I capitali pubblici
Sono stati i capitali pubblici a innescare la miccia della Silicon Valley. O meglio i capitali del Dipartimento della Difesa impegnato in una competizione spaziale e militare feroce con l’Unione Sovietica di Krusciov e Brezhnev. È veramente un paradosso che il luogo più liberal e libertario d’America debba la sua immensa fortuna al più retrivo dei blocchi sociali, il complesso economico-militare di eisenhoweriana memoria.
Che ci sia quasi sempre lo zampino pubblico nell’innesto dell’innovazione è un indizio che Mariana Mazzucato aveva già scoperto nel suo fortunato saggio dal titolo Lo Stato imprenditore. Oggi la tesi della Mazzucato trova piena conferma in uno studio ampio e accurato di Margaret O’Mara, una giovane storica americana della Università di Washington.
La O’Mara ha appena dato alle stampe, con Penguin, un libro curato e brillante, The Code: Silicon Valley and the Remaking of America. The Code ricostruisce la nascita di uno dei fenomeni più straordinari della contemporaneità, quella striscia di terra dove i soldi crescono sugli alberi che ha preso il nome di Silicon Valley.
A rinominare in “Silicon Valley” la Valle di Santa Clara fu, agli inizi degli anni 70, Don Hoefler. Hoefler era un reporter del periodico “Electronic News” con il pallino degli slogan. E questo gli venne straordinariamente bene. Il nome fece subito presa e la Silicon Valley divenne metonimo dell’intera industria tecnologica.
Non furono, però, solo i capitali dei militari a incubare la Valle di Santa Clara e a trasformarla nella Silicon Valley. Accadde veramente una congiunzione astrale. Una serie di reazioni chimiche nel tessuto sociale ed economico produssero un vero e proprio big bang. Nella valle dei frutteti, descritta nei romanzi di John Steinbeck, venne a realizzarsi una sinergia difficilmente ripetibile tra il potere pubblico e la società civile.
Furono un tecnologo e un imprenditore visionari a raccogliere la sfida dell’innovazione. Fu anche la legislazione californiana sui temi del diritto dell’economia e dell’immigrazione a rendere possibile il miracolo della Silicon Valley.
L’ingegno di Fred Terman
Difficilmente può essere sottovalutato il ruolo dell’ingegnere elettronico Fred Terman, prima, preside della Facoltà di Ingegneria di Stanford e, poi, dal 1955 al 1965, rettore dell’ateneo. Si deve soprattutto a Terman la costruzione, agli inizi degli anni 50, del Parco tecnologico di Stanford nella Valle di Santa Clara.
Un’area molto vasta all’interno della quale l’Università concedeva delle particelle di terreno alle imprese tecnologiche che vi volevano costruire i loro laboratori o aprire i loro uffici. Il Parco divenne subito qualcosa di simile a un distretto industriale e vi si sviluppò un effetto network impressionante.
Vi iniziarono a operare e a trasferire i loro centri di ricerca imprese come Hewlett-Packard, Eastman Kodak, General Electric, Lockheed, Xerox e molte altre.
Nel parco tecnologico di Stanford furono ideate, progettate e realizzate le tecnologie che hanno rivoluzionato la nostra vita. A svilupparle furono i tecnologi del PARC, il Palo Alto Research Center della Xerox. Una multinazionale che si trovava dall’altra parte dell’America e stava cercando di anticipare il futuro che incombeva come una brutta tempesta tropicale sul proprio core business.
Stanford, il MIT della costa occidentale
Terman cambiò radicalmente anche l’indirizzo didattico di Stanford per farne una sorta di MIT della costa occidentale. Le discipline scientifiche, matematiche e tecnologiche divennero l’asse portante dell’ateneo. Stanford iniziò a riversare sul territorio tecnologi, ingegneri e sviluppatori che alimentavano di talenti e di know-how le imprese già insediate e stimolavano la nascita di nuove.
Un circolo virtuoso e mimetico che si era visto solo nelle grandi rivoluzioni industriali del passato. Lo stesso Terman, non solo incoraggiò l’imprenditorialità dei propri studenti, ma investì anche direttamente nelle imprese che andavano sviluppandosi nella Valle.
Terman inoltre iniziò a far partecipare Stanford alle gare del Dipartimento della Difesa i cui appalti arricchirono enormemente l’istituzione sul piano materiale, immateriale, della proprietà intellettuale e delle risorse umane.
L’instancabile Terman iniziò a corteggiare le menti più visionarie del paese affinché iniziassero a operare nel Parco tecnologico di Stanford.
