Abbazie, cattedrali, castelli, riserve naturali, cascate e poi terre coltivate, cavalli, animali al pascolo, borghi medievali. La Ciociaria, l’antica Terra di lavoro come si definiva al tempo dei Borboni, il territorio tra Lazio e Campania, nota per uno dei più famosi film della storia del cinema italiano, “La ciociara” appunto, deve il suo nome alle ciocie, antichi calzari, e per quella culla del monachesimo che è l’Abbazia di Montecassino. Ma nasconde anche veri tesori in materia di enologia che cominciano a venire alla luce grazie all’entusiasmo e all’estro di vignaioli che sfidano il mercato con i loro vini biodinamici, fatti ogni giorno con passione e fatica. Almeno dieci di loro si riuniranno presto insieme per far conoscere e apprezzare i vini ciociari. Parola di Marco Marrocco, che nelle terre di Arce, in provincia di Frosinone, coltiva antichi vitigni che resero famose le campagne ciociare in tutto il Regno di Napoli.
Lecinaro, Ulivello nero, Pampanaro, Capolongo, Maturano bianco antichi vitigni recuperati
Nelle sue vigne il Lecinaro, l’Ulivello nero, il Pampanaro, il Capolongo e il Maturano bianco vengono coltivati insieme ai più noti Moscato di Terracina, Syrah e Malvasia Puntinata, in equilibrio tra cielo e terra, secondo i dettami dell’agricoltura biodinamica e la filosofia steineriana. Gettata alle ortiche – si fa per dire – la professione di ingegnere, Marco studia enologia e oggi coltiva 15 ettari di terra tra vigneti e uliveti ai quali si aggiunge, e lo racconta con grande soddisfazione, un viscioleto. Ci sono voluti anni per registrare i vitigni sconosciuti, la scuola di Carlo Noro per conoscere la biodinamica e i suoi segreti e dieci anni di lavoro per arrivare a produrre le 50 mila bottiglie della sua azienda, Palazzo Tronconi, nel centro medievale di Arce, dove a due passi dalle vigne ci sono osteria e camere per ospiti. Un vero vulcano di idee, un uragano di parole, Marco Marrocco.
Si seguono i dettami dell’agricoltura biodinamica e della filosofia steineriana
Racconta tutto questo ed altro a Roma, a due passi dalla maestosa Basilica di San Giovanni, fra un teatro, il Golden, e un ufficio postale tra i più noti dell’architettura del ‘900, dove si trova “Verso” enoteca con cucina con 1000 etichette e due chef ai fornelli, Simone Giuliani e Daniele Bonanni. Luogo di incontro del dopo teatro, il locale di Giorgio Mansueti ha molte etichette di vini naturali, biologici e biodinamici e ben si addice allo spirito enologico di Marco. Così le lenticchie con mousse di nocciola che aprono alla degustazione di un Fregelle 2021 ben si sposano con la giusta sapidità e i sentori di acacia e di mele di questo IGP, 13 gradi, certificato Demeter, un blend fatto in parti uguali di Maturano, vitigno originario della Val Comino, di Capolongo bianco e Pampanaro bianco, autoctoni riscoperti e registrati nel 2010 (19 euro in cantina). La terrina di coniglio con parmigiano e tartufo dei nostri giovani chef è abbinata al Fra Diaure 2021, un rosé ben strutturato in bocca, fatto di Lecinaro, con lieve pressatura di 12 ore, 13,5 gradi. Il nome del vino omaggia il brigante Michele Arcangelo Pezza, noto appartenente al movimento sanfedista.
La scuola di Carlo Noro per conoscere la biodinamica e i suoi segreti
Per questo come per altri vini la fermentazione è spontanea e l’affinamento avviene in vasche di cemento, anfore di terracotta oppure in legno di rovere o di acacia, senza alcun trattamento fisico o chimico; l’imbottigliamento viene eseguito seguendo le fasi lunari. Passiamo agli gnocchi al ragù di carni miste per degustare Zi’ Tore 2021, che Marco ha dedicato al nonno. Vitigno il Lecinaro, di colore rosso rubino, 13,5 gradi, sentori di prugna cioccolato e caffè (24 euro in cantina). Arriva poi Donnicò 202, Frusinate Igp, vitigno Olivella, si fa in anfora ed è dedicato ad un capo borbonico che si batté contro Garibaldi in arrivo ad Arce – racconta il nostro vignaiolo che ha molte altre storie di quei tempi scovate nel Palazzo mentre si degusta l’arrosto di bufala arrivato dalle cucine lillipuziane di Verso in abbinamento a Donnicò. Favole o storie vere, il calice nella serata la fa da padrone.