Il 5 maggio 2020 gli italiani hanno avuto 4 ore 42 minuti e 34 secondi per conoscere qualcosa in più dell’Africa che non fossero i barconi di disperati che allarmano, inquietano o al massimo commuovono. Si trattava di seguire la maratona video che il Ministero degli Esteri ha organizzato per celebrare la Giornata dell’Africa, istituita il 25 maggio del 1963, giorno in cui nacque l’Organizzazione dell’Unità Africana, dal 2002 semplicemente Unione Africana. Un bello sforzo, realizzato in 50 video, durante i quali alle dichiarazioni politiche di capi di Stato, ministri degli Esteri, rappresentanti delle organizzazioni internazionali e nazionali, ha fatto seguito seguito il denso colore della cultura africana. Musica, letteratura, arte, moda. Voluta fortemente così dalla viceministra Emanuela Del Re, il cui intervento è stato fuori dalla prassi politica consueta. Per salutare gli amici africani, Del Re ha voluto cantare, incuriosendo e sorprendendo fra l’altro per la bella intonazione, “Malaika”, una canzone d’amore molto nota resa celebre da Miriam Makeba, la compianta “mama Africa”.
Ma quanti italiani hanno provato a saperne di più sull’Africa connettendosi con il sito del Ministero degli Esteri direttamente o attraverso Youtube? Oltre diecimila contatti, dicono i numeri. Cifra ragguardevole. Peccato che la grande stampa e i grandi notiziari abbiano fatto davvero poco per valorizzare la Giornata e quindi sgretolare in qualche parte quel muro di ignoranza che continua a separarci dall’Africa.
Eppure l’Africa è un continente che cresce al ritmo del 3,8% l’anno, è una terra giovane (l’età media degli africani, secondo dati ufficiali, è di 19 anni, contro i 45 dell’Italia). Nel 2050 conterà 2,4 miliardi di persone: vuol dire che un abitante su quattro della Terra sarà africano, avrà la pelle nera per essere precisi, e per qualcuno sarà sempre un problema. Merito dell’eccezionale fertilità delle donne del continente, che mettono al mondo in media 4,6 bambini (2,1 è il tasso che assicura il ricambio generazionale). E nonostante questo l’Africa resta un continente largamente sottopopolato (33 abitanti per kmq) e con potenzialità di sviluppo enormi (vanta il 60% delle terre coltivabili e il 65% delle risorse naturali non ancora sfruttate del pianeta).
L’Italia è un partner apprezzato. Siamo impegnati in 11 Paesi con progetti nell’agricoltura, nelle concerie e nella formazione. Senza contare i colossi, come Eni, lì da sempre. Il terrorismo resta una piaga devastante è vero, e arruola giovani attirati dai guadagni facili oltre che da presunta vita avventurosa.
Per discutere del continente parliamo con chi se ne occupa da più di 30 anni, il direttore degli Africa subsahariana al ministero degli Esteri, Giuseppe Mistretta. Prima di ricoprire l’incarico alla Farnesina, Mistretta è stato ambasciatore in Angola e in Etiopia, ha lavorato alle ambasciate di Libia (mentre viveva e regnava ancora Gheddafi), in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. La scrittura è uno dei passatempi preferiti dall’ambasciatore e la coltiva lungo due filoni: uno legato alle sue esperienze professionali in Africa; l’altro alla composizione di racconti leggeri, favole in verità, in cui gli piace affrontare le contraddizioni della vita quotidiana. Proprio in questi giorni arrivano in libreria, quasi contemporaneamente a causa dei problemi legati al Covid, due suoi libri: “La Bottega degli Alibi-Racconti non burocratici” (edizioni Luoghinteriori), fra l’altro illustrati da un altro diplomatico, Nicolò Tassoni Estense; e il saggio “Le vie dell’Africa: il futuro del Continente fra Europa, Italia, Cina e Nuovi Attori” (edizioni Infinito), la cui prefazione è di Romano Prodi.
Direttore, siete soddisfatti alla Farnesina della video maratona?
“Francamente sì, e speriamo soprattutto che lo siano i fruitori delle immagini, fra cui molti giovani ed anche membri delle diaspore in Italia. E’stata un’iniziativa innovativa, per festeggiare la Giornata dell’Africa malgrado la situazione medico sanitaria. Dopo un giorno di trasmissione, i quattro video hanno ricevuto migliaia di visualizzazioni, e numerose attestazioni di gradimento da parte del pubblico; fra l’altro, rimarrà accessibile per alcuni giorni, e potrà quindi essere ancora visto. Alla fine, le limitazioni imposte dal Covid ci hanno consentito di raggiungere un pubblico maggiore di una normale, consueta cerimonia, tenuto anche conto che il filmato viene trasmesso sui siti delle nostre sedi diplomatiche in Africa”.
