E’ dall’inizio della settimana che Piazza Affari aspetta la sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi. Ma non aspettiamoci terremoti finanziari che durino più di un giorno, perché il processo Mediaset più che alla finanza interessa alla politica per le evidenti ripercussioni che potrebbe avere sul Governo una condanna definitiva o l’interdizione dai pubblici uffici del Cavaliere. Qualche effetto la sentenza l’avrà anche sulla nostra Borsa e sulla galassia delle società berlusconiane ma oggi i listini azionari sono integrati a livello internazionale e spesso le parole di Ben Bernanke o di Mario Draghi valgono più di ogni altro evento.
Sia come sia, non c’è dubbio che il pianeta giustizia ha questa settimana un peso non irrilevante sul nostro sistema finanziario. Lo ha soprattutto per il caso Berlusconi, ma non soltanto. E’ di ieri la sorprendente notizia delle perquisizioni della casa e dell’ufficio di Elio Catania, il consigliere di Telecom Italia, già top manager di Ibm, che è indagato e accusato di insider trading in relazione alle voci su un ipotetico aumento di capitale del gruppo telefonico che hanno provocato un tonfo clamoroso di Telecom Italia.
A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, le vicende di insider realmente accertate e perseguite in Italia non sono molte ma questo è certamente un caso che fa e farà discutere. E se le accuse venissero provate la sanzione, reputazionale prima ancora che penale ed economica, farebbe scuola. In materia di insider, il caso Catania impressiona – almeno a prima vista – molto di più dei nuovi addebiti che vengono rivolti all’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, che da ieri è indagato anche per insider per aver preventivamente informato autorità istituzionali sull’acquisizione di Antonveneta.
Ma proprio le conclusioni a cui è arrivata la magistratura senese sull’operazione Mps-Antonveneta è forse il caso più sensazionale nella galleria dei rapporti giustizia-finanza-stampa del nostro Paese ed è un caso che fa meditare. Ieri i magistrati titolari dell’inchiesta senese hanno detto a chiare lettere che questa non è una storia di tangenti. “Nell’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps – ha sostenuto Antonino Nastasi, il magistrato che insieme a Giuseppe Grosso e a Aldo Natalini conduce l’inchiesta – non sono stati trovati né comportamenti penalmente rilevanti, né vantaggi personali, né tangenti”.
E’ una svolta clamorosa: la storia del Monte dei Paschi ha altri profili penali ed è tutt’altro che conclusa ma, secondo i magistrati, non è una storia di tangenti. Il prezzo esorbitante con cui Mps acquistò Antonveneta può essere stato, col senno di poi e per il successivo crollo dei mercati, un grande abbaglio ma di reati e di tangenti non c’è alcuna evidenza. Non è una conclusione da poco.
Ma una riflessione si impone: non è la prima volta che una parte della stampa italiana, sedotta dall’idea di sparare qualche titolo a caratteri cubitali, prende lucciole per lanterne. L’ultimo è stato il caso Finmeccanica-Guarguaglini: per mesi e mesi l’ex numero uno di Finmeccanica venne dipinto dai maggiori giornali come il grande artefice del gigantesco sistema tangentizio della holding pubblica. Qualche mese dopo la magistratura di Roma ha archiviato il suo caso senza nemmeno rinviare a giudizio Guarguaglini. E’ presto per trarre conclusioni definitive sul caso Mps ma, quando si maneggiano casi giornalistici scottanti, l’uso del dubbio e della prudenza è sempre meglio della sicumera. Siccome nessuno è perfetto, quando si sbaglia è doveroso chiedere scusa: soprattutto ai lettori.