La sua è una cucina senza confini fisici, nel senso che fra i fornelli e la sala da pranzo non ci sono divisioni formali, al punto che alcuni piatti vengono iniziati dalla cucina e definiti al tavolo degli avventori, così non c’è una distanza formale fra il personale del ristorante e i suoi clienti. È l’attestazione di una filosofia di vita in cui la sua forte solarità napoletana con la conseguente propensione ai rapporti umani si sposa con un rigore di grande livello professionale che lo ha portato ai vertici della cucina italiana e a essere insignito di ben due stelle Michelin. Rocco De Santis, chef del prestigioso Ristorante Gourmet Santa Elisabetta, dell’Hotel Brunelleschi che si affaccia su una accogliente piazzetta del centro storico fiorentino, a pochi passi dal Duomo, da Palazzo della Signoria e dalla Galleria degli Uffizi, che ingloba nella facciata una torre semi circolare bizantina del VI secolo e una chiesa medievale, questa filosofia se l’è portata appresso una famiglia di un paese rurale del Sud, dalle tradizioni culinarie antiche e tramandate, dove tutto si produceva in casa, dalle paste fresche ai dolci. Ma anche dai grandi maestri che gli hanno aperto le porte introducendolo alla grande cucina, a cominciare da Gennaro Esposito il gran sacerdote bistellato della Torre del Saracino a Vico Equense e persona di stellare umanità, per proseguire con Pino Lavarra, due stelle Michelin passato dal Rossellinis di Palazzo Sasso a Ravello al Regent Four Seasons di Londra e al Toto’s di Knightsbridge, con Georges Blanc, tre stelle Michelin nel ristorante che porta il suo nome a Vonnas, con Andrea Aprea altro chef napoletano di successo insediatosi a Milano dove è attestato da tempo con due stelle Michelin, e Pierfranco Ferrara del Faro di Capo d’Orso (Sa).
Rocco De Santis non fa mistero del suo forte legame con le sue origini. “La Campania mi ispira con emozione e facilità: il mare, la montagna, i luoghi e le persone si uniscono come ingredienti di una ricetta che vive nei miei piatti. I miei maestri mi hanno trasmesso il grande rispetto per la CONOSCENZA, che metto alla base della creazione e della rielaborazione dei miei piatti di tradizione volti all’innovazione”.
Ma attenzione: ovviamente il territorio è un punto di partenza, non certo la sua gabbia. Nelle raffinate atmosfere fiorentine lo chef campano ha messo a punto una cucina che si basa sull’essenzialità, su piatti centrati in un prodotto, con altri due o tre a fare da supporto. Si basa su una sostanza, su qualcosa che va oltre l’ingrediente e si caratterizza sui contrasti tra acidità e dolcezza, cotto e crudo, sapidità e leggerezza.
Caratteristiche che la Guida Michelin mette ben in evidenza: “La torre della Pagliazza, probabilmente di origini bizantine, ebbe tante destinazioni; nel dodicesimo secolo fu anche carcere femminile, ma oggi custodisce uno dei più interessanti ristoranti gourmet della città. Nella cucina c’è qualche richiamo alla regione d’origine, ma è nell’esplosione dei sapori, nella fantasia e nella concretezza di piatti pur creativi che Rocco De Santis esprime le caratteristiche di una delle migliori tradizioni gastronomiche italiane, quella campana. Il servizio si svolge ad ottimi livelli e – considerato che i tavoli a disposizione sono pochi – si consiglia vivamente di prenotare!”
Se la cucina è uno dei suoi pilastri l’altro è il suo staff, al quale è riuscito trasmettere le proprie idee ed i suoi entusiasmo alimentando un dialogo e un orgoglio di gruppo che ha dato i suoi frutti. Fondamentale per la sua concezione è il ruolo del Maître, Alessandro Fè perché “l’amalgama fra sala e cucina è molto importante”, sala e cucina devono lavorare in simbiosi nella conoscenza scientifica degli ingredienti, nel saper presentare il piatto. Lo chef gliene rende generosamente merito “È arrivato anche lui quattro anni fa come me, abbiamo lavorato insieme, l’escalation che ha portato alle stelle è di entrambi”. Chapeau!
Tutta questa filosofia si estrinseca perfettamente, ad esempio nel suo celebre Piccione portato scomposto al tavolo e a più riprese in diversi piatti, guarnito solo all’ultimo con la sua salsa, oppure nel risotto che esce dalla cucina nella pentola e viene mantecato a tavola e perfino nel servire il pane che viene tagliato all’ultimo momento davanti al cliente. Insomma, un servizio che diventa calorosamente attento e punta a rendere partecipi i commensali, che non sono più considerati solo destinatari dei piatti che vengono loro serviti ma compagni di un viaggio gastronomico di sensazioni e atmosfere che si snodano sotto i loro occhi.
Nella ricetta della Triglia in crosta di pane proposta dallo chef Rocco De Santis per i lettori di Mondo Food lo chef è riuscito a far convergere in un’unica creazione gusto ed estetica creando un piatto che altro non è che un quadro da mangiare. E se gli si chiede la filosofia che ne è alla base vi risponde con tre parole che sintetizzano però tutto il suo lungo e importante cursus culinario: tradizione, modernità e innovazione.