Tutti si aspettavano un’ecatombe in Africa alla comparsa del Corona virus. Fortunatamente i numeri del contagio e delle morti sono stati bassi. Secondo i dati ufficiali dell’Unione Africana i morti sono stati 3.348, i contagiati 111.348, niente in confronto dell’Italia per esempio, con i suoi oltre 32mila morti e 230mila contagiati: come spiega questa resilienza africana?
“In effetti, finora in Africa il virus ha colpito con meno violenza che in altre parti del mondo. Fra le tante spiegazioni che si sono lette, riterrei che la giovane età media della popolazione africana possa essere stata il fattore determinante. Le particolari condizioni di affollamento in cui vive la più gran parte della gente nel continente sono invece l’elemento più rischioso. Malgrado queste note almeno in parte positive, appaiono invece preoccupanti le ricadute economiche della pandemia. Già molti leader continentali, insieme all’Unione Africana, reclamano dalla comunità internazionale una forte dilazione degli interessi sui debiti, una cancellazione del debito stesso, ed una iniezione di nuovi finanziamenti pari a circa 100 miliardi di euro, per far fronte agli effetti del coronavirus sulle locali economie. Tale richiesta è al vaglio dei paesi G20, di cui l’Italia avrà la Presidenza nel 2021”.
Spesso ci riferiamo all’Africa come se fosse un solo enorme Paese. Invece il continente non è un monolite. Quali sono le differenze principali fra le varie regioni?
“Il continente comprende 54 Stati, ed è ovvio che ci siano delle differenze politiche, economiche, sociali e culturali al suo interno. Esiste però anche una certa omogeneità fra le regioni, per esempio in quelle del Mediterranee e del Maghreb; in Africa Occidentale; nella zona, in questo momento particolarmente critica, del Sahel; nel Corno d’Africa; in Africa centrale; ed in Africa Australe. E tali peculiarità sono alla base dell’esistenza di altrettante organizzazioni regionali, come ad esempio l’Ecowas in Africa occidentale, l’Eas in Africa Orientale, la Sadcc nell’area Australe, l’Igad nel Corno d’Africa, etc. Le generalizzazioni, in un contesto così ampio e vario, sono sempre sbagliate, così come il ricorso a slogan di facile utilizzo, che non aiutano a comprendere nel profondo le sfide, le difficoltà, ma anche le ambizioni del continente. Al tempo stesso, è anche vero che c’è un filo conduttore che ricollega insieme atmosfere, costumi, tradizioni, e popolazioni africane”.
Mentre scoppiava il Covid 19 nell’Africa “francese”, come vengono spesso definiti ancora 15 Paesi dell’Africa occidentale e centrale, essi abbandonavano la moneta nata dalla decolonizzazione, il franco Cfa, per intenderci, per traghettarla verso l’Eco, una nuova valuta e del tutto africana. Ora cambierà a suo parere anche il peso della Francia in Africa?
“Senza dubbio negli ultimi anni si è andata affermando una crescente mal sopportazione dei Paesi del Franco Cfa nei confronti di tale moneta, e dei limiti che essa pone allo sviluppo delle locali economie, come ad esempio il versamento del 50% delle riserve valutarie presso il Tesoro di Parigi. Il lancio dell’Eco da parte di 15 Stati africani è un elemento di rilevante novità nel panorama economico continentale, così come lo è l’approvazione, nel 2019, del Continental Free Trade Agreement (Cfta), per la progressiva abolizione delle tariffe doganali ed il libero commercio in Africa. In entrambi i casi però il clamore mediatico tende ad oscurare le numerose difficoltà di adattamento e armonizzazione economica e finanziaria ancora da superare, prima che entrambe le importanti riforme entrino effettivamente in vigore, e nel caso dell’Eco, ad esempio, si attui il necessario processo di convergenza delle economie dell’area. Quanto al peso francese, con o senza Franco Cfa, la Francia rimarrà comunque un Paese di primo riferimento soprattutto in Africa Occidentale, per motivi prevalentemente culturali”.
Quest’anno viene celebrata anche la fine della colonizzazione per gran parte degli Stati africani: cosa è cambiato dal 1960 e cosa non ha funzionato?
