più alta efflorescenza dell’azione comune di tutto il Partito entro i quadri nazionali, e, per accordi reciproci, anche dentro il grande quadro internazionale, che dovrebbe essere appunto la più alta efflorescenza del pensiero e dell’azione, dell’intero Partito, oggi, della intera classe, domani. Noi creiamo la controrivoluzione, e, amici miei, non sempre vi sarà possibile servirvi dell’ombrello di Turati’’.
La manovra e le priorità della Cisl
La logica del leader riformista è la medesima che si ritrova un secolo dopo mentre il Parlamento si misura con l’ordinaria amministrazione della legge di bilancio, un adempimento votato a tracciare la quantità, la qualità e i confini finanziari ed economici del prossimo anno. Si potrebbe persino parlare della “banalità” della finanza pubblica, nella consapevolezza dei limiti stessi dell’azione di un governo.
“La Legge di Bilancio ha recepito gran parte delle priorità Cisl”, ha dichiarato il Segretario generale, Luigi Sbarra in un’intervista: “Oltre la metà delle risorse sono orientate sul fronte del sostegno ai redditi da lavoro dipendente con la scelta di rendere permanente e ampliare a 40mila euro il taglio del cuneo fiscale e contributivo che aumenterà le buste paga di più di 14 milioni di lavoratori. Importante la proroga dell’accorpamento delle due aliquote IRPEF, condizione necessaria per aiutare i redditi bassi, stimolare i consumi, migliorare l’economia. È positivo il ritorno alla piena indicizzazione delle pensioni, apprezzabili i sostegni a famiglia e natalità così come maggiori risorse per la sanità. Positiva la continuità della detassazione sui premi di risultato, welfare contrattuale e fringe benefit ampliati ad altre platee di lavoratori. Bene le risorse per il rinnovo del contratti pubblici nel triennio 2025/2027. Si tratta ora di difendere questi risultati durante l’iter parlamentare. Contemporaneamente il nostro impegno sarà rivolto dentro e fuori il perimetro della Manovra a ottenere miglioramenti e avanzamenti’’.
La manovra e lo sciopero generale di Cgil e Uil
Così ragiona un sindacato normale in un paese normale. Ma l’Italia è un paese normale? Nel bel mezzo di un confronto destinato a concludersi in tempo per le festività di Natale e Capodanno, Maurizio Landini, insieme agli ascari della Uil, decide di gettare sulla bilancia la spada di Brenno della “rivolta sociale”. E’ la quarta volta che Cgil e Uil proclamano uno sciopero generale durante la sessione di bilancio sulla base di piattaforme generiche, intessute di slogan, impostate in modo pregiudiziale ancor prima di conoscere le intenzioni, i progetti e gli stanziamenti predisposti per la loro realizzazione. Ciò non significa che le cose siano pacifiche e estranee alle critiche che, durante le audizioni sono state formulate, con particolare riguardo alla possibilità di conseguire quei parametri di crescita economica che si allontanano nella prospettiva a breve termine e che non consentono – come sostenne il Governatore Fabio Panetta – di agire contemporaneamente sulla cautela nella gestione della finanza pubblica per rafforzare un saldo positivo della spesa primaria e promuovere uno sviluppo possibile che agendo sul denominatore possa determinare una riduzione dell’incidenza del debito sul Pil, nel quadro di una più intensa e coordinata collaborazione europea.
Giacinto Serrati Menotti un secolo fa aveva una via d’uscita: la rivoluzione russa e la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio; in altre parole la speranza di una palingenesi da cui sarebbe potuto partire un nuovo inizio. Ma che cosa ha in testa Landini? Ci faccia cortesemente capire come intende liberarsi dai vincoli dei patti comunitari sottoscritti su cui non si limitano a fare la guardia le burocrazie europee e internazionali, ma quei mercati che possono decidere in poche ore il destino di un paese, facendogli crollare addosso una montagna di debito. Così la Cgil getta tutto in politica.
La Cgil e gli obiettivi di Landini
Come ha scritto Dario Di Vico sul Foglio – “non si può non annotare come quest’incitamento alla rivolta sociale (ndr.) si ponga al di fuori della tradizione classica della Cgil, attenta nelle formule della protesta a restare sempre dentro il perimetro della democrazia strutturata.
“Rivolta sociale” inequivocabilmente, invece, sa di protesta slabbrata, di insurrezione, e quindi finisce per evocare le parole d’ordine dell’Autonomia dello scorso secolo o quelle dei Cobas di oggi. Landini è convinto di essere il leader naturale di un’ampia coalizione di associazioni che va dai centri sociali ai movimenti cattolici del terzo settore ed è in qualche modo a essi che ha scelto di parlare’’.
Ma abbia almeno la compiacenza di farci capire quali sono i suoi obiettivi e come intende conseguirli; qualunque essi siano. Vuole condurre una lotta ad oltranza contro un governo di destra, fino a provocarne la caduta? I cambiamenti per i quali Landini sollecita la rivolta sociale, però, evocano un gigantesco rito tribale della danza della pioggia. In Cgil sanno – scrive ancora Di Vico – che lo sciopero generale contro il governo indetto per fine mese, quasi come fosse un rito a cadenza annuale, non avrà ampio seguito nei luoghi di lavoro. In occasione dell’ultima astensione dal lavoro nella scuola, infatti, la partecipazione è stata inferiore al 5%. Ma proprio perché l’abuso dello sciopero ha logorato il diritto – sembra sostenere Di Vico – c’è bisogno di de-sindacalizzarlo e di politicizzarlo vieppiù , chiamando in piazza la galassia dell’antagonismo e del pacifismo ovvero il mondo della contestazione pregiudiziale nei confronti della natura politica dell’attuale governo. Ma l’insieme di queste mosse tattiche – prosegue Di Vico – finirà per riscrivere la mappa di quello che è stato il prestigioso sindacalismo italiano e attesta la maggiore confederazione sempre più lontana dalla Cisl e sempre più vicina ai Cobas (lo si è visto in occasione della mancata sottoscrizione del rinnovo contrattuale degli statali). Con tanti saluti a quelle battaglie sociali (in primis il potere d’acquisto dei salari) che avrebbero bisogno di unità e massa critica.