Lo scontro tra Berlino e Bruxelles ha toccato l’apice l’altro giorno, dopo che la Commissione Europea ha presentato il proprio progetto per l’introduzione dei cd. eurobond. Con esso anche le decisioni prese il 26 ottobre scorso nella capitale europea dal direttorio franco-tedesco sono sembrate superate. Il governo federale nega da mesi che una federalizzazione del debito possa essere la strada giusta, non solo perché vi sarebbe un livellamento dei tassi di interesse verso l’alto rispetto alla Germania, ma anche perché si rischierebbe di annullare del tutto gli sforzi riformatori nei paesi periferici. Per le stesse ragioni non sarebbe oggetto di trattativa l´ingresso a gamba tesa della BCE nel mercato dei titoli sovrani, tale da garantire un acquisto potenzialmente illimitato dei bond che gli investitori non vogliono più comprare.
In realtà la posizione tedesca è più sfaccettata al suo interno di quanto venga documentato all’estero. Le ambiguità della signora Merkel si devono sia al suo tipico stile governativo sia alla spaccatura interna alla maggioranza giallo-nera. L’insofferenza verso la politica dei salvataggi aumenta sia nelle file democristiane sia in quelle liberali. D’altra parte, presso altri deputati, aumenta la consapevolezza che soltanto una correzione dell’architettura istituzionale dell’Eurozona così come concepita negli anni Novanta può effettivamente salvare la moneta unica ed evitare il crollo anche del mercato unico. Una correzione con la quale si modifichi cioè il compito atipico attribuito alla BCE e si crei, anche solo parzialmente, un debito pubblico europeo. Allo stesso tempo, però, come chiedono i paesi a tripla A, occorre garantire un maggior coordinamento delle politiche economiche, eventualmente riducendo la sovranità dei paesi più indisciplinati. Finora la partita europeista della Merkel si è giocata soltanto su quest´ultimo fronte, alimentando i risentimenti dei paesi mediterranei travolti dalla recessione.
Negli ambienti parlamentari più scettici verso questa strategia si incomincia a parlare ironicamente di operazione “OccupyEurope” da parte di Berlino, responsabile dei repentini cambi di governo in Italia e in Grecia. Ecco perché alcuni democristiani più pragmatici e molto vicini alla Cancelliera, tra cui Peter Altmaier e Norbert Barthle, non chiudono del tutto la porta a soluzioni di emergenza. A sottolineare le contraddizioni del governo tedesco è stato di recente anche il presidente socialdemocratico Sigmar Gabriel, il quale ha provocatoriamente messo in luce come la Transferunion tanto avversata da liberali e democristiani in realtà vi sia già: l’EFSF da un lato e gli acquisti sul mercato secondario della BCE dall’altro sono il primo passo fatto in questa direzione.
Anche le due organizzazioni confederali delle imprese, BDI e BDA, preoccupate da un tracollo dell’export nell’Eurozona, sembrano intenzionate a voler difendere l’euro a tutti i costi, appoggiando la lenta e progressiva maturazione della signora Merkel, la quale poco alla volta ha sinora sempre ceduto alle richieste di chi chiedeva “più Europa”. Negli uffici del Bundestag si vocifera infatti che eurobond o monetizzazione del debito siano ormai una questione di settimane. Sempre più economisti tedeschi, non da ultimo il capoeconomista di Deutsche Bank Thomas Mayer, ritengono che la BCE sia l’unica istituzione in grado di arginare il clima di sfiducia sui mercati.
Per ora Mario Draghi si è mostrato prudente e sensibile alle esigenze teutoniche, ma non è escluso che, con il via libera della Cancelliera, possa cambiare idea. In tal caso, l’FDP, il partito liberale, sarebbe pronto a far cadere il governo. Anche se, considerato il basso livello di consenso di cui attualmente gode, è probabile che sia ancora una volta costretto al compromesso, pur di evitare le urne. Resta ovviamente l’interrogativo su cosa deciderà la Corte Costituzionale di Karlsruhe, la cui ultima sentenza dei primi giorni di settembre sembrerebbe aver escluso il ricorso alle euroobbligazioni.