I “bruti” di William Shockley
Alla fine, Terman trovò il suo eroe nel fisico William Shockley, il padre del semiconduttore. Per le sue ricerche e per la scoperta dell’effetto transistor Shockley fu insignito del premio Nobel per la Fisica nel 1956 insieme a John Bardeen e Walter Houser Brattain.
Lo stesso anno Shockley si trasferì a Palo Alto per assistere la madre malata che viveva nella cittadina. Al 391 di San Antonio Road a Mountain View, insiedò lo Shockley Semiconductor Laboratory. Personaggio eccentrico, erratico e paranoico — ricordiamo l’influentissimo libro di Andy Grove sull’immaginario della Valle, Only the Paranoid Survive — Shockley aveva il karma giusto per gettare il seme che avrebbe trasformato i frutteti della Valle di Santa Clara nella Silicon Valley. Insieme a Terman è unanimente considerato il padre fondatore della Silicon Valley. Alcuni definiscono Shockley “il Mosè della Silicon Valley”.
Nel 1957 otto tecnologi, passati alla storia come i “traitorous eight”, abbandonarono il laboratorio di Shockley per fondare la Fairchild Semiconductors a con sede a San Josè. Tra questi c’erano Gordon Moore, ideatore della popolare legge di Moore, e Robert Noyce, l’inventore, insieme al nostro Faggin, del circuito integrato. Moore e Noyce nel 1968 lasciarono la Fairchild per fondare Intel.
Se il laboratorio Shockley non si riprese più da questa defezione, la Fairchild Semiconductors divenne il più importante acceleratore d’impresa della storia dell’industria tecnologica moderna. Qualcuno si è preso la briga di censire il numero di imprese avviate nell’area della Silicon Valley da dipendenti della Fairchild. Sono 65.
La Fairchild divenne alla Silicon Valley anche il prototipo operativo, relazionale, messianico e di stile nella conduzione del business. Delineò anche un nuovo paradigma per il modello di innovazione.
Il modello d’impresa e d’innovazione della Fairchild
Scrive la O’Mara a questo proposito.
“La cosa più importante è che la Fairchild ha creato un modello d’impresa che migliaia di imprenditori hanno seguito nei decenni a venire. Il modello è questo: trovare investitori esterni disposti a mettere il capitale, dare la proprietà ai dipendenti e al mercato, scardinare gli assetti esistenti del mercato per crearne di nuovi. I fondatori di Fairchild hanno fatto una grande scommessa nell’abbandonare una leggenda vivente come il vincitore del premio Nobel per partire da soli. Ma è venuto fuori che il loro tempismo non avrebbe potuto essere migliore. Solo tre giorni dopo che i traitorous eight ebbero ufficialmente costituito la loro nuova impresa, l’Unione Sovietica lanciò il satellite Sputnik”.
Forse, più di altri fattori, come afferma la O’Mara, fu proprio lo Sputnik a portare in orbita, oltre se stesso, anche la Valle.
Il ruolo del big government nella terra dei libertari
A quel punto, nella striscia di terra tra San Francisco e San Josè, i soldi iniziarono a crescere sugli alberi. I vertici politici e militari della nazione, scioccati dallo Sputnik, iniziarono a capire che chi controllava la tecnologia, poteva controllare il mondo. E in effetti fu ed è così.
La guerra fredda iniziò a combattersi sulla conquista della supremazia tecnologica e la scommessa del governo americano sulla Silicon Valley si dimostrò vincente. La Valle dette un vantaggio incolmabile agli Stati Uniti sul blocco comunista che l’aveva umiliati nella corsa allo Spazio.
Qualcosa di analogo si ripeté durante l’amministrazione Reagan con due programmi gonfi di capitali del governo: lo Strategic Defense Initiative (SDI) e la Strategic Computing Initiative (SCI) della Darpa. Scrive ancora la O’Mara:
La grande quantità di soldi che arrivarono tramite i contratti SDI e SCI negli anni ’80 mostrano che la difesa era il motore del “big government” che rombava nel cofano delle brillanti auto sportive degli imprenditori della Valle. Non appariva perché beneficiavano di una copertura mediatica che li descriveva come hacker e avventurieri.
A distanza di neppure mezzo secolo da quegli eventi, i cinque maggiori gruppi della Silicon Valley hanno una capitalizzazione di mercato che vale più del PIL del Regno Unito. Il loro potere fa tremare i governi, come un tempo fece lo Sptunik.
A tutta mobilità
Anche la legislazione fu uno dei grandi vettori della Silicon Valley. Nel 1958 il Congresso approvò una legge, lo Small Business Investment Act, che offriva delle generose detrazioni fiscali al genere di startup che proliferavano all’ombra di Stanford.
