L’esito dell’aumento del capitale della Popolare di Vicenza, che non ha trovato sostanzialmente sottoscrittori nel mercato, è solo l’ultimo dei segnali preoccupanti del settore bancario. Un altro specchio della difficile situazione è dato dalla marcata flessione e dalla elevata volatilità dei titoli bancari dell’area dell’euro. Gli indicatori nel caso italiano sono ancor più negativi. Da inizio d’anno la media della riduzione dei corsi azionari delle banche italiane è stata del 26,5 per cento. La rispettiva volatilità si è anche accresciuta. I premi sui credit default swap (CDS) delle banche italiane sono aumentati ragguagliandosi a circa il doppio delle principali banche europee.
E’ noto da tempo che il sistema bancario sta attraversando una fase delicata. Di fatto una tempesta quasi perfetta, alimentata da più fattori e da più parti, sembra essersi abbattuta sul settore bancario europeo e segnatamente su quello italiano.
Sul fronte macroeconomico la prolungata recessione si è riflessa sulla qualità del credito producendo una grande quantità di crediti deteriorati con gravi effetti sulla redditività e sul patrimonio delle banche. Una recessione che è stata alimentata da politiche di austerità e da un euro relativamente forte.
La politica monetaria ha risposto a questa situazione macroeconomica mettendo in atto le arcinote misure non convenzionali di espansione della liquidità e di tassi negativi. Ma se queste misure sono state motivate dal perseguimento degli obiettivi di politica monetaria potrebbero però avere come sottoprodotto un impatto negativo sui conti economici bancari che potrebbero vedersi ridurre il margine di interesse. Peraltro è molto probabile che i tassi d’interesse rimarranno ancora bassi a lungo; la curva della struttura dei tassi, che esprime le aspettative del mercato, è insolitamente piatta su livelli dei tassi bassissimi anche su scadenze molto lontane.
Come se non bastassero le brutte “perturbazioni” macroeconomiche, il sistema bancario deve anche sostenere un costoso e complesso onere da regolamentazione. Quest’ultimo si è accresciuto recentemente a causa della crisi alla quale è seguita, da un lato, una fase di nuova e più invasiva regolamentazione e dall’altro uno spostamento del costo delle risoluzioni delle crisi bancarie direttamente sullo stesso comparto bancario.
Ma la tempesta perfetta appare particolarmente violenta sul settore bancario italiano. Non a caso recentemente il settore ha subito una forte uscita di capitali con contestuale riduzione delle quotazioni delle azioni e delle obbligazioni delle banche italiane, riduzione, come già detto, nettamente più intensa rispetto a quella europea. Tutto ciò perché la recessione è stata più severa e prolungata nel nostro paese con conseguenti maggiori crediti deteriorati (peggio di noi hanno fatto soltanto Portogallo, Grecia e Cipro). Sul bagnato della recessione si devono aggiungere gli effetti della pioggia di alcune sentenze e di alcuni recenti provvedimenti legislativi che hanno aumentato le cause passive (si pensi all’anatocismo) e il ricorso a procedure concorsuali (concordati preventivi, accordi di ristrutturazione dei debiti, cause di sovra-indebitamento) che a loro volta hanno incrementato i crediti deteriorati. E anche la politica monetaria dei tassi bassi, producendo effetti negativi maggiori sugli intermediari con un modello di business “tradizionale”, vede maggiormente colpite le banche italiane essendo quel modello di business più diffuso in Italia rispetto agli altri grandi paesi europei. Infine alcune vicende giudiziarie nazionali e l’impatto dell’applicazione italiana della regolamentazione europea hanno contribuito ad incrinare la reputazione del sistema bancario e ad alimentare la sfiducia nelle stesse banche (si pensi al pasticcio creatosi con l’introduzione del bail-in).
Tutti questi effetti della tempesta in corso determinano un vortice vizioso dove alle banche è richiesto più patrimonio, ma allo stesso tempo l’offerta di nuovo capitale è frenata da una bassa profittabilità e soprattutto da aspettative di inadeguata redditività futura.
Le tempeste sono sempre pericolose, ma è opportuno ribadire che una tempesta sulle banche è particolarmente dannosa non solo per il sistema bancario, ma per l’intero sistema economico. Il presupposto da cui partire è il ruolo che le banche svolgono in un’economia di mercato dove il rapporto banca-impresa è fondamentale e dove le funzioni di finanziamento e di allocazione del risparmio rimangono insostituibili. Il ruolo nel sistema dei pagamenti è ancora più cruciale. Oltre il 90 per cento della moneta in circolazione in Europa è moneta fiduciaria prodotta dalle banche. E tutto questo nonostante la rivoluzione digitale stia creando innovazioni che producono disintermediazione bancaria nel sistema dei pagamenti (si pensi al digital payment o alle monete virtuali), e nelle forme di raccolta (crowdfunding) e di impiego (peer to peer lending). In altre parole, le banche costituiscono ancora uno snodo, un’infrastruttura centrale del sistema economico e non possono essere penalizzate dal sistema, ma vanno invece aiutate ad aiutare l’economia.
