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L’agrisolare secondo il Governo: niente pannelli a terra. A rischio gli obiettivi del Piano elettrico

Il bando per l’agrisolare stanzia 1 miliardo di euro per progetti di pannelli non a terra. La posizione delle aziende del fotovoltaico contrarie alla limitazione dei nuovi parchi fotovoltaici

L’agrisolare secondo il Governo: niente pannelli a terra. A rischio gli obiettivi del Piano elettrico

L’agrivoltaico sollevato da terra è quello che il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha ottenuto sotto la spinta delle organizzazioni agricole. Non c’è che dire, c’è stato un lavoro di squadra che lascia perplessi le industrie del settore pronte viceversa a fare la propria parte. Gli imprenditori del fotovoltaico si battono per creare nuovi parchi nei terreni abbandonati ma il ministro non è dalla loro parte. In ogni caso, per non perdere i soldi del Pnrr, il 2 settembre vedremo quante imprese agricole avranno aderito al bando presente sul portale del Gse.

I parchi solari non dovranno contagiare le colture e su questo allo stato delle cose, non c’è partita. Il recente Piano Energia e Clima inviato a Bruxelles è il grande contenitore delle politiche ambientali italiane e questi aspetti andrebbero tenuti in considerazione. Per avere i contributi agrivoltaici bisogna essere agricoltori di fatto, con almeno il 50% di reddito derivante da attività agricola, gestire direttamente l’azienda, ma ci si può anche associare. I pannelli sui tetti sono strutture molto costose, ribattono le imprese. “Il costo dell’agrivoltaico è doppio rispetto agli impianti a terra e non porta benefici agli agricoltori perché la maggior parte dei terreni con l’agrivoltaico rimane comunque incolta” sostiene Elettricità Futura, associazione di Confindustria. Nulla da fare, Lollobrigida sta condizionando un pezzo del mondo industriale verde.

Cosa dice il bando

I fondi del Pnrr sono contributi a fondo perduto fino all’80% del progetto. I progetti finanziabili devono contenere specifiche tecniche per gli impianti, batterie di accumulo di energia prodotta, postazione di ricarica elettrica. Gli impianti vanno posizionati sui tetti dei fabbricati destinati alle attività agricole o agroindustriale e possono raggiungere la potenza massima teorica di 1000 kW.

Il ministero dell’Ambiente aveva sollevato qualche perplessità, diciamo più sostenibile, con interpretazioni sulla norma anche da parte del Quirinale. Ma la diaspora interna al governo è stata una burla i soldi andranno a chi non metterà i pannelli a terra. Il dispositivo riguarda agriturismi e cooperative che alla fine possono dare una mano alla produzione di nuova energia. Gli impianti devono essere tutti di nuova costruzione e garantire la continuità dell’attività agricola, oltre ad avere come prerequisito la connessione alla rete elettrica.

Cosa succede all’ambiente?

I progetti devono “non arrecare un danno significativo” all’ambiente come previsto dalle normative europee, è scritto. Se ottengono i finanziamenti devono entrare in funzione entro 18 mesi dal completamento della procedura e non dovranno superare il 30 giugno 2026. Un anno e mezzo circa per tirare le somme e mettere gli agricoltori tra gli amici della transizione ecologica.

Ma è coerente tutto questo con l’incremento delle rinnovabili in Italia? Il Pniec che aspettavamo è all’esame dalla Commissione Ue. Però secondo il Gse 9,2 Gw sono già prodotti oggi da impianti fotovoltaici a terra nelle campagne. Occupano lo 0,05% del territorio nazionale e appena lo 0,13% della superficie agricola utilizzabile. Sono numeri che dimostrano che non esiste nessuna invasione del fotovoltaico nei terreni agricoli. Lollobrigida ignora questi dati. In realtà dicono che se il governo vuole rispettare il Piano elettrico al 2030 bisogna installare ancora 57 GW di fotovoltaico. Impegnare, cioè, uno 0,4% della Superficie agricola totale, quella che gli esperti indicano con l’acronimo Sat. Una sottigliezza territoriale. Ma il ministero ha fatto una scelta precisa. Di campo, è il caso di dire.

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