Dopo oltre 50 anni di dominio della famiglia al-Assad, il regime baathista ha ceduto al rapido avanzamento dei ribelli siriani. In soli 10 giorni, le principali città del Paese sono cadute, culminando nella presa di Damasco nella notte tra il 7 e l’8 dicembre. Bashar al-Assad, in fuga, ha trovato asilo a Mosca insieme alla famiglia, ponendo fine a un’era che ha segnato la storia della Siria. La Russia ha confermato la concessione dell’asilo su motivi umanitari.
La caduta di Assad apre uno scenario incerto per la Siria, coinvolgendo numerosi attori internazionali in un complicato gioco geopolitico. Iran, Russia, Turchia, Israele e Stati Uniti si confrontano su un terreno sempre più instabile, mentre cresce il rischio di frammentazione del paese e del ritorno di gruppi estremisti, come lo Stato Islamico.
Per Russia e Iran, i due grandi “sconfitti” della situazione, la Siria riveste un’importanza strategica: Mosca dipende dal porto di Tartus per l’accesso al Mediterraneo, mentre Teheran utilizza il Paese come snodo cruciale per le sue alleanze regionali. La caduta del regime rischia però di trasformare la Siria in un campo di battaglia tra altre potenze, aggravando la già precaria stabilità del Medio Oriente. Nel frattempo, emerge un chiaro vincitore: Recep Tayyip Erdogan, che rafforza la sua posizione nella regione.
Siria: il grande vincitore è Erdogan
Recep Tayyip Erdogan emerge come il grande vincitore nella crisi siriana, grazie a una strategia politica abile e opportunista. Da unico leader Nato a sostenere l’opposizione siriana, ha colto i frutti del suo sostegno saltando sul carro dell’ex qaedista al Jolani e appoggiando l’offensiva di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), che ha rapidamente conquistato terreno fino a Damasco.
La sua posizione nel territorio si è così rafforzata a scapito di Iran e Russia: il regime di Assad, fulcro dell’alleanza anti-Israele e anti-Occidente con Hezbollah, Houthi e Hamas, è ormai finito, mentre Erdogan ha consolidato la sua influenza. Questo gli permetterebbe di spingere per il rimpatrio di 4 milioni di rifugiati siriani, una mossa che rafforzerebbe il consenso interno, e di negoziare con gli Stati Uniti sul futuro del nord-est della Siria controllato dai curdi. Non sarà comunque facile per Erdogan: la stabilità della Siria dipenderà dalla gestione dei ribelli di HTS e dalla prevenzione del ritorno dell’ISIS o di una nuova guerra civile. La delicata questione curda potrebbe aprire un ulteriore fronte di tensione, con la possibilità di un’integrazione pacifica o di nuovi conflitti. Erdogan ha ormai ribaltato i rapporti di forza con Vladimir Putin, pur ricordando che “In questo momento, tra i leader nel mondo sono rimaste solo due persone: una sono io, l’altra è Vladimir Putin”.
Mosca e Teheran gli sconfitti
Iran e Russia sono invece i grandi sconfitti della partita. Per Teheran, la caduta del regime di Assad segna una grave perdita strategica: la Siria era un perno dell’Asse della Resistenza, attraverso cui passavano armi e sostegno per Hezbollah e altre milizie sciite. La rapidità del collasso di Damasco ha lasciato l’Iran sorpreso e indebolito, privo di una reazione efficace.
Mosca, pur avendo cercato di minimizzare l’impatto della caduta del suo alleato, si trova in difficoltà. Nonostante gli sforzi per salvare Assad dal 2015, il Cremlino ha evitato un intervento massiccio per preservare risorse, specialmente considerando l’impegno in Ucraina. Rischia ora di perdere il suo fondamentale accesso al Mediterraneo e di vedere ridimensionate le sue ambizioni geopolitiche, anche verso l’Africa. La possibile perdita della base aerea di Chmejmim e del porto di Tartus costituirebbe un duro colpo per Vladimir Putin. Mosca cercherà quindi di limitare i danni, puntando a mantenere una presenza militare in Siria e a ribadire la propria influenza nella regione.
Usa e Israele preoccupate per la nascita di uno Stato Islamico
Gli Stati Uniti sono preoccupati per un possibile vuoto di potere in Siria che potrebbe favorire il ritorno dell’Isis. Il presidente Joe Biden ha dichiarato che gli Usa non permetteranno al gruppo di ristabilirsi nel paese e, in risposta, le forze statunitensi hanno condotto attacchi aerei contro oltre 75 obiettivi legati all’Isis. Il segretario di Stato Antony Blinken ha sottolineato l’importanza di una “transizione pacifica del potere” in Siria, con il sostegno a un processo politico inclusivo.
Israele, che confina direttamente con la Siria a nord-est, è particolarmente preoccupato per la possibilità che uno Stato islamico si formi alle sue porte. La situazione attuale rappresenta un grave timore per Tel Aviv, che ha intensificato la sua presenza militare nelle alture del Golan. Un vuoto di potere a Damasco o, peggio, la formazione di uno Stato islamico, sono scenari che Israele sperava di evitare.
E così nel caos che regna a Damasco le forze israeliane hanno attraversato per la prima volta la zona demilitarizzata al confine con la Siria dal 1973, con l’intento di consolidare posizioni strategiche, come il Monte Hermon, per monitorare i movimenti dei ribelli e di Hezbollah. I carri armati israeliani sono così schierati in massa sulle alture del Golan, con la città siriana di Quneitra visibile all’orizzonte, ora sotto il controllo dei ribelli.
Siria: cinque possibili scenari per il futuro
Secondo un’analisi del quotidiano turco Sabah, ripresa da Report Difesa, il futuro della Siria potrebbe seguire uno di questi cinque scenari:
- Repubblica Democratica Siriana: Un governo sostenuto da un’alleanza di partiti di opposizione con varie ideologie. Questo scenario avrebbe bisogno del sostegno congiunto di Turchia, Stati Uniti, Russia e paesi europei per garantire la stabilità.
- Repubblica Islamica di Siria: La creazione di un governo controllato da gruppi estremisti come Hay’at Tahrir al-Sham. Questo scenario potrebbe creare un contesto pericoloso sia per Israele che per gli Stati Uniti, date le tensioni ideologiche con questi attori.
- Stato Anti-Sciita sotto Controllo Israeliano: Un possibile nuovo stato con il supporto di Israele per contrastare l’influenza iraniana e tagliare i legami logistici di Hezbollah. Questa ipotesi rischierebbe però di aumentare le tensioni nella regione.
- Repubblica Federale di Siria: Un paese frammentato in piccoli stati autonomi, con un equilibrio instabile simile a quello dei Balcani. Questo scenario rifletterebbe una soluzione sponsorizzata dagli Stati Uniti.
- Divisione e Guerra Civile: Il peggior scenario possibile: una nuova ondata di conflitti interni che potrebbe portare al collasso definitivo dello stato siriano, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria.
Il mondo guarda con preoccupazione, consapevole che le prossime mosse potrebbero determinare il futuro della regione. Oggi, alle 15 ora locale (21 in Italia), è convocata una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla Siria.