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La voluntary disclosure apre la strada all’accordo tra Italia e Svizzera: fisco e Borsa festeggiano

Ben venga il “ravvedimento operoso” dei contribuenti italiani. L’apprezzamento arriva da dove non te lo aspetti: le banche svizzere, Canton Ticino compreso, il forziere per eccellenza dei capitali occultati al Fisco italiano.  La ragione di tanta euforia per la “voluntary disclosure” è presto detta: la nuova legge, per funzionare, ha bisogno che scatti l’effettivo scambio di informazioni tra l’amministrazione finanziaria dello Stato italiano e quella del Paese oggi nella black list con cui si dovrà stipulare, entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge, un accordo che rispetti anche gli standard previsti dall’articolo 26 del modello Ocse. L’approvazione della legge italiana, dunque, segna indirettamente l’accelerazione dei negoziati in corso tra i due Paesi sulla regolarizzazione dei capitali portati oltre confine consentendo, come spiega un banchiere ticinese, di “tassare i capitali facendoli rimanere in Svizzera” purché ci sia, beninteso, un effettivo scambio di informazioni con l’Italia entro 60 giorni dalla entrata in vigore della norma. “A questo punto l’accordo è di fatto già scritto: ci sarà lo scambio di informazioni su richiesta fino a che non entrerà in vigore quello automatico [presumibilmente dal 2018] e di conseguenza la cancellazione della Svizzera dalla lista nera”, ha aggiunto la fonte.

Il nodo dei frontalieri

Forse le cose non sono così semplici, perché all’appello manca ancora un tassello delicato nei rapporti tra la Confederazione e Roma: il trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri. Ma anche qui, tema delicato anche per le tensioni politiche interne alla Svizzera, un accordo sembra possibile. Insomma, come ha sottolineato Vieri Ceriani, alla guida da due anni e mezzo della trattativa per conto dell’Italia, in una recente intervista al Corriere del Ticino, la voluntary disclosure “tiene conto anche di quello che è stato detto al tavolo negoziale con la Svizzera. Sono previste sanzioni ridotte per i Paesi che oggi sono nelle black list ma che firmeranno un accordo che allinea lo scambio di informazioni a richiesta all’ultimo schema OCSE. Abbiamo già recepito e anticipato qualcosa dei futuri accordi fiscali”.Le banche svizzere, insomma, cambiano pelle: da forzieri anonimi, al riparo dal fisco dei Paesi d’origine, a competitori “normali”. Perché questo cambio di rotta? ? «Per il semplice fatto che nemmeno le autorità degli altri paesi sono più quelle di una volta», risponde Paolo Bernasconi, tra i più noti legali della Svizzera, ex procuratore pubblico di Lugano e Chiasso. La Confederazione elvetica subisce la pressione degli Stati europei come l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania, più o meno afflitti da crescita del debito pubblico.

Più trasparenza conviene

Ovvero, come ha detto a Milano il ministro delle Finanze del Lussemburgo, Pierre Gramegna, “la mancanza di trasparenza è ormai più un costo che un vantaggio”.  In questi anni, dagli scudi di Giulio Tremonti in poi, il Canton Ticino ha pagato a caro prezzo la maggior aggressività del fisco italiano. Dal 2007 al 2013 i dipendenti bancari sono diminuiti di circa 1.300 unità (lo scorso anno erano in tutto 6.465), su un calo complessivo di 9mila unità per la Svizzera. Nello stesso periodo, le banche che hanno sede in Ticino sono passate da 27 a 18 e il loro gettito fiscale è crollato dai 107 milioni di franchi del 2005, ai 19 del 2013, ai 12 stimati per il 2014. Tanto vale cambiar registro e giocare alla luce del sole: una volta ripulite dalla presenza nella black list, sono certi a Lugano, gli gnomi di Zurigo e i gestori di Ginevra saranno in grado di fare ottimi affari, giocando a carte scoperte nella Ue.

Le cifre in ballo
 
Ma quali saranno, ora, gli effetti immediati della “rivoluzione” per la finanza di casa nostra? Le stime, come al solito, sono assai ballerine. C ‘è incertezza sull’ammontare dei capitali parcheggiati a nord di Chiasso. Da parte svizzera autorevoli banchieri sostengono che, ormai, il totale non arriva a 100 miliardi. La stima italiana più accreditata parla di circa 140-150 miliardi, il 70 per cento circa della cifra parcheggiata nei paradisi fiscali. Occorre poi tener conto del diverso trattamento fiscale: a differenza dei condoni, stavolta lo sconto riguarderà sanzioni amministrative e reati penali, ma l’imposta dovrà esser pagata per intero. Ne deriva una casistica complessa che tra l’altro dovrà esser chiarita in sede di regolamenti. Per i patrimoni leciti come le vecchie eredità, i patrimoni dei professionisti e gli utili societari sottratti al fisco italiano, la sanzione prevede il pagamento delle imposte sui rendimenti per ogni anno di permanenza all’estero, oltre alle sanzioni e agli interessi per il ritardato pagamento e alle sanzioni per la mancata comunicazione sul quadro Rw della dichiarazione dei redditi. Il quadro si complica in caso di “movimentazioni attive”.Ma il dato certo è che, una volta esaurita la finestra della voluntary disclosure, chi non avrà accettato l’offerta correrà rischi penali rilevanti e dovrà far rotta vero Paradisi fiscali remoti: i Paesi del Golfo, qualche isola caraibica o la Cina  Singapore non accetta più denaro non dichiarato. E neanche Cipro è più un porto sicuro dopo il colossale prelievo forzoso sui conti delle banche di Nicosia per impedire il tracollo finanziario dell’isola.

Di qui la previsione di un forte flusso di capitali verso le Sgr del Bel Paese. Non a caso Banca Intesa intende puntare sempre più sull’asset allocation, Unicredit mira a rafforzare assieme a Banco de Santander le dimensioni di Pioneer. E in Piazza Affari Azimut, Banca Generali e Mediolanum festeggiano. 

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