“Il raggiungimento dell’indipendenza da parte di numerosi Stati africani nel 1960 (e dintorni) fu salutato con grande entusiasmo dai leader continentali dell’epoca, ed è logico che sia stato così: gli africani accedevano finalmente al potere, per non cederlo più, da quel momento in poi. Ma se è vero che il 1960 fu un anno fondamentale, è anche vero che molti Paesi africani raggiunsero l’indipendenza molti anni dopo, e spesso dopo tragici conflitti. Per esempio le ex colonie portoghesi come l’Angola, alla metà degli anni ’70, lo Zimbabwe nel 1980, la Namibia nel 1990, l’Eritrea nel 1993, il Sud Africa con la fine dell’apartheid nel 1994, e il Sud Sudan addirittura nel 2011. Queste date ci ricordano che gli Stati africani, come li conosciamo noi oggi, sono un fenomeno molto recente e giovane, e che tale gioventù spiega gran parte delle fibrillazioni che periodicamente il continente ha conosciuto e continua a conoscere. Sebbene sia difficile selezionare ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato, in estrema sintesi io direi che non giovarono certamente al decollo africano 7 cause. La prima è stata la mancata opera di formazione ad opera dei Paesi ex coloniali sulle future classi dirigenti autoctone, alla vigilia dei processi di indipendenza. La seconda è la conseguenza della prima e cioè una generale impreparazione politica e amministrativa dei nuovi dirigenti. Al terzo posto metterei una forte carica ideologica di ispirazione sovietica di numerosi leader continentali, che si avventurarono in progetti economici dimostratisi alla resa dei conti fallimentari. Al quarto non può che esserci il contesto della guerra fredda. Al quinto, la corruzione, veleno diffuso in gran parte delle classi dirigenti del continente. Al sesto la serie di guerre civili, di colpi di Stato, e di conflitti fra Paesi che non si è mai fermata. Ed infine, ma non in ordine di importanza, la permanenza di pratiche di sfruttamento economico a proprio vantaggio da parte degli ex Paesi coloniali, per i primi anni dopo la raggiunta indipendenza, ma non solo. Oggi, come per tutti i Paesi giovani, permangono problemi di “governance” in molti Stati africani, ma altri hanno raggiunto una notevole stabilità e ragguardevoli tassi annuali di sviluppo. Fra questi ultimi figurano il Rwanda, il Ghana, l’Etiopia, il Kenya, il Senegal, l’Angola, il Mozambico, la Costa d’Avorio, la Nigeria, per citare solo i casi più rilevanti. Insomma l’Africa cresce, matura economicamente e politicamente ed ambisce ad un ruolo di protagonista nell’agone internazionale. Si tratta di una richiesta più che legittima, di fronte alla quale, ad esempio, l’Unione Europea ha lanciato nel 2017, in occasione del Vertice Ue-Ua di Abidjan, in Nigeria, un avanzato e moderno progetto di partenariato paritario, che rimane una pietra angolare per il futuro delle relazioni fra i due continenti”.
Spesso si invoca un piano Marshall anche per l’Africa. È questa la strada per spingere finalmente il grande continente fuori dalle crisi?
“Qualunque cosiddetto piano Marshall per l’Africa non può prescindere da un ruolo centrale del settore della formazione professionale, della preparazione a specifiche capacità operative (il capacity building, come si dice in gergo), dell’educazione universitaria e postuniversitaria. Un continente che cresce deve poter contare su manager e quadri preparati, su una sanità migliore di quella attuale, su esperti di finanza, di economia, di telecomunicazioni, e via seguitando. Non si tratta solo di investire nelle infrastrutture o nei servizi, ma soprattutto di compiere investimenti strategici nei giovani e nelle donne del continente, che aspirano giustamente ad un futuro di stabilità e prosperità. È per questo che è nata l’Agenda 2063, cioè l’insieme dei progetti che l’Unione Africana e la Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite hanno messo in cantiere. C’è posto anche per l’Europa in questa Agenda: se si vogliono eliminare i problemi che talvolta si materializzano in barconi di disperati, si dovrebbe assecondare e sostenere questo processo con una visione strategica di lungo periodo”.
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UN CONTINENTE DI SOTTOSVILUPPATI, DOVE NON C'E UN MISERO MOVIMENTO DI RIVOLUZIONE, UNICA STRADA CHE PORTA QUALSIASI POPOLO ALLA DIGNITA ESISTENZIALE, CON GIOVANI VIGLIACCHI CHE SCAPPANO AL POSTO DI OPPORSI AI LORO GOVERNI FANTOCC E PAGLIACCI, DI COMBATTERE CONTRO LE CORRUTTISSIME MULTINAZIONALI, MI DITE CHI VI PASSA I DATI DEL COVID DEI SACCHI DI PATATE CHE ABITANO QUEL CONTINENTE ??????
MA FATEMI RIDERE, LE LORO VACCHE DA RIPRODUZIOE SONO SEMPRE CON LA PANCIA ALTA, MUOIONO DI FAME DI STENTI DI MALATTIE DI INFEZIONI, DITE CHE PER IL 2050 SARANNO 2,5 MILIARDI E VI PREOCCUPATE DEL COVID . NON SANNO NEPPURE LORO QUANTI SONO. MA DAIIIII.