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La spesa previdenziale con cui fare i conti in vista della manovra di bilancio d’autunno

FIRSTonline

L’ultimo Rendiconto sociale del Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) dell’Inps – che abbiamo saccheggiato anche nelle precedenti rubriche – suggerisce nuove considerazioni (si veda la relativa tabella) con riguardo alla spesa per prestazioni nella transizione della emergenza sanitaria e con riguardo agli effetti dei provvedimento di sostegno assunti in quell’arco temporale. Sia pure con la necessaria cautela si possono notare incrementi di spesa che tra il 2022 e l’anno precedente non evidenziano variazioni particolarmente significative o comunque sono giustificate dalle misure assunte dal governo. Vi è un incremento della spesa pensionistica di un decina di miliardi (7 nei settori privati e 3 in quelli pubblici) che, oltre alla rivalutazione automatica all’inflazione, potrebbe essere riconducibile alle misure sperimentali varate a favore del pensionamento anticipato per un triennio (2019-2021) dal Conte 1. Se di quota 100 pesavano le erogazioni già effettuate, bisogna ricordare che era interamente operativo il blocco del trattamento anticipato ordinario. Da notare anche la stabilità dei palliativi del pensionamento come l’Ape sociale. Il regime di blocco dei licenziamenti, prorogato fino ad aprile del 2022, trova riscontro nell’ uniformità nel biennio della spesa per la disoccupazione (Naspi e Dis-coll). Poi come ricordiamo, alla scadenza, anziché osservare un ricorso a licenziamenti di massa, si verificò un netto prevalere delle dimissioni, tanto che si aprì anche in Italia il melodramma della Great resignation ovvero le Grandi dimissioni. Un fenomeno, questo, che stava circolando nei paesi sviluppati a partire dagli Usa (ma anche noi ci facevamo riconoscere) come se fosse una ‘’fuga dall’Egitto’’ di un popolo sfruttato, scampato dalla nuova pestilenza, che si sottraeva al giogo del lavoro, alla ricerca di un nuovo stile di vita. Anche l’Associazione dei direttori del personale, in una loro ricerca, si occuparono della ‘’Grande fuga’’ riportandola ad una dimensione più pratica e a motivazioni – la ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altre aziende (47%) e l’aspirazione a un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%) – che, in primo luogo, dipendevano e tuttora dipendono dalle storture di un mercato del lavoro in cui chi cerca un’occupazione non la trova e chi vuole assumere non ci riesce, anzi stenta a trattenere i dipendenti che gli sono indispensabili.

Un ulteriore dato molto significativo è quello relativo alla spesa per la Cassa Integrazione Guadagni che riscontra una notevole riduzione, connessa alla ripresa economica e all’uscita delle misure di tutela dell’occupazione (Mario Draghi disse che l’intervento economico più efficace sarebbe stata la riapertura delle aziende).

Merita una particolare considerazione il mutamento intervenuto (a partire dall’aprile 2022) nelle politiche familiari, nel senso che si passa dall’Assegno al Nucleo famigliare (ANF, introdotto nel 1988 come riforma del regime precedente assumendo come riferimento il reddito e la composizione del nucleo) all’Assegno unico universale (AUU) ragguagliato al numero dei figli. L’ANF è rimasto in vigore per i pensionati. Come si vede l’incremento di spesa è notevole. E riportando indietro la moviola della cronaca, si può dire che le previsioni furono azzeccate.

L’Ufficio parlamentare del bilancio (UPB) si era occupato in precedenza dell’AUU, tenendo conto degli effetti del passaggio dagli istituti vigenti (assegni familiari e detrazioni fiscali per figli a carico di età inferiore a 21 anni che vengono assordite) al nuovo strumento. E aveva in pratica condiviso gli esiti che il Mef ha raccolto a posteriori in uno studio. Dall’analisi dell’UPB, infatti, era emerso che l’AUU sarebbe stato in generale più generoso delle misure vigenti anche in corrispondenza di redditi familiari elevati visto che l’importo non si azzera in corrispondenza di redditi medio alti (come invece accade per le misure vigenti). Il beneficio sarebbe stato particolarmente rilevante per i figli minorenni con disabilità, a fronte di un guadagno più limitato per i maggiorenni. Nel passaggio, a parità di altre condizioni, da un nucleo monoreddito a uno bi-reddito, il nuovo regime sarebbe divenuto generalmente più favorevole di quello vigente per effetto della maggiorazione specifica. Il vantaggio sarebbe risultato inferiore per livelli di reddito familiare alti in corrispondenza dei quali la maggiorazione si annulla.

La presenza di un patrimonio rilevante per l’ISEE (ossia superiore alle franchigie) avrebbe reso, a parità di reddito familiare, il nucleo familiare più ricco ai fini dell’indicatore determinando tuttavia importi di AUU più contenuti che avrebbero lasciato i nuclei con patrimonio per lo più indifferenti o svantaggiati nel passaggio dal vecchio al nuovo regime. Maggiore è il patrimonio, più numerosi sarebbero stati i casi di una perdita. Come si può vedere non sono emersi scostamenti significativi tra le previsioni dell’UPB (che teneva conto anche delle indicazioni della Relazione tecnica del provvedimento) e le prime valutazioni compiute dal Mef con riguardo ai benefici erogati, nonché dai dati di consuntivo del CIV. Nella valutazione dell’UPB il costo complessivo dell’introduzione dell’AUU per il 2023 (si va oltre il biennio considerato dall’Inps) si attestava a poco più di 18 miliardi, di cui circa 6 di risorse aggiuntive rispetto a quelle in precedenza erogate, in linea con quanto indicato nella Relazione tecnica del provvedimento. La misura secondo l’UPB avrebbe riguardato quasi 7,3 milioni di nuclei familiari e 10,8 milioni di figli e apportato un beneficio medio per nucleo di poco più di 1.000 euro (quasi 700 per figlio).

Il 92% dei nuclei familiari coinvolti sarebbero stati avvantaggiati o indifferenti rispetto al regime vigente, in relazione al carattere universale dell’AUU e, soprattutto, all’impiego di risorse aggiuntive.

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