Ma ancor più decisiva fu la legislazione della California che aveva messo al bando la clausola della non-concorrenza nei contratti di lavoro. Questa proibizione rese possibile una mobilità di talenti e di cervelli da un’impresa a un’altra senza il timore di cause legali, rappresaglie o recriminazioni. La clausola di non-concorrenza che tende a tutelare l’investimento delle imprese costituite, può essere anche un robusto irretimento all’espansione dell’innovazione.
Grazie alla libertà di movimento sancita dalla legge dello Stato della California i migliori ingegni potevano dare continuità a un progetto a prescindere dalla propria collocazione lavorativa. Rimanevano titolari delle proprie idee e delle proprie esperienze ed erano liberi di portarle avanti nei modi che loro desideravano.
Inoltre per trattener i cervelli le imprese erano invogliate a investire sui talenti e sulle capacità. Questa necessità sosteneva gli alti salari e rendeva la Valle un campo magnetico irresistibile per gli ingegni più brillanti e più ambiziosi del pianeta. Una miscela esplosiva.
La creatività che questo stato di cose liberò, sancì la supremazia tecnologica della Silicon Valley su altri hub tecnologici come quello sorti sulla Route 128 di Boston o nell’area di Austin nel Texas.
Il contributo dei “non-americani”
Non di minore importanza fu l’approvazione dell’Immigration and Naturalization Act del 1965 che aprì le porte all’ingresso di personale specializzato e di talenti provenienti da tutto il mondo. Nel decennio 1995–2005 oltre la metà di fondatori di imprese nella Silicon Valley era nato fuori degli Stati Uniti. Tut’oggi i “non americani” sono una componente impressionante dell’élite manageriale della Valle.
Sundar Pichai, Ceo di Google, proviene dall’India. Anche Satya Nadella, il protagonista della rinascita di Microsoft, è nato in India, a Hyderabad. Sergey Brin, presidente di Alphabet, è nato a Mosca. Elon Musk, Tesla e Space X, è nato in Sudafrica. Safra Catz, CEO di Oracle, viene da Israele. Come viene da un Kibbutz israeliano Adam Neumann, fondatore di WeWork. Pierre Omidyar, fondatore di ebay, è nato in Francia da genitori iraniani. Jerry Yang, fondatore di Yahoo, viene da Taiwan. Come viene da Taiwan Steve Chen di YouTube. Eduardo Severin, co-fondatore di Facebook, viene dal Brasile.
Peter Thiel, il filosofo della Valle e co-fondatore di PayPal, è nato in Germania. Garrett Camp, co-fondatore di Uber, è canadese. L’altro fondatore, Travis Kalanick, ha origini ceche e austriache. L’attuale capo di Uber, Dara Khosrowshahi è iraniano-americano.
I due più famosi Steve della storia del computer, Steve Jobs e Steve Wozniak erano figli di emigrati. Il padre naturale di Jobs era di Homs in Siria, che adesso è un cumulo di macerie. I genitori di Woz erano di origini ucraine e polacche. Il padre adottivo Jeff Bezos era un emigrato cubano.
Due leggende della Silicon Valley sono figli di immigrati. Larry Ellison, fondatore di Oracle, è figlio di un italo-americano. Andy Grove, mitico CEO di Intel, è di origini ungheresi.
Quale futuro per la Valle?
Viene da domandarsi se la Silicon Valley — un luogo, ma anche uno stato d’animo — possa ancora mantenere la sua supremazia negli anni a venire? La Cina sta immettendo enormi quantità di denaro nel settore tecnologico. I regolatori europei stanno iniziando a muoversi in modo aggressivo per frenare il potere dei grandi gruppi tecnologici americani e regolare pesantemente le loro attività nel vecchio continente.
Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia sta pensando di avviare un procedimento antitrust contro i gruppi più rappresentativi della Silicon Valley. I repubblicani sembrano determinati a contenere qualsiasi forma di immigrazione negli Stati Uniti, anche dei cervelli. Questo potrebbe recidere il flusso vitale delle risorse umane di tutte le nazionalità che ha sostenuto l’industria tecnologica fin dalla sua nascita.
Non ci resta che concludere con le parole di Stephen Mihm della Georgetown University, uno degli osservatori più brillanti della contemporaneità.
“Se la Silicon Valley vuole preservare il suo status dominante, è tempo di ricordare le parole di Andy Grove, l’iconoclasta CEO di Intel: “Solo i paranoici sopravvivono”.