Con la crisi, tra le tante conseguenze, è invece riemersa purtroppo una discutibile percezione delle banche da parte di alcune fasce e parti della società. I banchieri, e “la finanza” in generale, sono stati accusati dello scoppio della crisi finanziaria (e senza distinguere tra le diverse tipologie di banche) ma anche di molti degli effetti negativi che si sono avuti in seguito alla crisi economica (fig.1).
Una delle lezioni della fisica è che la realtà è però spesso diversa da quel che appare. Questo sentire diffuso che esecra le banche, come pure la ritrosia a riconoscerne il ruolo e quindi la difficoltà a legittimare il prezzo dei servizi offerti, vanno rigettate perché mai come oggi le banche sono eventualmente vittime e non causa della situazione attuale.
Quel che qui si sostiene è che in questa tempesta perfetta continuare ad attaccare e sparare sulle banche è controproducente per l’intera economia e in special modo per le imprese più piccole e per i territori più periferici. Male fanno quindi coloro che osteggiano le banche dimenticando il ruolo ancora insostituibile che esse svolgono e la caratteristica di bene pubblico attribuibile alla fiducia e alla stabilità bancaria. Paradossalmente tutti questi sviluppi e queste posizioni tendono a colpire non solo le banche, ma indirettamente anche quei territori e quelle fasce di clientela più deboli. Questa considerazione introduce il tema degli effetti della “tempesta perfetta” sullo sviluppo locale. La domanda che sorge spontanea è chi alla fine sosterrà i costi di questa situazione di difficoltà in cui versano le banche. Al riguardo si possono citare due canali che portano a conclusioni analoghe sulla distribuzione dei costi sulle diverse componenti del sistema economico.
In primo luogo è chiaro infatti che in seguito alla “tempesta” i prodotti e i servizi bancari sono diventati più cari da produrre e quindi dovrebbero diventare più cari per la clientela. Ma come si spalmerà sulla clientela bancaria questo maggiore costo? Questo dipenderà dall’elasticità della domanda di prodotti bancari a sua volta funzione dell’accessibilità di soluzioni alternative meno costose. Così succederà che quei comparti di clientela che, ad esempio, potranno utilizzare forme alternative di finanziamento saranno meno colpite dai maggiori costi, mentre al contrario famiglie e piccole imprese, per le quali non ci sono praticamente alternative ai prodotti bancari, saranno probabilmente costrette a sostenere un onere maggiore.
In secondo luogo, bisogna capire se il verificarsi della crisi e le sue conseguenze hanno avuto un impatto uniforme tra le diverse categorie di banche. E la risposta è no! Questo per più motivi. Innanzitutto permane il vantaggio del too big to fail che va a favore delle banche più grandi che, a prescindere anche dalle responsabilità nella crisi e delle risposte regolamentari, beneficiano di costi di raccolta minori rispetto alle banche più piccole. C’è inoltre il fatto che la regolamentazione è stata prevalentemente costruita sulla base del principio one-size-fits-all che tende a penalizzare di nuovo le banche più piccole. Si dirà che a tal fine esiste nella regolamentazione il principio di proporzionalità secondo il quale l’onere della regolamentazione dovrebbe riflettere il contributo alla rischiosità sistemica e la dimensione del soggetto vigilato. Ma se guardiamo alle modalità con cui è stato declinato e applicato nel caso europeo (il caso americano è ben diverso) è chiaro che emerge un maggior impatto e costo della regolamentazione per i soggetti bancari più piccoli che si devono comunque far carico di una complessità regolamentare con incidenze di costo maggiori, data la minor scala di operatività che li caratterizza.
Se poi ci ricordiamo della specializzazione delle banche più piccole, che si incentra sulle imprese minori e sui territori periferici, ecco che il cerchio si chiude e possiamo concludere che le difficoltà del sistema bancario graveranno maggiormente sulle piccole imprese e su quei territori periferici che continueranno a dipendere dalle piccole banche locali, ammesso che le stesse sopravvivano alla tempesta perfetta che le circonda.
* L’autore è docente al Dipartimento economico dell’Università Politecnica delle Marche