Poco meno di 29 mila incendi nel solo mese di agosto, quasi il doppio rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Un’area da oltre 2,5 milioni di ettari andata in fumo, pari alla superficie della Sicilia, che è la più estesa regione italiana e la più grande isola del Mediterraneo. Dall’inizio del 2024, gli ettari di verde distrutti dalle fiamme sono stati ben 4,1 milioni, pari alla superficie di un Paese come la Svizzera.
L’Amazzonia sta bruciando, siccità in Brasile
L’Amazzonia sta letteralmente bruciando. Gli allarmanti numeri, divulgati dal Wwf e dall’Università federale di Rio de Janeiro, lasciano intendere che questo potrebbe essere uno degli anni peggiori per la più grande foresta pluviale del pianeta, una formidabile riserva di biodiversità oltre che il maggiore “catturatore” di CO2, e questo nonostante il ritorno al governo di Lula avesse lasciato intendere un cambio di rotta rispetto alla presidenza Bolsonaro, che aveva registrato ritmi di disboscamento da record rinunciando completamente alle politiche di protezione.
E ad essere avvolta dalle fiamme non è solo l’Amazzonia: il Brasile, che ospita circa il 60% del polmone del mondo, sta attraversando la peggiore siccità della sua storia, con il 58% del suo territorio coinvolto, cioè complessivamente 5 milioni di chilometri quadrati e 4.500 Comuni dove non piove da mesi e continuerà così anche a settembre e ottobre, che sono mesi tradizionalmente secchi e quest’anno ci si sono messi pure il caldo (con temperature in alcune aree di oltre 5 gradi sopra la media) e gli incendi dolosi. I quali stanno colpendo, ad esempio, anche il Pantanal, dove sono aumentati del 3.707% rispetto al 2023, e soprattutto il Cerrado, la savana del Sudamerica, il bioma con la maggiore biodiversità del mondo con le sue oltre 6 mila specie di alberi e 800 specie di uccelli, e dove gli incendi sono più che raddoppiati rispetto all’anno scorso (+127%).
Cerrado che tra l’altro già da tempo preoccupa gli ambientalisti, perché sotto il governo Lula, mentre i riflettori erano puntati sull’Amazzonia dove si terrà la COP nel 2025 a Belem, si sta riducendo a vista d’occhio: solo nel primo quadrimestre 2023, la sua superficie era diminuita di oltre 2.000 chilometri quadrati. Senza contare inoltre che i soli fuochi in Amazzonia stanno provocando fumi tossici in ben 11 Stati del Brasile, con tutto quello che ne consegue come impatto sull’ecosistema e anche sulla salute umana e sull’economia: secondo l’Istituto nazionale di meteorologia, in almeno 200 città in questi giorni l’aria è secca come nel deserto del Sahara.
In Brasile aria irrespirabile
L’indice della qualità dell’aria in Brasile in queste settimane è da far impallidire la pianura padana o le megalopoli più inquinate del pianeta: nel cuore dell’Amazzonia ci sono località in cui la concentrazione di Pm 2,5, cioè polveri sottilissime e particolarmente nocive per la salute, è arrivata a superare i 300 microgrammi per metro cubo, mentre l’Organizzazione mondiale della Sanità considera accettabile per l’organismo umano una soglia di 12 microgrammi per metro cubo. Praticamente si può sostenere che in questo periodo la foresta amazzonica sia, per quanto possa sembrare un paradosso, il luogo più inquinato del pianeta.
Tra gli Stati più intossicati c’è pure quello di San Paolo, con una popolazione di oltre 40 milioni di persone, pari più o meno a quella della Spagna. San Paolo e il suo entroterra ricco di risorse naturali sono anche la locomotiva economica del Brasile, oltre che l’area metropolitana più popolosa e più produttiva del Sudamerica. Le migliaia di incendi delle ultime settimane, tutte di origine dolosa, stanno impattando sull’agricoltura e non solo perché devastano le coltivazioni ma perché impoveriscono i terreni e fanno aumentare i costi di produzione e dunque di mercato. Non a caso, a inizio settembre il prezzo dello zucchero, la principale commodity agricola estratta nello Stato di San Paolo, è salito sui Futures della Borsa di New York del 15% rispetto al valore più basso toccato il 21 agosto, riportandosi vicino al picco di inizio luglio.
Zucchero e caffè in crisi
Lo zucchero stava attraversando una fase ribassista da inizio anno, quando aveva superato i 24 centesimi per libbra, mentre oggi siamo intorno ai 20 e un anno fa di questi tempi si registravano i massimi dal 2011 a quota 27 cent. Ecco perché, approfittando della siccità e del forte vento, le lobby dell’agrobusiness sono accusate non senza motivo di essere la regia occulta degli incendi per abbattere l’offerta e di conseguenza far risalire i prezzi.
In pochi giorni sono così andate distrutte decine di migliaia di ettari di coltivazioni di canna da zucchero, provocando ai produttori locali un danno stimato molto provvisoriamente in 350 milioni di reais, cioè una settantina di milioni di euro, solo nello Stato paulistano. E la canna da zucchero, di cui il Brasile è il primo esportatore mondiale, è solo un esempio: ondate di caldo, siccità e incendi stanno colpendo anche il mercato del caffè, di cui pure il Paese lusofono è di gran lunga il primo produttore del pianeta, soprattutto della qualità robusta, che a causa di una raccolta mediocre ha recentemente superato il prezzo dell’arabica, tradizionalmente considerata di valore superiore. E le prospettive, sia in Brasile che in Vietnam, secondo produttore mondiale, sono pessime. Il Sudamerica brucia e ne paghiamo tutti le conseguenze: dal clima alla salute, fino alla tazzina di caffè.