La ricetta della Triglia in crosta di pane, salsa all’aglio di Nubia e pesto di uvetta e pinoli
Ingredienti per 4 persone:
8 triglie, limone, finocchietto, olio extravergine di oliva, sale, pepe
Per la composta di Cipolla Rossa di Tropea
Un chilogrammo di cipolle, 100 gr di zucchero, 100 gr di glucosio, 50 gr di aceto di Sherry
Per il pane allo zafferano
600 gr di farina, 250 gr di acqua, 15 gr di pistilli di zafferano, 15 gr di lievito di birra, 10 gr di sale,
10 gr di zucchero semolato, olio extravergine di oliva
Per il pesto di menta
200 gr di foglie di menta, 60 gr di olio extravergine di oliva, 40 gr di mandorle tritate, 40 gr di olio
di semi, 20 gr di basilico, uno spicchio di aglio sbianchito
Per il pesto di uvetta e pinoli
150 gr di uvetta, 14 gr di olio extravergine di oliva, 50 gr di pinoli, 50 gr di aceto di uva, 50 gr di
pane raffermo, 30 gr di capperi finissimi dissalati, un’acciuga dissalata, menta
Per la salsa all’aglio rosso di Nubia
100 gr di spicchi di aglio sbucciati e privati dell’anima, 50 ml di panna, 50 ml di latte
Per la guarnizione
4 ciuffi di menta, 4 fiori di aglio, 4 steli di erba cipollina
Procedimento
Sbucciare le cipolle, lavarle e tagliarle a fette sottili con l’aiuto di una mandolina, far bollire venti millilitri di acqua e l’aceto poi sbianchirvi le cipolle per pochi minuti. Versare gli altri ingredienti in una ciotola, unire le cipolle scolate, coprire con della pellicola e lasciare macerare per sei ore.
Conclusa la macerazione, trasferire tutto in un tegame e far bollire a fuoco basso finché non avranno assunto la consistenza tipica della composta.
Per il pane allo zafferano versare la farina nel cestello di una impastatrice, aggiungere il lievito sciolto in poca acqua che calda e lo zucchero. Iniziare a impastare a velocità moderata quindi unire lo zafferano, diluito in un cucchiaio di acqua, e il resto degli ingredienti; lavorare fino a ottenere una massa morbida. Trasferire l’impasto su un tavolo da lavoro in legno spolverizzato con un poco di farina e lavorarlo a mano giusto il tempo di renderlo ancora più omogeneo, poi metterlo in uno stampo da plum-cake unto con dell’olio extravergine di oliva. Lasciar lievitare per circa due ore poi cuocere in forno a 180°C per 45 minuti. Una volta cotto, sformarlo, lasciarlo raffreddare quindi con un’affettatrice tagliarlo in fette spesse poco meno di 3 millimetri.
Sbianchire le foglie di menta e di basilico, raffreddarle in acqua e ghiaccio, strizzarle bene e amalgamarle al resto degli ingredienti. Frullare tutto con un mixer a immersione e riporre in freezer per circa due ore. Mantecare energicamente rompendo i cristalli di ghiaccio fino a ottenere un pesto cremoso.
Lasciare ammorbidire l’uvetta in acqua tiepida per circa 20 minuti e mettere in ammollo nell’aceto il pane raffermo; nel frattempo tostare i pinoli in una padella antiaderente. Quando l’uvetta sarà ben idratata, strizzarla e versarla nel bicchiere di un mixer a immersione con il resto degli ingredienti, frullare per pochi minuti ottenendo un composto omogeneo. Far sbianchire per tre volte l’aglio partendo sempre da acqua fredda; versare la panna e il latte in un pentolino, unire l’aglio sbianchito e lasciare cuocere a fuoco basso in infusione per circa venti minuti. Frullare e tenere da parte.
Sfilettare le triglie eliminando la lisca centrale ma avendo cura di lasciare le due metà unite alla coda. Condire con sale, pepe, la buccia del limone grattugiata e il finocchietto tritato. Spennellare la pelle con un filo di olio extravergine di oliva quindi adagiare un lato su una fetta di pane allo zafferano e, con la punta di un coltello, ritagliare il pane seguendo la lunghezza del pesce arrivando all’attaccatura della coda. Procedura nella stessa maniera per l’altro lato. Versare un filo di olio extravergine di oliva sul fondo di una padella, farlo scaldare e rosolare le triglie da entrambi i lati facendo dorare leggermente il pane in modo che aderisca perfettamente alla pelle e risulti croccante.
Stendere con una spatola il pesto di menta sul fondo di ogni piatto, sopra disporre un cucchiaio di quello di uvetta e pinoli e su questo adagiarvi una triglia. Rifinire con alcune gocce di salsa all’aglio, un poco di composta di cipolla rossa, ciuffi di menta, erba cipollina e fiori di aglio.
Ristorante Santa Elisabetta Brunelleschi Hotel
Piazza Santa Elisabetta, 3 – 50122 Firenze
Tel. 055/2737673 – info@ristorantesantaelisabetta.it
www.ristorantesantaelisabetta.it